Caro Peppe, tu sei un punto cruciale della cultura contemporanea: prima con lo studio Morra di via Calabritto, poi con la fondazione del Museo Nitsch, adesso con la Casa Morra, che ovviamente non è solo un’abitazione, ma un intero palazzo dedicato ad attività culturali e archivio. Partiamo da quest’ultima avventura, ovvero da Casa Morra: come e perché è nata?
Alla base dell’attività della Fondazione Morra è l’arte come amore della ricerca e della conoscenza. Una premessa che richiama con forza finalità sociali, etiche ed estetiche come orizzonte di senso da seguire. Su questa scia e per ampliare l’area della promozione e della formazione culturale, è nata Casa Morra – Archivio d’arte contemporanea. Leggendo e divulgando le complesse dinamiche che avvengono nei sistemi micro e macro-sociali delle economie di cultura comunicativa, è un luogo operoso, che rende tangibile l’idea spazio aperto alla collettività, alla ricerca e alla sperimentazione. La programmazione delle attività – mostre, workshop, convegni, laboratori, spettacoli, proiezioni, progetti formativi – rispecchia la sua vocazione a essere non solo luogo di conservazione ed esposizione del patrimonio ma anche, e soprattutto, un laboratorio di sperimentazione e innovazione culturale, di studio, ricerca e produzione di contenuti estetici del nostro tempo. Una Casa dove l’incontro con l’arte può diventare un’esperienza multidisciplinare, dove studiare la società contemporanea attraverso materiali e archivi rivolti a tutti, incentrati sulla relazione tra la persona e l’arte, in una prospettiva di continua ricerca e apprendimento. Un impegno che si esprime attraverso modalità specifiche formative come percorsi peer education per le scuole, per gruppi e associazioni; come lezioni e laboratori di combinatorial creativity per giovani universitari e delle Accademie o di altre istituzioni, e laboratori con docenti, studiosi e artisti. Contiamo infatti molto sui visitatori più giovani, sulla loro capacità di saper approfondire il “meraviglioso contemporaneo”. Casa Morra, oltre che sede espositiva della collezione che propongo annualmente attraverso una ideale disegno fino al 2116, possiede un importante nucleo di archivi di rilevanza mondiale. Si pensi a quello del Living Theatre, con circa 100 opere, 400 disegni, manifesti, costumi, scenografie, fotografie, carteggi. Oppure quello del gruppo Gutai e in particolare di Shōzō Shimamoto, figura cardine del movimento, uno degli artisti più sperimentatori del secondo dopoguerra. Un interesse che ho maturato sin dal 1986 con una serie di lavori proveniente da Torino (da una mostra di Luciano Pistoi) man mano implementato attraverso la costituzione dell’Associazione Shōzō Shimamoto, assieme a Rosanna Chiessi, nata per promuovere e sostenere la ricerca del maestro, non solo attraverso la pubblicazione di cataloghi, video e documentari, ma anche producendo alcune delle performance che lo hanno reso celebre in tutto il mondo. Oggi la Fondazione Morra custodisce fra le maggiori opere del maestro gutai che assieme alla collezione del Living Theatre e quella di Hermann Nitsch, costituisce il patrimonio più importante. Il nostro lavoro di catalogazione, cura inoltre, gli archivi di Luca Maria Patella, Vettor Pisani, Arrigo Lora Totino, Jackson Mac Law, e tanto altro di poesia visiva, concreta, oggetto di continuo studio e scambio di materiali: con il Getty Center di Los Angeles, ad esempio, o con l’Istituto Universitario di Victoria, di Vancouver, con la Yale University, con la Beineck Library. Grazie alle sinergie che stabiliamo con enti e istituzioni culturali in senso interdisciplinare, Casa Morra è un meccanismo che si apre e connette al mondo esterno, ponendosi come punto di osservazione di grandi esperienze artistiche, incubatore di progetti che coinvolgono anche la comunità artigiana locale, ambito di mediazione con le realtà nazionali e internazionali di qualità. Le linee programmatiche seguite fin qui hanno portato ad esempi di successo. Su queste si intende proseguire per approfondirle ulteriormente.
Poi, andando a ritroso, arriviamo al Museo Nitsch. Con Nitsch per te fu amore a prima vista, una specie di sodalizio che dura dagli anni Settanta…
Da sempre insofferente nei confronti di ogni forma di “non cambiamento”, preferisco le staffette di saperi tra universi lontani, e collegarli. Interessarmi a una certa cosa mi porta spesso a coltivarne un’altra. Attraverso Günter Brus, infatti, ho iniziato a frequentare Hermann Nitsch. Essendo suo amico, Brus me lo presentò e dopo qualche settimana lui e Beate erano a Napoli. Trascorremmo alcune notti insieme. Nitsch mi parlava di filosofia e di cosmologia ed io – nutrito dalle letture di Stirner, Nietzsche, Hölderlin – ne rimasi molto attratto. Fui sedotto dal concetto di opera d’arte totale, suggestionata oltre che dai cinque sensi, dalla musica, poesia, letteratura, filosofia greco-romana e da tutto il teatro antico. Dunque, nel ‘74 Hermann Nitsch realizzò, nello spazio di via Calabritto, a Napoli, un’indimenticabile azione. Ne compresi subito la differenza e la sacralizzazione, che fondeva tradizione pittorica e drammaturgia tradotta in gioia di vivere. Più che compagno di viaggio, per me Nitsch è un grande maestro. Il Museo a lui dedicato è come un centro pulsante per comunicare, agire; dove, seguendo una linea progettuale, non si custodisce l’arte ma piuttosto la si vive. Il dispositivo teatrale delle sue opere e lo spettacolo che generano, inducono a riflessioni, approfondimento, catarsi estetica, gioia di esistere. Il Museo infatti si trasforma, periodicamente, con eventi dedicati al maestro viennese legati dal filo rosso di una ricomposizione logica ed emotiva. L’alternanza e la presentazione delle opere svolte nel tempo da Nitsch, sostengono ricomposizioni di grande impatto, che rendono lo spazio un luogo in divenire, dove poter determinare processi di sperimentazione e apprendimento.
A distanza di tanti anni che cosa vedi di radicalmente cambiato nella cultura contemporanea rispetto alle sperimentazioni degli anni Settanta?
La scelta generazionale che si è manifestata all’inizio degli anni Settanta, aveva fatto compiere all’arte un giro completo. Oggi noto un rapporto dialettico tra posizioni contrapposte. La ricerca di un neo-umanesimo, assieme al valore del genius locale; l’International Style, contrapposto alla sua deriva, il Globalisme. Ma la storia non si ripete mai allo stesso modo, e il risultato non dipenderà mai dalla somma matematica delle tendenze. Non basta la razionalità per determinare la storia, così come non basta l’opposizione dialettica per avere ragione della complessità della realtà, nemmeno di quella artistica. In questa epoca di crisi acuta, di crisi nella crisi, il backtothefuture, per esempio, è visto come il ritorno a un passato prossimo con la sottesa intenzione di correggere gli errori della cronaca, nella sua concomitanza di interessi di mercato; è un viatico, una via di fuga dall’impasse causata dalla stanchezza creativa. Per quanto riguarda il mio lavoro, dagli anni ‘70 mi sorreggono gli stessi stimoli, e la stessa intenzione di lavorare con quegli artisti che con gli anni non hanno modificato la loro vitalità di sperimentazione continua. Tutt’ora ripropongo costantemente gli artisti di quegli anni. Parlo ad esempio di Luca Maria Patella, il cui concetto è una combinazione di euristica e di ermeneutica, con continue variazioni e trasmigrazioni tecnico-mediali. Slittamenti che generano, di volta in volta, nuovi risvegli correlati a visioni poetico-scientifiche. Oppure penso a Vettor Pisani, espressione di una qualità poetica e sensibilità artistica tra le più seducenti del mondo artistico contemporaneo: due artisti le cui opere trovano spazio a Casa Morra compresi i loro archivi, come ho già detto, ricchi di materiali riferimento per studenti, studiosi e docenti. Sebbene i protagonisti degli anni Settanta abbiano ora più di settant’anni, il loro lavoro appare ancora molto avanti e di ispirazione per le ultime generazioni. Le tensioni estetiche del nostro tempo sono, infatti, il prolungamento delle espressioni artistiche delle epoche passate, anche se con forme espressive radicalmente diverse. Si avverte l’urgenza di ridare un senso all’opera, di restituire centralità all’idea, incontrando le nuove tecnologie e i nuovi linguaggi proiettati verso il futuro e verso altri mondi.
Info:
Giuseppe Morra davanti a un’opera di Shimamoto, ph. Fabio Donato © Fondazione Morra
Associazione Shōzō Shimamoto, Palazzo Spinelli di Tarsia, Napoli. Ph. Fabio Donato © Associazione Shozo Shimamoto
Luca Maria Patella, Patella ressemble a Patella L’opera 1964-2007, Castel Sant’Elmo, Napoli, 2007. Ph. Fabio Donato © Fondazione Morra
Vettor Pisani, Il mio cuore è un cupo abisso, Casa Morra Archivio d’Arte Contemporanea, Napoli. Ph. Amedeo Benestante © Fondazione Morra
Sala Julian Beck, 2° anno di mostre – Casa Morra Archivio d’Arte Contemporanea, Napoli. Ph. Amedeo Benestante © Fondazione Morra
First floor, Museo Archivio Laboratorio per le Arti Contemporanee Hermann Nitsch, Napoli. Ph. Amedeo Benestante © Fondazione Morra
È direttore editoriale di Juliet art magazine.
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