Un confronto raffinato, audace, che potrebbe sembrare quasi forzato nelle sue armonie e dissonanze, nei suoi punti di contatto evidenti (su tutti, il corpo e le sue relazioni uni/bidirezionali), e i suoi nodi per certi versi sfuggenti. Un incontro d’amore e, allo stesso tempo, di contrasto tra due periodi, linguaggi e ricerche artistiche apparentemente distanti, in realtà molto più prossimi di quanto si possa immaginare.
Il “palcoscenico” è la P420 di Bologna e la mostra in questione si chiama Foreign Bodies, pensata dal curatore João Laia e fortemente voluta dalla galleria di via Azzo Gardino, che mette in relazione i lavori fotografici di John Coplans (Londra 1920 – New York 2003), curatore e critico d’arte giunto alla pratica artistica all’età di 60 anni, e le opere scultoree della giovanissima artista emergente June Crespo (Pamplona, 1982). Una mostra probabilmente non adatta ad ogni “palato”, complessa e stimolante nei suoi input dalla natura differente e dai legami evasivi.
Il punto di partenza, la rappresentazione del corpo, tema molto caro all’arte contemporanea più attuale, è univoco e chiaro. Fin qui non si può sbagliare. In maniera del tutto evidente, Coplans e Crespo partono dalla forma, il corpo, appunto, per poi scegliere, non solo due media differenti, ma anche due percorsi, due punti di vista e due strade analitiche completamente diverse.
E qui il gioco si fa duro. E solo i più appassionati restano in partita. Perché addentrarsi nella sfida concepita da João Laia prevede l’attivazione di meccanismi che spingono a non subire passivamente la fruizione e lo spazio della galleria, impongono di non fermarsi al primo sguardo. Tutto, in quel palcoscenico che a tratti somiglia ad un ring, sembra dire: vai oltre per capire cosa c’è più profondamente, fermati, anche, se lo ritieni opportuno, ma non solo a ciò che appare. Perché ciò che appare non basterà.
E così s’apprende che, per capire, si deve guardare la mostra da un’altra prospettiva ricorrendo ad una chiave di lettura meno prevedibile, ben più allusiva, e quasi ammiccante. I lavori di June Crespo, sensuali accostamenti tra materiali freddi e caldi, duri e morbidi, “indistruttibili” e fragili (con ovvio riferimento al corpo, femminile, naturalmente), infatti, si collocano in quell’area immaginaria, definita “giusta distanza”, rispetto agli autoritratti di John Coplans. E ad essi ammiccano. Piacevolmente.
Se Coplans racconta di sé, frammenta il proprio corpo in scatti in bianco e nero “parziali”, tagliati, implosi, pur mantenendo evidenti contatti con una dimensione scultorea della rappresentazione, la giovane artista spagnola racconta della donna e delle sue contraddizioni, suscitando nel fruitore sensazioni contrastanti. Soprattutto di natura termico-tattile: si pensi ai calchi di termosifoni realizzati con un materiale dalla natura fredda, calchi accostati, però, a tessuti, per loro natura, invece, caldi.
Quel che emerge, ora, è una relazione dinamica e vincolante tra i lavori dei due artisti presenti in questa doppia personale: in definitiva, per entrambi, si giunge ad una percezione del corpo come “materiale” fragile e forte, come contenitore-oggetto solido ma vulnerabile. E il senso, forse, sta tutto qui, in questo incontro/scontro. In questo palcoscenico/ring.
Guido Luciani
Info:
John Coplans / June Crespo. Foreign Bodies
a cura di João Laia
1 febbraio – 31 marzo 2018
P420
Via Azzo Gardino, 9 Bologna
John Coplans / June Crespo. Foreign Bodies, installation view at P420 Bologna
John Coplans / June Crespo. Foreign Bodies, installation view at P420 Bologna
John Coplans / June Crespo. Foreign Bodies, installation view at P420 Bologna
John Coplans, Elbow, 2000, stampa ai sali d’argento, cm. 89×79 (x2), ed. 1/6
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