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In conversazione con Giuseppe Morra (II parte)

In conversazione con Giuseppe Morra (II parte)

In realtà, negli anni, tu hai inseguito un sogno dell’arte che dal Dada ha poi attraversato le esperienze dell’happening, del Wiener Aktionismus, del Fluxus, della performance, fino alle declinazioni Gutai e alle esperienze teatrali del Living Theatre…
Dalla prima fase degli anni Sessanta ho vissuto molte esperienze che inglobavano e inglobano tutte le discipline e gli stili. Ho avuto modo di incontrare, nel 1974, gli esponenti più importanti di molti movimenti artistici. La loro provenienza in parte duchampiana-cageiana e il loro amore per la musica, la pittura, il teatro, e suscita grande coinvolgimento. Ho trascorso giornate molto intense con Al Hansen, Allan Kaprow, Dick Higgins, Geoffrey Hendricks. Con Bob Watts, per esempio, l’alchimia fu straordinaria. Realizzò una performance a Napoli e comprai due suoi lavori, fra cui Art-Rat di cui esistono ancora alcune edizioni degli stessi lavori da me prodotti. Avrebbe voluto realizzare una performance sorvolando il cielo di Napoli, con un aereo che recasse, su uno striscione, una frase emblematica ma, dopo aver trascorso dieci giorni nella nostra città, il suo progetto si trasformò in L’Oracolo, che realizzò con la sua nuova compagna. Fra i tanti eventi, ricordo la performance di Charlotte Moorman, con omaggi a Beuys, Paik, Chiari, Mieko Shiomi. Quelle di Gina Pane, Urs Lüthi Schwarzkogler, Marina Abramović e di tutti che hanno lavorato nello spazio di via Calabritto: Nam June Paik, Takako Saito, Joe Jones, Jackson Mac-Low, Anne Tardos, Philip Corner, Daniel Spoerri, Jean-Jacques Lebel, Ay-O. E ancora, La Monte Young e Marian Zazeela, Charlemagne Palestine, Tony Conrad, Ben Patterson. Alcuni di questi parteciparono, nel 2003, alla grande mostra-evento Living Theatre. Labirinti dell’Immaginario al Castel Sant’Elmo di Napoli, a celebrare Judith Malina e Julian Beck, a cura di Achille Bonito Oliva.

Mi pare che tu ti sia aperto al mondo dell’arte a seguito della grande emozione che provocò in tanti addetti ai lavori la mostra di Harald Szeemann, “When Attitudes Become Form” realizzata per la Kunsthalle di Berna, nel 1969… 
Il mio esordio è stato il Centro Europa, (1969-1973), aperto con Stelio Maria Martini e Luciano Caruso dove, accanto a un interesse prevalentemente socio-politico, iniziai a esaminare la ricerca e lo studio delle avanguardie estetiche e filosofiche. Dopo Documenta 5, dove per la prima volta avevo visto i lavori di Brus, Nitsch e Schwarzkogler, e dopo “Contemporanea” di Achille Bonito Oliva a Roma, sollecitato da Lucio Amelio, lasciai il quartiere Vomero, per trasferirmi a via Calabritto. Avevo già lavorato con i giovani Mainolfi, Maraniello, Ruotolo e poco dopo con Gianfranco Baruchello e Giosetta Fioroni, poi con l’amicizia e la frequentazione con Sergio Lombardo, iniziano i rapporti con Roma e le gallerie di Gianni Fileccia, il GAP di Roma di via Monserrato, e quella di Luciano Inga-Pin a Milano, dove conobbi Brus, con cui organizzai una mostra allo Studio Morra.

Nello spazio di via Calabritto hai dato vita a eventi memorabili: azioni di Hermann Nitsch, Marina Abramović, Urs Lüthi, Geoffry Hendricks, Takako Saito… 
Lo Studio Morra nasce come un punto di riferimento per nuove esperienze: non solo promozione e sperimentazione di nuovi linguaggi delle arti visive del Novecento ma anche della poesia, dell’editoria d’arte, del teatro e della musica. È stato una fucina di esperienze di artisti che guardavano lontano, oltre i confini nazionali. Artisti con cui vivendo del tempo assieme mi sono confronto a livello di pensiero e poetica, al di là d’ogni urgenza commerciale: gli azionisti viennesi e i body artists, happening, fluxus, Corner, Hansen, Lebel, con gli esponenti del cinema indipendente americano, Kubelka, Mekas, Sitney, Brakhage. Negli anni ‘80, le rassegne dei più significativi poeti di poesia visuale e concreta: Emilio Villa, Ugo Carrega, Henri Chopin, Stelio Maria Martini, Eugenio Miccini, Lamberto Pignotti, Arrigo Lora Totino, Sarenco, Gerhard Rühm, Oswald Wiener e Heinz Gappmayr e altri, e altro ancora.

Tuoi progetti per il 2020?
La dimensione collettiva nella ricerca artistica è imprescindibile nel processo artistico. Contiene in sé una serie di effetti capaci di stravolgere le previsioni postulate ex ante. Una programmazione strutturata e condivisa, può produrre beneficio solo se condivisa e partecipata anche sul piano sociale. Col mio lavoro ho mirato alla diffusione dell’arte e della cultura come volano sul piano sociale. Il primo atto della Fondazione Morra (1991, con LUCA Luigi Castellano), cioè il trasferimento da via Calabritto diventata una zona ricca e alla moda a Palazzo dello Spagnolo, a via Vergini 19, quartiere socialmente degradato e abbandonato, fu quasi una dichiarazione di intenti. La prima mostra, Neapolis, di Aldo Loris Rossi,  proponeva con una serie di progetti di riqualificazione urbanistica della città di Napoli e dei suoi quartieri, che richiamava con convinzione lo slancio culturale da perseguire per rivalutare e salvaguardare le potenzialità della città e metterle in rilievo. Con queste premesse nasce il progetto Il Quartiere dell’Arte, un processo in progress ideato oltre che da me, da Pasquale Persico, Nicoletta Ricciardelli, Franco Coppola e Roberto Paci Dalò. Trattasi di un progetto che tende a sviluppare su tutta la città e oltre strutturando a poco a poco un network innovativo. Lo slogan un quartiere si fa città e poi mondo, è la sintesi di un programma già discusso attraverso una serie di incontri tra soggetti pubblici e privati già nel 2006. Il nucleo territoriale di partenza si sostanzia attorno alla costellazione dei quattro siti vicini alla Fondazione Morra (il Museo Archivio Laboratorio delle Arti Contemporanee Hermann Nitsch, Casa Morra Archivio d’Arte Contemporanea, l’Associazione Shōzō Shimamoto, la Vigna San Martino) che – pur salvaguardando ognuna le proprie specificità – promuovono e irraggiano assidue occasioni di confronto, studio e divulgazione a rete del pensiero visivo contemporaneo sul territorio nazionale ed internazionale. Inquadrandosi in una visione strategica per la ricerca e per la formazione, il Quartiere è spazio di apprendimento, in cui il learning by doing si specchia in una rete di connessioni inattese. Un fare che chiama gli artisti a partecipare al tema di Un quartiere si fa Città e una nuova domanda d’arte e artigianato. Il segno di un salto di scala anche nell’utilizzo delle tecniche tradizionali che interagiscono con le nuove tecnologie legate alla comunicazione. Ai fini della costruzione di una progettazione in rete si favorisce una strategia, già in essere, di politica culturale e artistica, da una parte a livello internazionale, attraverso partenariati e collaborazioni.  Il Quartiere dell’Arte, vera e propria smart community, include una vasta area di spazi metropolitani. Che chiede di essere città creativa all’interno di una struttura racchiusa del network Heritage as Opportunity, di cui Napoli fa parte, proprio con alcune delle realtà censite come nodi della rete del Quartiere dell’Arte. Il tentativo negli anni a venire, sarà dunque quello di sviluppare, in un’ottica di network europeo, strategie di gestione integrata e buone pratiche per favorire l’equilibrio tra conservazione e espansione del patrimonio dei centri storici urbani. Ecco perché la partecipazione alla vita e alle attività trasformative, risultano di estrema importanza e – di riflesso – anche per le politiche giovanili: si tratta di aspetti che devono essere affrontati in maniera trasversale, con una cooperazione continua e sforzi congiunti tra i diversi settori e tra gli attori che vi operano.
Attraverso i meccanismi dell’accesso e della partecipazione, il nostro progetto contribuisce non solo a creare senso di identità e di appartenenza, ma riflette anche le diverse modalità di coesistenza all’interno della società, favorendo anche dibattiti di inclusione sociale.
Dalle esperienze europee e da quelle nazionali emergono infatti alcuni aspetti come la necessità che l’“accesso alla cultura” sia inserito tra le priorità delle politiche pedagogiche, attraverso il sostegno ad azioni di cooperazione e di partenariato in ambito formativo e sociale. Altro aspetto è il bisogno di armonizzare il dialogo tra i diversi attori – pubblici e privati – e tutti gli stakeholders per collaborare alla definizione di nuove strategie. Il Quartiere dell’Arte ha la potenzialità per dare risposte concrete a questi bisogni e diventare riferimento in progress in linea con esigenze di vita e di government attente a regole e a procedure non più nazionali ma europee e mondiali.

Info:

www.fondazionemorra.org

Gina Pane, Action mélancolique, Studio Morra Napoli, 1974, ph. Fabio Donato © Fondazione MorraGina Pane, Action mélancolique, Studio Morra Napoli, 1974, ph. Fabio Donato © Fondazione Morra

Henri Chopin, Temperature Flegree, Terza Edizione 1988, Acropoli di Cuma © Fondazione MorraHenri Chopin, Temperature Flegree, Terza Edizione 1988, Acropoli di Cuma © Fondazione Morra

Allan Kaprow, Stockroom, Casa Morra Archivio d’Arte Contemporanea, Napoli. Ph. Amedeo Benestante © Fondazione Morra

Progetto XXI, La scrittura visuale – La parola totale, Biblioteca per le Arti Contemporanee, Museo Hermann Nitsch, Napoli, 2014. Ph. Amedeo Benestante © Fondazione Morra

Palazzo Ayerbo D’Aragona Cassano ora Casa Morra Archivio d’Arte Contemporanea, Napoli. Ph. Amedeo Benestante © Fondazione Morra

Vigna San Martino, Napoli. Ph. Amedeo Benestante © Fondazione MorraVigna San Martino, Napoli. Ph. Amedeo Benestante © Fondazione Morra


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