Insieme dal 2011, Francesca Leoni e Davide Mastrangelo, in arte Vertov Project, hanno da sempre incentrato la loro produzione artistica sul concetto di ibridazione e sulle variegate possibilità di relazione tra la videoarte e gli altri linguaggi creativi. Addentrarsi in qualità di artisti nel mondo dell’audiovisivo sperimentale, un limbo sospeso tra le rassegne di nicchia e il mare magnum della rete internet che il sistema dell’arte fatica a riconoscere e soprattutto a sostenere, ha suscitato in loro l’esigenza di riflettere sulle potenzialità della videoarte oggi e sulla sua capacità di rinnovarsi nella contaminazione con altre discipline come il teatro, la musica e la performance. Quest’approccio, che pone l’accento sulla dimensione partecipativa di un’esperienza in cui le immagini in movimento si intersecano con azioni dal vivo in un qui e ora irripetibile, li ha condotti a fondare, a Forlì, Ibrida Festival, prima rassegna italiana dedicata alle Arti Intermediali, la cui quinta edizione, inizialmente programmata lo scorso aprile, è stata posticipata a metà settembre a causa del lockdown. L’operazione, già di per sé coraggiosa, di impegnarsi in un progetto di questo tipo in una città periferica rispetto ai centri pulsanti del contemporaneo in Italia, come Milano, Torino o anche la vicina Bologna che da tempo dimostra una certa attenzione per il video e l’interdisciplinarità grazie a manifestazioni come VideoArt YearBook, RoBOt, Live Arts Week o PerAspera Festival, si è scontrata quest’anno con tutte le difficoltà logistiche e organizzative legate al persistere dell’emergenza Covid.
Ma nonostante il distanziamento sociale, le mascherine, gli ingressi contingentati e gli adempimenti legati alla tracciatura delle presenze, Ibrida Festival non ha rinunciato a esserci dal vivo e a proporsi come cuore pulsante di una ricognizione in cui l’aspetto performativo e spettacolare trova nutrimento e risonanza nella riflessione critica e in un vivace confronto con gli addetti ai lavori. Si è consolidata la collaborazione con l’Università e l’Accademia di Bologna, grazie al coinvolgimento di Silvia Grandi (curatrice e coordinatrice di VideoArt YearBook), Piero Deggiovanni (autore dell’Antologia critica della videoarte italiana 2010-2020, edita da Kaplan) e del ricercatore Pasquale Fameli. E anche noi abbiamo avuto il piacere di essere coinvolti nella sezione Art magazines talks assieme a Matteo Bergamini (direttore responsabile di Exibart), Elena Giulia Rossi (direttore editoriale di Arshake) e al critico Michele Pascarella. Dopo mesi in cui tutti abbiamo assistito a infinite dirette Instagram congestionate da pseudo-soliloqui rivolti a indistinte audience virtuali, è stato emozionante potersi confrontare e conoscere di persona, esprimere dubbi, ipotizzare nuove collaborazioni e riportare l’attenzione al fatto che anche la produzione e la circolazione di lavori apparentemente immateriali come il video e la performance dipende in gran parte da questioni pratiche, la cui soluzione richiede una concreta sinergia tra persone e luoghi fisici.
Abbandonata la Fabbrica delle Candele, centro polifunzionale cittadino in cui sarebbe stato impossibile rispettare gli standard di sicurezza richiesti dal protocollo Covid, Ibrida ha avuto luogo nell’istituzionale Arena San Domenico, in cui il sacrificio della dimensione conviviale della festa che gli altri anni caratterizzava la manifestazione, è stato in parte compensato da un monumentale schermo per le proiezioni, la cui presenza ha reso tangibile l’importanza della dimensione installativa nella valorizzazione dei lavori di videoarte, aspetto su cui varrebbe la pena che riflettessero anche gallerie, collezionisti e spazi museali nell’ottica di un’adeguata comprensione e fruizione di questa forma espressiva. A fare gli onori di casa all’ingresso, Vanitas vanitatum, et omia vanitas di Francesca Fini, video installazione multicanale dove celebri nature morte e ritratti della storia dell’arte, tradotti in pixel, subiscono un ironico processo di decomposizione digitale che ribadisce l’allegoria barocca della caducità della bellezza e della fragilità della condizione umana, evocando al tempo stesso tutte le inquietudini postmoderne che la smaterializzazione dei supporti delle immagini sottintende.
La serata di sabato ha avuto come primo protagonista Devis Venturelli, artista vincitore nel 2019 del premio Alinovi, che indaga la relazione con il territorio contemporaneo esplorandone gli spazi attraverso misteriose forme surrealiste e senzienti. Nei suoi video solitarie ambientazioni architettoniche suburbane o storiche vengono portate al limite da interventi performativi o installativi generati da azioni fuori campo o da effimeri accadimenti al centro della ripresa. La mini monografica a lui dedicata ha presentato la sua raffinata poetica in quattro brevi filmati, essenziali e dall’estetica impeccabile. In Monumento (2010) un’esorbitante motrice di camion immobile sotto il sole diventa un malinconico mausoleo pseudo equestre: l’unico movimento è l’impercettibile ondeggiare al vento dei panneggi glitterati che lo avvolgono, mentre il suo respiro-ruggito evoca contrastanti sensazioni di forza trattenuta e lamiere contorte. Sparring club (2015) documenta la danza di alcune palline lanciate in aria sullo sfondo affrescato di una villa seicentesca lombarda con l’accompagnamento di una sinfonia per sintetizzatori carica di malinconia e tensione. La performance sportiva riconverte le stanze decadenti in un campo di possibilità ancora aperte, ma sembra prefigurare anche una minaccia latente che potrebbe da un momento all’altro attentare alla fragilità degli intonaci. In Pneumotion (2015) la cadenzata insufflazione artificiale di un’infinita concatenazione di abiti di scarto crea sullo sfondo astratto di un lastricato urbano un complesso corpo espanso che allude con interferenze sonore distopiche all’omologazione della cultura di massa ma anche alla forzata interdipendenza degli individui che si trovano a coabitare un medesimo spazio. Sculpt the motion (2017) mostra invece sontuosi corpi-tessuto, realizzati con materiali da costruzione usati in modo incongruo, che animati da un vento artificiale incedono in fluide scomposizioni e ritrovamenti fortuiti. La loro ieratica presenza interpreta l’alterità del non-luogo che ospita le loro gesta come se ne fossero un’emanazione emotiva o l’ultima possibile esalazione estetica, tra crepitii sospetti e nenie fantasma.
A seguire il concerto audiovisivo di Salvatore Insana + E-Cor Ensemble, un viaggio introspettivo nel cuore dell’esistenza che parte dal finestrino velato di pioggia di un’automobile in movimento. Nel live le fratture e gli interstizi della percezione amplificate dalla musica e dalle immagini diventano varchi esistenziali in cui l’infinitamente piccolo si misura con il macrocosmo fino a sovrapporvisi in un loop a velocità variabile. Il cielo inciampa nella terra per diventare acqua in un’incalzante battaglia tra interno ed esterno che genera mondi cruenti e impossibili da quantificare.
Info:
Arena Musei San Domenico di Forlì – Ibrida Festival 2020
Francesca Leoni & Davide Mastrangelo – Ibrida Festival 2020
Art Magazine Talks – Ibrida Festival 2020 EXATR
Caterina Palazzi – Ibrida Festival 2020
Devis Venturelli – Ibrida festival
Salvatore Insana – Ibrida Festival 2020
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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