Palazzo Bonaparte, un bellissimo edificio romano seicentesco, ha dato avvio a una nuova stagione espositiva, dopo la chiusura dovuta al lungo periodo pandemico, con una mostra che garantisce una ripartenza in grande stile. Un’esposizione capace di attirare a sé l’attenzione del grande pubblico e delle generazioni più giovani, assolvendo la funzione di accessibilità e inclusività che l’arte deve oggigiorno, necessariamente possedere. È Bill Viola il protagonista di questa attesissima mostra. Icons of Light, appunto, un progetto espositivo curato da Kira Perov, moglie dell’artista, vuole celebrare il ruolo di colui che pioneristicamente, fin dagli esordi, produsse arte grazie a quelli che erano i nuovi media tecnologici. Il maestro indiscusso della videoarte quindi, che da sempre con l’Italia intrattiene un legame speciale, dovuto non solo alle sue origini, ma anche al lungo sodalizio artistico che lo lega ad alcune realtà italiane come, ad esempio, Firenze e lo studio di produzione di videoarte art/tapes/22 per il quale lavorò oltre, ovviamente, alle innumerevoli esposizioni che negli anni hanno presentato i suoi lavori. Stavolta, espone a Roma opere che, pur ponendosi ambiziosamente in dialogo con un’architettura storica, riescono efficacemente a trovare una dimensione propria e armonica, senza risultare inadeguati.
Bill Viola dichiarò: “Il video e io siamo cresciuti insieme”, alludendo alla crescita delle possibilità tecnologiche che garantirono un progress per le sue opere. Ma il rapporto che intercorse tra i nuovi sviluppi e la maturazione delle sue idee fu strettissimo: le nuove possibilità andavano di pari passo con nuove opere, allargando notevolmente il suo raggio d’azione. Quando l’artista si approcciò alla videoarte le possibilità del video erano embrionali, tuttavia Viola maturò la consapevolezza di non voler solo esplorare le caratteristiche tecniche per realizzare artefatti della realtà, ma scelse di plasmare il mezzo per farlo essere interprete della realtà e delle percezioni dell’uomo. Non emerge infatti l’accanimento tipico di un artista come Wolf Vostell che denunciava e alterava il mezzo televisivo (l’azione allo Yam Fluxus Festival del 1963 ne è un esempio, in occasione del quale l’artista fece sotterrare un televisore acceso e avvolto di filo spinato, su cui ordinò di gettare una torta con panna mentre stava andando in onda un programma). Non emerge neanche la smania di Nam June Paik che, seppur attratto dal linguaggio e dal funzionamento della televisione, intraprese azioni di distorsione, ridicolizzandone le capacità di riproduzione (pensiamo al celebre Zen for Tv del 1963, un televisore posizionato verticalmente, che riproduceva una sottile striscia di luce).
Dalla sperimentazione di Viola scaturisce piuttosto l’attenzione verso l’uomo e il carattere più nascosto del suo io, che viene scandagliato tramite una visione personale che grazie al video viene amplificata e acquista risonanza. La sua pratica rifugge dal voler essere simulazione o reinvenzione, non ricerca neppure una dimensione estetica o estetizzante e non vi è una sperimentazione tesa a estremizzare le possibilità umane, piuttosto c’è una scelta imprescindibile che pone al centro un dualismo, in cui primeggia la componente umana intesa come intima riflessione. La mostra di Palazzo Bonaparte vuole spostare l’attenzione proprio su questo aspetto: tutte le opere rimandano all’aspetto più privato, dove il corpo e la figura umana vengono posti al centro della ricerca. Vi è inoltre una profonda riflessione sulla temporalità, intesa non solo come lo scorrere del tempo, ma anche come cambiamento e mutazione, morte e rinascita. È evidente inoltre anche in questi lavori che la cultura orientale, più meditativa di quella occidentale, ha un’influenza importante per Viola: quello che ne scaturisce è che l’esposizione esige dal visitatore una devozione totale al momento della visita, provocando un’esperienza immersiva e totalizzante che lo induce ad abbandonare alcune certezze, per giungere a una meditazione interiore. L’aspetto più interessante di questa mostra e quindi dell’arte di Viola, che risulta profonda e cangiante, è quindi la capacità di smentire l’aura di freddezza che aleggia sui mezzi tecnologici e dimostrare che anche tramite questi ultimi si può toccare e far vibrare il lato emotivo e intimo di ognuno di noi.
Claudia Pansera
Info:
Bill Viola. Icons of Light
A cura di Kira Perov
05/03/2022-26/06/2022
Palazzo Bonaparte
Piazza Venezia 5 Roma
T.+ 39 06 87 15 111
Bill Viola, Unspoken (Silver & Gold), 2001. Dittico proiettato con video in bianco e nero su un pannello a foglie d’oro e uno a foglie d’argento montato a parete, 62,3 x 193 x 5,7 cm, 35:40 minuti. Performers: John Malpede, Weba Garretson. Photo: Peter Malle Malle
Bill Viola, Observance, 2002. Video ad alta definizione a colori su display a schermo piatto montato verticalmente sulla parete 120,7×72,4×10,2 cm, 10:14 minutes. Performers: Alan Abelew, Sheryl Arenson, Frank Bruynbroek, Carol Cetrone, Cathy Chang, Ernie Charles, Alan Clark, JD Cullum, Michael Irby, Tanya Little, Susan Matus, Kate Noonan, Paul O’Connor, Valerie Spencer, Louis Stark, Richard Stobie, Michael Eric Strickland, Ellis Williams. Photo: Kira Perov © Bill Viola Studio
Nata a Reggio Calabria nel 1998. A Roma consegue la laurea in Studi-Storico artistici con una tesi sperimentale sull’artista Nik Spatari. Ha scritto per alcuni magazine ed è attualmente studentessa del corso di laurea magistrale in Storia dell’Arte. Apprezza l’arte in ogni declinazione e ama raccontarla.
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