Il Museo Luma di Frank Gehry, una torre d’acciaio specchiante che emerge da una piattaforma circolare, ha sicuramente dato, un po’ come il Guggenheim Museum di Bilbao, un grosso impulso economico, culturale e turistico ad Arles. Si tratta di un’opera sponsorizzata da Maja Hoffmann – coerede dei laboratori farmaceutici Roche, collezionista e mecenate – che realizza uno dei suoi sogni più sfrenati per un investimento di più di 150 milioni di euro.
Nel 2004 Maja Hoffmann crea la Fondazione LUMA in Svizzera. LUMA è interessata alle interrelazioni tra arte, cultura, diritti umani, problematiche ambientali, educazione e ricerca. Dal 2010 la fondazione ha sostenuto e presentato il lavoro di più di cento artisti, pensatori e innovatori in diverse sedi città di Arles, e dal 2013 ha supervisionato la trasformazione di un ex sito industriale di undici ettari, nel Parc des Ateliers, situato accanto ai più famosi siti d’interesse della città, che fanno parte del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO. Senza azzardare giudizi sull’opera architettonica, la base circolare in vetro che copre i primi due piani toglie slancio e luminosità al lavoro di Gehry che, all’interno, è completato da una serie di interventi degli artisti Philippe Parreno, Rirkrit Tiravanija, Etel Adnan, Carsten Höller, Liam Gillick, Ólafur Elíasson. Appena entrati troviamo gli Scivoli isometrici di Carsten Höller. Si può godere dell’effetto ludico dei toboggans al secondo livello scendendo grazie alla gravità; dopo l’entusiasmante scivolamento, l’addetto a recuperarci si mette a cantare insieme ad altri impiegati. È la performance di Tino Seghal.
Sull’altro lato, alzando lo sguardo verso l’alto, sotto la rampa delle scale, ecco l’opera di Ólafur Elíasson Take your Time, grande specchio circolare fissato ad angolo rispetto al soffitto che, ruotando lentamente sul proprio asse, viene a creare una sensazione di vortice che destabilizza la nostra percezione dello spazio. Nella Galleria Sud vediamo il film Danny / No More Reality di Philippe Parreno, un progetto regolato da processi meccanizzati, coordinati e controllati dalla tecnologia algoritmica: il film riunisce l’intera filmografia dell’artista. Salendo al primo livello, nell’Auditorium ci accoglie Dans la forêt di Etel Adnan, un murale in ceramica che ricopre una parete lunga circa quattordici metri e alta quattro, il quale rappresenta, con colori vivaci, il movimento degli alberi innescato dalla forza del vento. Ancora, al livello successivo, Laguna Gloria di Liam Gillick in cui l’artista ha utilizzato filmati del suo lungometraggio del 2013, Margin Time 2 (The Heavenly Lagoon), ottenendo una stanza che evoca un giardino artificiale. Al nono piano ci si trova sulla terrazza, da cui è possibile godere della vista su Arles e sui suoi edifici romani.
Raggiungendo l’open space dell’ottavo piano troviamo l’opera minimalista di Konstantin Grcic, mentre lungo le scale si può ammirare Day Light Songs (biting the air) di Helen Marten, composta da diversi strati di vetro e telai in alluminio: all’interno di tre campate l’artista utilizza molteplici tecniche antiche e contemporanee come incisione acida, fusione, smaltatura, sabbiatura, colorazione dell’argento, serigrafia e pittura. Un’opera progettata per cambiare con la luce e a seconda del percorso ascendente o discendente. Per una piacevole pausa rilassante c’è il Drum Café, situato al piano terra, progettato da Rirkrit Tiravanija come opera d’arte abitabile dalle sue pareti in acciaio inox, tubi a vista e pannelli di midollo di girasole. Il designer utilizza materiali della bioregione Camargue e risorse naturali come polpa di girasole, lana merino di Arles o pigmenti e coloranti provenienti dalle piante invasive circostanti. Un arazzo monumentale, lungo dieci metri, realizzato con gli artigiani della fabbrica francese di Aubusson, rappresenta quei girasoli appassiti che si possono vedere andando verso Saintes-Maries-de-la-Mer in Camargue.
Nei vari piani altre opere sorprendenti come Endodrome, nella quale si utilizza la realtà virtuale ideata dall’artista Dominique Gonzalez-Foerster, che in questo modo prosegue la sua ricerca sugli stati di coscienza alternativi e sull’interiorità. Ancora, l’opera di James Barnor: «Storie. Il portfolio 1947-1987», presentato come parte dei «Rencontres d’Arles» e del programma «Living Archives» della Fondazione LUMA. Fin dalle prime manifestazioni per l’indipendenza del Ghana, Barnor inizia la sua formazione in uno studio fotografico ad Accra. Nel 1987 dopo la fine delle sue attività di fotografo ufficiale del governo lavora tra Accra, la sua città natale, e Londra, la sua città adottiva.
Nei piani inferiori altre mostre: dai funghi giganti di Carsten Höller agli «Archivi Hans Ulrich Obrist – Capitolo 2: Etel Adnan», che celebra la lunga collaborazione fra Hans-Ulrich Obrist e la poetessa Etel Adnan, famosa per Sitt Marie Rose (The Post-Apollo Press, 1977), opera magna sulla guerra civile libanese. Straordinario il lavoro di Julien Creuzet dal titolo Orpheus was musing upon braised words, under the light rain of a blazing fog, snakes are deaf and dumb anyway, oblivion buried in the depths of insomnia. Dopo uno slalom tra installazioni ci troviamo davanti a un video in cui degli avatar ballano e si esibiscono in diverse danze tradizioni africane, comprese quelle della diaspora africana.
Una volta fuori, ci troviamo nel Parc des Ateliers, che riunisce sette edifici industriali storici che appartenevano alle ferrovie francesi, cinque dei quali sono stati riabilitati dall’architetto tedesco Annabelle Selldorf. I giardini circostanti e il parco pubblico sono stati progettati dall’architetto paesaggista Bas Smets. Di grande impatto, in particolare, la scultura rosa alta tredici metri Krauses Gekröse di Franz West.
Nell’edificio della Mécanique Générale trova luogo il «Prix Dior de la Photographie et des Arts Visuels pour Jeunes Talents» e una tra le mostre più acclamate nell’ambito dei «Rencontres d’Arles», in programma nella città provenzale dal 4 luglio al 25 settembre 2022 sotto la direzione artistica di Christoph Wiesner durante i quali trovano spazio oltre 40 esposizioni e 160 artisti, tra nomi noti e talenti emergenti. Si tratta di «Performing A Feminist Avant-Garde», curata da Gabriele Schor, in cui si presentano più di 200 opere di 71 artiste della VERBUND COLLECTION di Vienna, costruita a partire dagli anni Settanta. Sviluppata su cinque temi, la mostra presenta il lavoro delle artiste che hanno proposto una nuova “immagine della donna”, denunciando il sessismo, le disuguaglianze sociali e le strutture di potere patriarcale.
Nella Mécanique Générale e nella Grande Halle la mostra di Arthur Jafa «Live Evil» comprende una serie di opere recenti create appositamente per l’occasione. I suoi film, un rilievo, una serie di fotografie e sculture, grandi installazioni con immagini assemblate su grandi sfondi, cartelloni pubblicitari di grandi dimensioni e due ambienti costruiti affrontano diversi aspetti della black culture. E alla fine, ancora una pausa al Café du Parc, ammirando il bellissimo pavimento a mosaico dal titolo MEMORY di Kerstin Brätsch, realizzato con dipinti dell’artista. In definitiva un’architettura eccezionale che accoglie opere di grande pregnanza visiva.
Info:
LUMA Arles
Parc des Ateliers, 35 Avenue Victor Hugo, Arles
LUMA Arles – ph. Emanuele Magri
Ólafur Elíasson, Interpretive flare display of unthought thoughts, courtesy Jens Ziehe
Julien Creuzet, Orpheus was musing upon braised words, under the light rain of a blazing fog, snakes are deaf and dumb anyway, oblivion buried in the depths of insomnia, © Victor&Simon / Victor Picon
Julien Creuzet, Orpheus was musing upon braised words, under the light rain of a blazing fog, snakes are deaf and dumb anyway, oblivion buried in the depths of insomnia, ph. Emanuele Magri
Emanuele Magri insegna Storia dell’Arte a Milano. Dal 2007 scrive dall’estero per Juliet art Magazine. Dagli anni settanta si occupa di scrittura e arti visive. Ha creato mondi tassonomicamente definiti, nei quali sperimenta l’autoreferenzialità del linguaggio, come “La Setta delle S’arte” nella quale i vestiti rituali sono fatti partendo da parole con più significati, il “Trattato di artologia genetica” in cui si configura una serie di piante ottenute da innesti di organi umani, di occhi, mani, bocche, ecc, e il progetto “Fandonia” una città in cui tutto è doppio e ibrido.
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