Il suo vero nome Hirimochi è composto dagli ideogrammi “hiro” ovvero “ampio” e “michi” che significa “strada”. È il marchio da randagio famelico che ha condotto Daido Moriyama (Osaka, 1938) tra prostitute e night club, alla ricerca di un sogno da immortalare, quello che nel suo immaginario era rappresentato da On The Road di Kerouac. “Quel che mi colpì molto di On the Road furono il tema della libertà e del vagabondaggio: il fatto di viaggiare per il gusto di farlo, senza una meta precisa. La realtà del viaggio è quel che io vivo spostandomi, non tanto un luogo dove arrivare”.
Già sei anni fa in mostra a Modena presso la Fondazione Fotografia con i suoi lavori più noti in bianco/nero, quelli che hanno legato il suo nome a uno stile, ritorna con in Color a cura di Filippo Maggia. Centotrenta fotografie realizzate tra la metà degli anni sessanta e i primi ottanta, tutte a colori, molte inedite, altre scartate, altre commissionate, sono foto dalla strada, dai luoghi pullulanti di vita in mezzo alla quale il fotografo si gettava e si soffermava a volte sprofondandoci.
Ovunque lo sguardo dell’artista fosse coinvolto, incongruenze e distorsioni fuoriuscivano per finire nelle immagini. Guardarle provoca l’impressione di trovarsi in un ambiente malaticcio, affetto da un’invisibile radioattività. È nella destabilizzazione dovuta alla sovrapposizione di una cultura su un’altra troppo differente, che Moriyama comunque coglie la vita. Così tra le insegne sfavillanti talvolta appaiono figure che, per via della contaminazione, camminano per strada come imitazioni grottesche di parenti acquisiti della famiglia Cunningham di Happy Days. Delle geishe, invece, coi loro kimono non rimane che l’odore dell’eros e quasi null’altro. I nudi femminili per Playboy Giappone, commissionati dalla rivista stessa, sono simili per presenza scenica alle auto americane fotografate parcheggiate lungo i marciapiedi. Altri nudi sono le rare fotografie bondage fatte per lo scrittore erotico Oniroku Dan.
La realtà in questi frammenti appare per pochi istanti sospesa fra tradizione e innovazione e poi subito affogata in una bottiglia d’alcool che ne trasfigura la visione, facendo vibrare l’aria di una lucentezza acida ed elettrica. Il bianco/nero favoriva la trasposizione del suo universo emotivo, dice Moriyama, con tutte le variazioni che il luogo vissuto in quel momento suscitava. Il colore, invece, annulla il filtro interiore gettando l’osservatore in una suadente distrazione. Quelli della mostra Daido Moriyama in Color sono posti notturni, ambigui e caldi, dove il fotografo offre tutto quello che vede senza mediazione, come una possibile offerta sull’altare di una modernità bellissima e inutile.
Daido Moriyama, Untitled, 1970s Courtesy of the artist
Daido Moriyama, Untitled, 1970s Courtesy of the artist
Domenico Russo, curatore e critico d’arte, rivolge il suo impegno alla ricerca delle nuove tendenze con uno sguardo particolare rivolto alle modalità con cui l’arte contemporanea si connette e interagisce con altri ambiti, convinto che essa sia una sensibile verità attraverso cui leggere il tempo che vive.
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