Abbiamo incontrato Elena Vertikova, artista russa mid-career che vive e lavora a Gdansk, nominata nel 2020 tra i recipienti del premio New Image/New Vision in Polonia. In conversazione, l’artista riflette degli ultimi dieci anni del sul percorso artistico tra passato e futuro.
S.B. Cara Elena, vorresti introdurci al tuo lavoro, parlandoci del tuo background? La regione da cui provieni mi fa pensare a situazioni climatiche e ambientali estreme oltre che alla ricchezza delle sue tradizioni.
E.V. Dopo aver studiato e lavorato nel marketing in Russia, ho seguito un corso di pittura a Kalingrad, in Russia, e dopo cinque anni di questo corso ho deciso di fare domanda per entrare all’ Accademica di Belle Arti di Gdansk. Sono ora iscritta al quinto anno dell’accademia. Questo perché la mia famiglia mi ha rivelato che avevamo radici polacche e questo è stato molto interessante per le mie ricerche. Ora sono qui e sento di essere nel posto giusto. Non ho paura dei confini, non ho paura dell’inverno, anche se ci sono differenze tra la Russia e la Polonia, ad esempio il modo di percepire le distanze. Questi contesti hanno influenzato il mio forte legame con la natura, l’acqua, il mare e lo spazio, anche se ora stiamo vivendo una situazione molto strana. Ho iniziato il mio percorso dieci anni fa perché sono rimasta così colpita dalla natura che ho voluto provare a dipingerla usando acqua e luce quali strumenti e modi di espressione. Cerco di mostrare questa natura, anche in termini di metafora. Commentando i miei lavori, i maestri che ho incontrato dicono che non vedono l’acqua di per sé, ma sentono la sua presenza. Questo mi interessa ma mi considero ancora alla ricerca del mio medium principale di espressione.
S.B. La tua pratica infatti attinge all’acqua e alla luce per supportare un’immagine-onda in movimento. Parli anche di metodi scientifici: in che modo coniughi il legame tra arte e scienza?
E.V. Cerco sempre di indagare la relazione tra scienza ed arti. È interessante la lettura che suggerisci sulla funzione dell’onda di questi elementi. La mia ricerca trae dal pensiero dello storico delle scienze James Gleick, laureato ad Harvard, che in Chaos, Making a New Science (1987) osserva come i fotoni possano essere in due posti diversi allo stesso tempo. In questo senso intendo la luce come uno strumento per esprimere che parte dal caos. Mi chiedo: come posso trasferirlo nell’arte? come posso mostrarlo? Quello che viviamo è il luogo della luce, lo spazio della vita e dei modi di essere. La pratica si concentra nel mescolare la luce e i colori come esperienza visiva. È qualcosa di diverso da un dipinto poiché cerco le opposizioni e i contrasti. Penso sia una questione visuale: mi interessa come la luce cambi se riflessa in uno specchio o in un muro.
S.B. Vorresti approfondire in merito alla tua pratica della luce?
E.V. La mia pratica con la luce è molto giovane, risale all’opera Blue del 2018. È un lavoro pensato durante il workshop internazionale Light as a Creative Tool pianificato dal Dr Robert Sochacki e dall’Accademia delle Belle Arti di Gdansk negli spazi di Shipyard. Ho scelto di lavorare con la luce analogica perché, anche se è un medium difficile che filtra e rispecchia la luce, ha una forte componente fisica e questo mi soddisfa. La luce analogica è importante per me dato che risuona con la natura dei materiali. Mi piace il medium che può essere manipolato con le mani, come i filtri e gli specchi in ragione della loro presenza fisica. Sono strumenti quasi scomparsi oggi, e voglio renderli nuovamente disponibili attraverso un altro linguaggio. In questo senso la luce risuona bene con l’acqua ed entrambe emergono dalle situazioni. Questo primo lavoro è stato seguito da un invito a Interference, un progetto internazionale a Medina in Tunisia diretto da Bettina Peltz e Aymen Gharbi. Ciò ha anche seguito l’invito a far parte della comunità Women Working with Light. Come per la luce, così per l’acqua, in realtà non ho deciso io di usare questi mezzi ma è stato tutto naturale. Sono sempre stata connessa all’acqua, già da bambina in famiglia nel mio villaggio, vicino al fiume Torn in Siberia. Non ho pensato a questa connessione quando ho iniziato ad avvicinarmi all’arte, ma ora la percepisco ed è diventata per me una necessità. Il modo in cui la luce e l’acqua sono entrate a far parte della mia pratica è enigmatico. Sono elementi che non hanno un confine, al contrario sono liberi e in qualità di materiali, ti dicono che si può fare molto con loro in una maniera quasi illusoria.
S.B. Nel tuo statement parli anche di assenza (di acqua e di luce).
E.V. Assenza di acqua, assenza di luce, perché la loro fonte è sempre conservata in uno spazio buio. Nei lavori dei progetti Undark (2019) e Surfaces (2019) infatti cerco il visibile e l’invisibile. Se ti poni davanti all’acqua e cerchi di catturarla, puoi prenderla per un momento, ma il momento successivo già cambia, e così è con la luce. Ora sto realizzando un progetto site-specific in una cisterna a Gdansk, usando la luce riflessa dove non c’è acqua e io cerco di portarla nuovamente, interessata a questa opposizione binaria, a questo contrasto. Così come è stato per il video A Dream (2020) in cui ogni elemento si riflette in termini di contrasto-assenza-presenza, e che ho cercato di circoscrivere nel tessuto che compone l’immagine video.
S.B. Molti dei tuoi lavori sono quindi site-specific.
E.V. Ho iniziato a lavorare site-specific in Tunisia. Questo mi ha dato modo di riflettere su quanto la specificità di un luogo possa incontrare il tuo lavoro, anche in vista del contatto con i visitatori. È un punto di vista interessante osservare come si arriva in un luogo con la propria storia e con la propria narrazione. Allo stesso tempo cerco di esprimermi non rimanendo in superficie, ma con l’idea di consentire alle persone di connettersi. Come per Interference, anche per il progetto a cui sto ora lavorando cerco di collegare la mia storia con la storia di un luogo, perché penso abbia un senso e un valore aggiunto quando un luogo si connette a un altro luogo. A volte l’aspetto visuale è sufficiente a pensare alla storia di un luogo, forse a causa della narrazione. Così è stato per Interfernece, pensato in una cisterna per la raccolta di acqua piovana dove era locata The House of Poetry. Ho rivisitato tutti questi aspetti nel mio lavoro presentato per il festival internazionale di Medina in Tunisia, Con questo lavoro, ho avuto modo di rivelare per la prima volta segni e iscrizioni incise al tempo della Rivoluzione Francese, scritte che dicevano ‘libertà’. È stato il luogo migliore che potessi mai immaginare per il mio lavoro perché vi ho trovato luce, acqua, riflessi e i segni del passato, rimasti nascosti e ora visibili dopo secoli ai cittadini. È stato impressionante e attraverso questa conversazione ho iniziato a capire come l’acqua possa raccontare la storia e il ricordo di un luogo. Questa esperienza è anche stata epifanica per capire il mio livello successivo di ricerca volta al site-specific.
S.B. A questo punto, vorrei chiederti a quali artisti ti ispiri nel tuo lavoro.
E.V. Sono molto affascinata, direi quasi esterefatta dalle fonti di luce delle opere di James Turrell. Anche dai lavori di Bill Viola per il suo rapporto con l’acqua. Mi interessano anche i lavori fotografici di artisti quali Jeff Wall e di Hiroshi Sugimoto in particolare per il suo stile definito nelle contraddizioni. Direi che fondalmentamente mi interessano le tracce del tempo e della memoria.
S.B. Ma il tuo lavoro fondamentalmente comicia con la Pittura per poi esplorare la Performance e il Video come in With Closed Eyes, 2018.
E.V. Sì, è vero, nei miei dipinti c’è sempre una traccia performativa: come artista, ho sempre il timore di affrontare la tela. Ma se lo fai a occhi chiusi, come bendato, non c’è più paura, ed è qui che riesco a espirmere la grazia del mio lavoro. Nel futuro però mi interessa investigare le pratiche multimediali. La pittura rimarrà con me, in una dimensione privata.
Info:
Elena Vertikova, With Closed Eyes, 2018, credits Tomasz Freda, courtesy the artist
Elena Vertikova, Light as a Creative Tool, 2018, credits Tomasz Freda, courtesy the artist
Elena Vertikova, Interference, 2018, credits Tomasz Freda, courtesy the artist
Elena Vertikova, Undark, 2018, credits Tomasz Freda, courtesy the artist
Elena Vertikova, Surfaces, 2021, credits Tomasz Freda, courtesy the artist
Elena Vertikova, With Closed Eyes, 2018, credits Tomasz Freda, courtesy the artist
Elena Vertikova, A Dream, 2020, credits Tomasz Freda, courtesy the artist
È interessata agli aspetti Visivi, Verbali e Testuali che intercorrono nelle Arti Moderne Contemporanee. Da studi storico-artistici presso l’Università Cà Foscari, Venezia, si è specializzata nella didattica e pratica curatoriale, presso lo IED, Roma, e Christie’s Londra. L’ambito della sua attività di ricerca si concentra sul tema della Luce dagli anni ’50 alle manifestazioni emergenti, considerando ontologicamente aspetti artistici, fenomenologici e d’innovazione visuale.
NO COMMENT