Il sistema dell’arte e Covid-19

Quando finirà questa epidemia che ci costringe a una reclusione forzata? Al momento, in Italia, sebbene l’epidemia abbia quasi raddoppiato i morti causati da un’influenza stagionale e pare avere iniziato da qualche giorno la curva discendente, nel contempo si è non solo fermata gran parte dell’economia terziaria, ma ha costretto a un blocco generalizzato tutte le attività culturali, e a macchia d’olio il blocco si è sparso in tutto il mondo, con ordini calati dall’alto o con responsabile senso di autorganizzazione. Molte gallerie hanno cancellato la loro programmazione o hanno riprogrammato a distanza di mesi le loro attività (si veda la mostra di Piero Gilardi da Michel Rein, a Parigi, che è slittata dal mese di marzo a settembre); altre hanno inizialmente (quando le regole erano meno severe) allestito le mostre senza fare l’opening, altre ancora (come la Bianconi di Milano) a mostra inaugurata (“Umberto Bignardi. Sperimentazioni visuali a Roma, 1964-67”) hanno continuato a diffondere le notizie in rete, tenendo aperti almeno i canali di comunicazione, altre ancora (tipo Xavier Hufkens, con la mostra in corso di Michel François, ha tenuto aperti gli uffici e chiuso la mostra); alcuni musei (Tate Liverpool) hanno continuato l’attività con limitazione degli accessi, altri (come l’ICA di Boston e il MoMA di New York) hanno in autonomia deciso di chiudere le porte, sospendendo l’intera programmazione, senza fissare una successiva data di apertura.

Infine, in genere, in Italia, qualsiasi appuntamento istituzionale è stato messo nel cassettino in attesa di tempi migliori. Infine, qualche breve esempio dal mondo delle fiere, l’edizione 2020 di Art Basel Hong Kong è stata annullata (spostando le visite su una piattaforma virtuale: artbasel.com/hong-kong/the-show) e gli uffici organizzativi hanno già fissato le date dell’edizione 2021: dal 25 al 27 marzo. All’edizione di quest’anno, nella main section, dall’Italia, avevano dato la loro adesione: Alfonso Artiaco, Continua, Massimo De Carlo, Arte Maggiore, Mazzoleni, Francesca Minini, Franco Noero, Rossi & Rossi, Lia Rumma, Tornabuoni. Torino e Milano sono andate in tilt con le fiere a scadenza primaverile; in particolare Miart ha dovuto cedere all’impossibilità di rispettare le date di programmazione e ha annunciato la nuova data: 11-13 sett, con preview il 10 settembre, e tutti tremano in attesa di sapere se Art Basel (la decana delle fiere d’arte) che pure ha dovuto spostare il suo consueto appuntamento di giugno a settembre (dal 17 al 20) potrà risollevare le sorti di un sistema messo in ginocchio dalle troppe rinunce. La stessa 17. Mostra Internazionale di Architettura (Giardini e Arsenale di Venezia, “How will we live together?” a cura di Hashim Sarkis) si è dovuta arrendere all’evidenza e la sua inaugurazione di maggio è stata spostata al 29 agosto (peraltro avviando sul sito web  www.labiennale.org l’Attività Educational).

Tutto ciò sarà sufficiente a risolvere i problemi che abbiamo accumulato in questi giorni di sosta forzata? E questi slittamenti troveranno poi conferma definitiva o si dovrà nuovamente posticipare? L’economia si rimetterà in moto oppure cadremo in una recessione profonda da cui se ne uscirà solo fra alcuni anni? Come reagirà il mercato reale (non solo quello dell’arte, ma quello di tutti i giorni, dei beni essenziali, degli affitti, della vendita di appartamenti, della produzione di beni e servizi)? Si fa un solo e piccolo esempio: il 25 novembre del 2018, per motivi di sicurezza fu chiusa la strada che conduce alla sommità del Vesuvio. Di conseguenza, in mancanza di turisti ed escursionisti, ristoranti, bar, negozi di souvenir, parcheggi furono costretti all’inattività. Inattività che va tarata sul numero di 700mila turisti accertati nel 2018. In definitiva, seppure circoscritta, una piccola catastrofe economica.

Da qualsiasi punto di vista si voglia guardare al problema, l’aspetto più inquietante è purtroppo l’impossibilità di fare delle previsioni e cioè di affrontare una programmazione a lungo termine. Non pensiamo solo alla piccola galleria con titolare e segretaria e magari un assistente di supporto, pensiamo ai network, a quei nomi che hanno sedi sparse in tutto il mondo e che hanno staff che si aggirano poco al disotto delle 100 unità, tra direttori, archivisti, impiegati, ufficio stampa, eccetera. Penso a Pace Gallery o ad Hauser & Wirth, a David Zwirner…

Certo, ci aspetta una grande sfida e, forse, quando sarà possibile mettere la parola fine alla diffusione di questa epidemia, potrebbe essere il momento giusto per incominciare ad affrontare anche i problemi di una nuova visione di sviluppo economico, uno sviluppo che sappia prendere in considerazione anche la salute del pianeta Terra, con il suo sovraffollamento, il buco di ozono, lo scioglimento dei ghiacci, le deforestazioni, la riduzione delle biodiversità, la messa in sicurezza di tanti fragili ecosistemi. Il che detto in altro modo, pone la domanda in questi termini: quale deve essere il compito etico dell’uomo sul pianeta Terra? A questo proposito, richiamo una campagna lanciata nel 2019 da una coalizione di Ong, sulla diffusione dell’olio di palma come biodisel e che è ritenuto responsabile del disboscamento delle foreste equatoriali: #NotInMyTank. I problemi innescati da miliardi di bipedi, sparsi ai quattro angoli del globo, sono innumerevoli, ma è evidente che se il loro numero fosse minore, anche le richieste di acqua potabile e di energia per uso domestico e industriale e di altri beni di prima necessità sarebbe di molto inferiore e forse tollerabile dal pianeta Terra. Certo, per invertire questa paradossale curva di espansione geometrica dovremmo aver ben presente nella nostra mente che davanti a noi avremmo decenni di stagnazione economica, prima di un successivo recupero. D’altronde ci sono studiosi ambientali che parlano di una data molto vicina come punto di non ritorno, quello dove la distruzione non potrà più essere contenuta: 2028.

Richiamo inoltre un pensiero espresso da Enzo Santese a ridosso di questa situazione di solitudine: “Nella separatezza del momento, costretti come siamo a vivere in simbiosi con noi stessi, osservando non solo le distanze di cortesia ma anche quelle più probanti di sicurezza vitale, ci sentiamo tutti più vicini in questa speranza che la nottata passi presto e ci consenta di ritrovarci a discutere di questo problema con l’occhio distaccato di chi ha superato il naufragio” (in “Amicando semper” n. 14, marzo 2020). Ma la speranza non è più sentimento sufficiente: forse è venuto il momento di agire e di operare scelte necessarie che pongano le basi per nuovi modelli di sviluppo, siano questi economici e siano questi demografici.

Infine, desidero richiamare qualche altro esempio di disastrose epidemie, giusto per capire come i numeri dovrebbero motivare le nostre azioni, dandoci la forza di agire e di reagire. La cosiddetta peste nera è il primo di questi esempi: esplose a partire dal 1346 nel nord della Cina, e attraverso la Siria si diffuse per ondate successive in Turchia, Grecia, Egitto, Balcani, Sicilia, Genova, Svizzera, Francia, Spagna, per approdare nel 1349 in Inghilterra, Scozia, Irlanda. Nel 1353 i focolai della malattia si ridussero fino a scomparire. Secondo calcoli moderni la peste nera uccise un terzo della popolazione del continente, provocando quasi 20 milioni di vittime. La cosiddetta spagnola fu a tutti gli effetti una pandemia influenzale, particolarmente mortale, che tra il 1918 e il 1920 arrivò a infettare 500 milioni di persone in tutto il mondo (inclusi alcuni abitanti di remote isole dell’Oceano Pacifico e del Mar Glaciale Artico), provocando il decesso di 50-100 milioni di persone su una popolazione mondiale di circa 2 miliardi.

Forse le epidemie fanno più paura o se ne parla di più, ma ci sono altri esempi di decessi numericamente significativi e su cui invece ci si sofferma troppo poco. Il 5 dicembre del 1952, complice l’alta pressione stazionaria sull’Inghilterra, una fitta nebbia giallastra calò su Londra e durò per cinque giorni: 150mila persone finirono in ospedale per problemi respiratori, attacchi d’asma e infezioni, e ben quattromila (soprattutto vecchi e bambini) morirono, ma nei mesi successivi le vittime arrivarono a 12mila. Sappiamo peraltro che anche lo smog cinese non è un balsamo per i polmoni e si stima che, ogni anno, 1,6 milioni di cinesi muoiano a causa dell’inquinamento dell’aria.

Questi numeri non pretendono di farvi prendere sottogamba l’epidemia di Covid-19, ma vogliono solo attirare l’attenzione su due fattori: il primo è che la morte ha accompagnato tutta la storia dell’umanità; il secondo è che finita l’emergenza le macerie che rimarranno sul terreno saranno peggiori dei morti che le hanno precedute e senza, forse, l’ottimismo della ricostruzione. E sotto le macerie rimarrà non solo la rete complessa dell’intero sistema dell’arte, ma a scavare per bene vi troveremo anche baristi, ristoratori, parrucchieri, operatori turistici, albergatori… E mi auguro che la mia profezia sia, almeno in parte, errata.

Michel François, Pièce à conviction (45/65 - 45), 2012, Rubber tire, diameter: 243 cm. Ph courtesy Xavier Hufkens, BruxellesMichel François, Pièce à conviction (45/65 – 45), 2012, Rubber tire, diameter: 243 cm. Ph courtesy Xavier Hufkens, Bruxelles

Installation view, Diana Thater: the sky is unfolding under you, 43 Greene Street, New York, 2001. Vista esterna della galleria. Photo: Fredrik Nilsen, courtesy David Zwirner, New YorkInstallation view, Diana Thater: the sky is unfolding under you, 43 Greene Street, New York, 2001. Vista esterna della galleria. Photo: Fredrik Nilsen, courtesy David Zwirner, New York

Fred Wilson, vista parziale dell’installazione Glass Works 2009-2018, in mostra da Pace Seoul, dal 10 marzo al 16 maggio 2020, ph courtesy Pace Gallery

Juan Uslé, Soñé que revelabas (Kaveri), 2018, vinyl, dispersion and dry pigment on canvas, 275 x 203 cm, ph courtesy Galleria Alfonso Artiaco, NapoliJuan Uslé, Soñé que revelabas (Kaveri), 2018, vinyl, dispersion and dry pigment on canvas, 275 x 203 cm, ph courtesy Galleria Alfonso Artiaco, Napoli

Art Basel, immagine di repertorio della vista esterna dei padiglioni della fiera. Ph courtesy Kunstmesse Art Basel


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