Espressione compiuta della ricerca e delle sperimentazioni incessanti dell’ultimo decennio, volte ad approfondire l’indagine sulle proprietà sensoriali del colore e le potenzialità plastiche della materia cromatica, la serie pittorica Aphonia si dispiega in un susseguirsi di variazioni cromatiche attorno allo stesso tema, allo stesso fulcro concettuale, ma con soluzioni ed esiti formali declinati secondo differenti registri iconici e stilistici, mirabilmente padroneggiati dalla forte personalità dell’autore umbro, da considerare tra le più interessanti del panorama artistico emergente per la sua capacità di trasfigurare echi e suggestioni della tradizione pittorica e del retaggio estetico di passate stagioni in un linguaggio formale autonomo e originale, svincolato da scuole o correnti del nostro tempo, ma profondamente radicato nella contemporaneità.
Gli scenari di questo ciclo di dipinti, del tutto privi di oggetti artificiali, di episodi di carattere narrativo e scevri da qualunque finalità descrittiva, si connotano essenzialmente come paesaggi interiori intrisi di una forte carica simbolica.
Sul piano terrestre, separato quasi impercettibilmente dall’etere caleidoscopico mediante il profilo collinare appena ondulato, che determina la linea dell’orizzonte, si innalzano a distanze variabili sagome di cipressi fieramente protesi verso l’alto con le chiome folte e puntute. Con una configurazione simile a pilastri cosmici, i cipressi punteggiano ogni orizzonte tracciato in questa serie pittorica, assumendo la stessa valenza ancestrale di un allineamento di menhir. L’artista ha fatto di essi un codice, una cifra stilistica che è forma e contenuto al tempo stesso; non sono estranee infatti all’adozione di questo “segno” distintivo né le caratteristiche morfologiche della pianta e la sua diffusa presenza nella terra di origine del pittore, né la natura “sacrale” di albero primigenio, assurto fin da tempi remoti a simbolo dell’immortalità e in questo contesto più che mai identificabile con l’axis mundi (l’asse dell’universo), cardine della cosmologia religiosa di antichissime civiltà. In un’accezione ancor più suggestiva per valenza esistenziale e autentica in quanto più fedele alla concezione dell’autore, potremmo spingerci a trasfigurare ciascuna di queste fiammelle arboree in altrettante anime che popolano l’orizzonte terrestre, viventi assi di congiunzione terra-cielo che ciascun essere umano, di fatto, incarna.
Il paesaggio disadorno ed essenziale si staglia solitario sulla sconfinata vastità di un cielo sferzato dai vortici cromatici dell’Abstract Expressionism, dando luogo a una compenetrazione vibrante dell’elemento figurativo con le forme dell’astrazione, del piano fisico con quello sovrasensibile. L’impressione trasmessa dagli “interminati spazi” che si aprono al nostro sguardo è quella di trovarsi di fronte a una riproposizione della categoria teoretico-estetica del Sublime, che ha permeato una parte significativa della produzione pittorica europea del periodo romantico e che appare qui reinterpretata in una chiave originale e secondo canoni di assoluta contemporaneità, sia sul piano concettuale sia su quello esecutivo. In particolare, la costruzione spaziale dell’immagine, così come il tipo di stesura cromatica, rimandano a quel “sublime dinamico”, secondo la definizione di Kant, riferibile alle manifestazioni della natura caratterizzate da potente esplosione di energia, dallo scatenarsi della furia degli elementi che imprime una vorticosa velocità all’atmosfera. Così pure l’essenzialità della sintassi compositiva, basata su una scansione dello spazio sostanzialmente bipartita, in cui l’elemento figurativo in basso – combinazione di linee orizzontali e verticali – occupa una parte infinitesimale rispetto all’incontenibile dilagare del cielo immenso, si richiama anch’essa alla poetica del Sublime, recepita nella sua declinazione più meditativa e spirituale volta a mostrare l’eterno dialogo ìmpari tra finito e infinito, tra dimensione transeunte terrena e totalità cosmica.
L’indagine estetica si incentra su una spazialità fortemente dinamica, generata da un’energia gestuale dirompente che si fa specchio diretto dello stato d’animo dell’autore e nella quale al contempo lo spettatore, operando una sorta di immedesimazione, può leggere il riflesso della propria condizione interiore. Sono tele caratterizzate da una pittura all over fatta di materia cromatica accesa, densa e vibrante, in cui il colore svincolato dalla costrizione della forma pulsa di vita autonoma e crea uno spazio visivo magnetico, ipnotico, capace di coinvolgere l’osservatore in un rapporto immersivo e totalizzante con l’opera.
Sebbene i cipressi di Ciampica affondino le radici nei suoi luoghi di origine, nelle familiari terre del Trasimeno da lui stesso attraversate o accarezzate con lo sguardo ogni giorno dall’alto del Castello, le immagini evocate non sono luoghi fisici, geograficamente connotati, ma afferiscono a una dimensione universale, quella dell’anima e come tali capaci di suscitare una risonanza emotiva a qualsiasi latitudine.
Cinzia Cardinali
Info:
Matteo Ciampica, Aphonia 11-22 (2013) olio su tela 150×200 cm
Matteo Ciampica, Aphonia 22 (2009) olio su tela 40×50 cm
Matteo Ciampica, Aphonia N° 22 (2016) olio su tela 60×80 cm
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