Sul lungolago di Lugano in un edificio di suggestione neoclassica risalente alla metà del ‘700, immerso in una rigogliosa vegetazione costituta in gran parte da piante e arbusti tropicali, sorge Villa Malpensata, dal 2019 nuova sede del MUSEC precedentemente ubicato all’Heleneum di Castagnola, ma nato come realtà già nel 1985. L’affascinante Museo delle Culture ospita una copiosa collezione d’arte etnica, frutto della generosa donazione dell’artista ticinese surrealista Serge Brignoni (1903-2002). Seicentosessantuno opere affiancate via via negli anni da numerosi lasciti da parte di collezionisti che sono andati ad arricchire la raccolta originaria di altri 20mila pezzi.
Sculture lignee, maschere, bastoni, scudi, manufatti e ornamenti provenienti dall’estremo Oriente, India, Sud Est asiatico, Oceania e Indonesia (e in parte minore Africa e America) si succedono, selezionati in maniera ciclica e tematica, svelando una raccolta sorprendente dai caratteri assolutamente originali. Ne è uno splendido esempio la recente esposizione temporanea Arte agli antipodi, estrapolata dalla collezione di Serge Brignoni che racchiude settantatrè capolavori dal Sud est asiatico e Oceania. Il direttore, Francesco Paolo Campione, affiancato da un attento comitato scientifico, si adopera per perseguire quelli che sono i fini di un museo ovvero raccogliere, ordinare, conservare, esporre e valorizzare le opere della collezione permanente con uno sguardo attento nel portare avanti progetti collaterali di rilievo in grado di creare proficui e sinergici scambi tra arte e antropologia e arte in senso ampio. Il museo ospita esposizioni d’arte moderna e contemporanea, mostre fotografiche, conferenze, attività didattiche e di ricerca con un’attenzione privilegiata all’arte etnica.
Global Aesthetics è il nuovo progetto “dedicato all’esplorazione del rapporto tra arte contemporanea e il contesto ideologico e culturale in cui essa si muove” e di cui fanno parte le due personali inaugurate questa estate, attualmente in corso: Lipiko di Filipe Branquinho (importante esponente dell’arte africana, noto per il suo sguardo critico e dissacrante) e Una geografia anarchica di Simone Pellegrini mostra co-curata da Francesco Paolo Campione e Nora Segreto, che ben si sposa con questo humus, visto che nei lavori si rintracciano tratti e stilemi che entrano in risonanza con l’universale, il primordiale, mentre l’artista diviene intermediario di mondi altri. Entrambe le mostre sono state anticipate da quello che può essere considerato il primo capitolo della rassegna, The Presence, dell’affermato artista thailandese Attasit Pokpong.
Simone Pellegrini (Ancona 1972) con all’attivo più di quaranta mostre, docente di Pittura all’Accademia di Belle Arti di Bologna, presenta nello Spazio Maraini una dozzina di grandi carte a parete immerse nella penombra che documentano quindici anni circa di attività. La penombra accompagna il fruitore in una visita intima e maieutica delle opere replicando la stessa atmosfera che le ha viste dare alla luce, nella casa studio bolognese, in quello “spazio sottratto al domicilio” in cui l’illuminazione è scarsa e quasi sempre artificiale e in cui Pellegrini si adopera all’imbrunire. I titoli, fortemente evocativi posti a latere dei lavori illuminati, i cui bordi leggermente sollevati svelano anche il rovesciamento del supporto poroso e materico per una doppia inedita visione, creano versi ermetici autonomi e al contempo rafforzano l’opera che li accompagna.
Sulle grandi carte da spolvero esposte, affiorano mondi inconsci e immaginari dell’artista, forme in continua metamorfosi riconducibili talvolta a elementi fitomorfi, porzioni di figure umane violate e per questo tragiche, fisicità distorte, organismi cellulari, dettagli misteriosi e sibillini che tradiscono attese e danno vita a segni erranti che si affrancano e che cominciano un loro autonomo cammino. Sono costellazioni di immagini che appaiono dopo essere state impresse nella vasta superficie per frizione, attraverso uno strumento di acciaio costruito ad hoc dal fabbro, trasferite da matrici disegnate dall’artista con il carboncino, sulle quali vengono sbriciolati pigmenti e poi parzialmente oleate. Queste enigmatiche mappe, queste oniriche cartografie, spesso sono frutto di schizzi, disegni e studi preparatori vergati su frontespizi, pagine bianche e colophon di quei romanzi e saggi di filosofia, mistica e psicoanalisi che accompagnano le giornate di Simone. È innegabilmente forte in lui il legame con la parola, conscio al contempo che ciascun artista debba compiere una rottura radicale con la stessa, per avventurarsi nella costruzione di un linguaggio nuovo; di qui la creazione di un alfabeto dell’indicibilità che sviluppa per paratassi un germinare di segni che rivendicano il loro emanciparsi da qualsiasi significato certo e che sfuggono continuamente a ogni tentativo di classificazione precostituita.
I grandi supporti sono il risultato di patchwork, assemblage, summa di carte strappate da un ampio rotolo intonso in attesa d’accogliere immagini. Un territorio di un altrove dominato da visioni sghembe dove risuonano echi arcaici, che l’artista conquista a mano a mano con l’operare e che va a ricreare ricucendolo e incollandolo con la colla vinilica. Un elemento che, come scrive Francesco Paolo Campione nel testo che accompagna la mostra, è “una sorta di lattice generativo, per fecondare il campo creativo e dargli una consistenza tattile e un valore contemplativo”. Durante questo processo, vero e proprio rituale che Pellegrini puntualmente attua, dove non entra mai in contatto diretto con l’opera finita, ma solo con le matrici che figliano una e una sola volta e che dopo il loro transfer vengono lasciate cadere a terra nel territorio del purgatorio di tutti gli altri scarti, è fondamentale la pratica della distanza. Quella distanza che è vera esperienza di intangibilità, in cui si è a pochi millimetri dalla meta e vi si sottrae. A questo proposito viene in mente un bel saggio di Jean-Luc Nancy, Noli me tangere, in cui il filosofo “indaga il significato della tangenza senza contatto, della prossimità che non conosce promiscuità assimilando al gesto cristologico lo stesso dipingere che riesce a rendere intensa la presenza di un’assenza in quanto assenza”.
Infine è il Grande Negativo gravido di perfette imperfezioni ad esporsi al pubblico; sindone, traccia che entra negli spazi di fruizione, sprigionando quell’odore di olio di lino con cui è venuto in contatto, mentre le superfici agite, negandosi allo sguardo del pubblico e al mercato, si sacrificano. (Per dovere di cronaca è da riportare che nel percorso allestitivo del MUSEC è stato scelto di lasciare alcune matrici ai piedi dell’opera Setsa Farsía, dando la possibilità al fruitore di essere edotto sul processo). Geografia anarchica racchiude mappe impossibili, quasi rompicapo, dove artista e riguardante esplorano territori sconosciuti, in cui è facile e raccomandabile smarrirsi, perché l’arte richiede un essere al di là del significato, depositare il conosciuto, la cassetta degli attrezzi per aprirsi all’ignoto. Ed è lo stesso Pellegrini a raccontare che l’opera d’arte non ha a che fare col sapere “perché in fondo creare è un modo di delirare più o meno lucido…Quando si chiude la porta di uno studio succede l’improbabile. Per questa ragione” prosegue l’artista “amo i mistici come Meister Eckhart che diceva che c’è solo un modo per accogliere Dio, quello di sgomberare il campo…Liberare l’immagine e farla andare oltre il territorio dell’immaginazione che liberiamo quanto più immaginiamo”.
Tristana Chinni
Info:
Simone Pellegrini- Una geografia anarchica
MUSEC-Museo delle Culture
Villa Malpensata – Via G. Mazzini 5, Lugano
20.7 – 26/11/2023
Sito web: www.musech.ch
Dopo studi classici, si iscrive alla Facoltà di Lettere e Filosofia di Bologna, laureandosi in Storia del Cinema presso il DAMS Spettacolo e successivamente in Storia dell’Arte. Ha conseguito un Master in Comunicazione per le imprese culturali. Giornalista e critica, collabora con varie riviste cartacee e online specializzate nel settore artistico e culturale, tra cui Finestre sull’Arte, Segno, Exibart, Zeta-Rivista internazionale di poesie e ricerche, Punto e Linea Magazine, Gagarin Orbite Culturali. Ama l’arte in tutte le sue forme, prediligendo quella moderna, contemporanea e di ricerca.
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