Nel 1973, nel pieno del trionfante associazionismo militante tipico degli anni Settanta, Carlo Maurizio Benveduti, Tullio Catalano e Franco Falasca, danno vita all’Ufficio per la Immaginazione Preventiva. L’Immaginazione Preventiva è «un modo di pensare, una prassi continua senza teoria e senza -ismi non assolutamente terreni; descrive vicende di un’altra epoca e sempre operazioni arbitrarie e filologicamente approssimative» secondo quanto raccontò lo stesso Falasca nel novembre 2018 durante una lectio al MACRO Asilo (titolo che l’antropologo Giorgio De Finis diede al Museo d’Arte Contemporanea di Roma nel periodo in carica). Museo per l’Immaginazione Preventiva è invece il nome del progetto che si svilupperà fino alla fine del 2022 nel nuovo MACRO firmato Luca Lo Pinto, che ha aperto al pubblico il 17 luglio dopo la proroga per ovvie ragioni (l’apertura era prevista ad aprile). Nome protagonista della giovane curatela italiana (PAC di Milano, XVI Quadriennale d’Arte Palazzo delle Esposizioni, Fondazione Achille Castiglioni, Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, Luigi Ontani–AnderSennoSogno Museo H.C. Andersen) e internazionale (fondamentale l’esperienza del 2014 alla Kunsthalle di Vienna, da non dimenticare anche la mostra del 2013 al Palais de Tokyo), è generalmente conosciuto per aver co-fondato nel 2004 la nota NERO Editions.
Sono principalmente due i concetti cardine su cui ruota la nuova identità del museo: un museo protagonista al limite della personificazione – ruolo chiaro già nella strategia di comunicazione social dove il museo parla in prima persona al suo pubblico – e un museo-libro, concetto metaforico che negli ultimi anni si è fatto strada negli spazi espositivi dell’arte contemporanea in Italia. Favorito senza dubbio dalla storia di provenienza di Lo Pinto, emerge chiaramente dal titolo della mostra inaugurale, Editoriale: una mostra-manifesto che anticipa le direzioni future del museo e riflette a pieno l’intenzione di “mettere in pagina” i linguaggi artistici che si dispiegheranno negli anni a venire, coerentemente con il tema leitmotiv della lettura che invita lo spettatore a tornare più volte per seguire e assecondare i propri percorsi interpretativi. Il che si palesa effettivamente nel poco tempo a disposizione per la visita: un’oretta obbligata (l’ingresso è sempre gratuito con obbligo di prenotazione) che rientra nelle criticità già riscontrate in più di un parere tra il pubblico. La mostra si dilata in tutta la superficie del museo con cinquantacinque opere di cui tre omaggi storici: Gino De Dominicis, Gastone Novelli – è esposta una delle celebri tele del 1968 insieme alle sculture dell’artista raramente mostrate al pubblico – ed Emilio Prini. Tra gli altri artisti invece: Andrea Angelidakis, Pierre Bismuth, Corita Kent, Morgan Fischer, Liam Gillick/Henry Bond, Marcia Hafif, Lory D, Marcello Maloberti, Cecilia Mangini, Franco Mazzucchelli, Seth Siegelaub, Giovanna Silva, Nora Turato, Luca Vitone, Nicole Wermers, Eduardo Williams & Mariano Blatt.
Tra questi vale la pena soffermarsi in particolare su tre casi: le Martellate di Maloberti esposte nella grande sala a piano terra, l’ambiente di Lory D e Giovanna Silva al primo livello e i gonfiabili di Mazzucchelli nel cortile esterno. Martellate è un’installazione site-specific costituita da una raccolta di scritte slogan che si susseguono in serie sulle pareti dello spazio. Abbinamenti linguistici e concettuali allo stesso tempo, prepotenti e ironiche, mescolano riferimenti artistici e culturali al ragionamento dal gusto radical-decadente di cui si caratterizza il pensiero dell’attualità. L’ambiente generato dal dialogo tra il dj Lory D e Giovanna Silva emerge invece per la dissonanza tra le fotografie dei depositi del MACRO di cui sono ricoperte le pareti – quasi fossero a tutti gli effetti una carta da parati – e la musica techno di sottofondo. Al primo impatto il contesto risulta esteticamente vincente ma già alla seconda visita sorge spontanea la domanda sul perché, ancora una volta, non venga esposta nessuna di quelle opere ferme da anni nei magazzini del museo, tallone d’Achille del MACRO già dalla direzione De Finis. Non ultima l’installazione di Franco Mazzucchelli: tre enormi gonfiabili in PVC sui quali tutti gli spettatori possono scrivere di tutto, dalle critiche più radicali, alle citazioni pseudo dotte, ai consigli, agli apprezzamenti, ai banali cuoricini stile “A+G insieme per sempre” e così via.
Il poco tempo a disposizione mischiato all’intento di creare un’abitualità nella visita al museo, così come la rilettura di un libro che non si comprende o che al contrario si conosce molto bene, è solo parzialmente giustificato data la presenza di tre video installazioni che, nella fase conclusiva della visita nella maggior parte dei casi, lasciano la sensazione di non essere gustate abbastanza (o con abbastanza tempo?), causa forse il pensiero di dover uscire alla scadenza della propria ora a disposizione. Sicuramente complice lo scaglionamento forzato al momento della prenotazione online dato dalla situazione Covid, che tuttavia potrebbe essere gestito in un margine di tempo anche solo lievemente più alto per aumentare qualitativamente il tempo di fruizione della visita (basterebbe anche solo mezz’ora in più). Nasce spontanea anche la domanda sulle due grandi installazioni esposte a pian terreno, se (Nora Turato e Nicole Wermers) mantengano o no il valore estetico originario dato che non sono fisicamente fruibili come ideate dalle artiste a causa ovviamente del rischio di creare assembramenti.
Complessivamente sembra che l’opera d’arte sia tornata nuovamente presente al MACRO, dopo la lunga assenza ai tempi del MACRO Asilo. Tra le positività, paradossalmente, anche le didascalie questa volta fanno la loro parte: molto spesso vi si trovano le parole dell’artista stesso o la firma di qualcuno che ha scritto appositamente a riguardo, assecondando la tendenza a una rivalutazione della didascalia ma sempre entro i limiti della non contaminazione con l’opera. Da non dimenticare è poi l’attesa Tracce, l’originale mostra di Lawrence Weiner, prima personale mai realizzata nel cielo: dal 16 al 25 agosto una serie di banner aerei compariranno sul tratto di litorale tra Ladispoli e Anzio. Omaggio dell’artista a Germano Celant che nel 1970 curò l’omonimo libro per la galleria Sperone, un progetto ideato subito dopo la scomparsa del critico. Al MACRO rimane il problema della gestione dello spazio architettonico intorno la rossa struttura egemone di Odile Decq, nella parte d’ingresso al museo; permane il senso di dispersione e disorientamento, tipico di molte altre architetture adibite all’arte contemporanea, ma forse non bisogna attendere chi sarà in grado di colmare il divario comunicativo tra l’architettura e l’opera d’arte.
Info:
Giovanna Silva, Catabasi, 2020. Audio: Lory D, The Sounds of Rome, 1991. Veduta della mostra Museo per l’Immaginazione Preventiva — EDITORIALE, MACRO, 2020. Courtesy MACRO — Museo d’Arte Contemporanea di Roma. Ph. Roberto Apa
Gastone Novelli, Caro Vietnam e Tre Onfali (sullo sfondo), 1968. Audio: Luigi Nono, Non consumiamo Marx, 1969. Veduta della mostra Museo per l’Immaginazione Preventiva — EDITORIALE, MACRO, 2020. Courtesy MACRO — Museo d’Arte Contemporanea di Roma. Ph. Roberto Apa
VIPRA, See how VIPRA is using music to hijack pop culture, 2020. Veduta della mostra Museo per l’Immaginazione Preventiva — EDITORIALE, MACRO, 2020. Courtesy MACRO — Museo d’Arte Contemporanea di Roma. Ph. Roberto Apa
Cecilia Mangini, Essere Donne, 1964. Veduta della mostra Museo per l’Immaginazione Preventiva — EDITORIALE, MACRO, 2020. Courtesy MACRO — Museo d’Arte Contemporanea di Roma. Ph. Roberto Apa
In primo piano: Andreas Angelidakis, DEMOS Gold Bar, 2018. In secondo piano, a destra: Nicole Wermers, The Long Hello, 2018. Sullo sfondo: Nora Turato, the world is like a cactus, its impossible to sit down, 2019. Veduta della mostra Museo per l’Immaginazione Preventiva — EDITORIALE, MACRO, 2020. Courtesy MACRO — Museo d’Arte Contemporanea di Roma. Ph. Roberto Apa
Giulia Giambrone (Roma,1994) ha conseguito la laurea in Storia dell’Arte Contemporanea con una tesi in Estetica. Segue da anni il lavoro di Luigi Ontani al quale ha dedicato il saggio Luigi Ontani in Teoria. Filosofia, Estetica, Psicoanalisi nell’opera e nell’artista (Alpes Ed., Roma 2019). È stata intern presso Peggy Guggenheim Collection (Venezia) e La Galleria Nazionale (Roma). È curatrice tra Roma (Fondamenta Gallery) e Venezia (Spazio Norbert Salenbauch). S’interessa principalmente del rapporto tra filosofie e arti contemporanee.
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