Abbiamo incontrato l’artista multimediale Lua Brice, co-fondatrice e ora solo-artist dell’Hovver Studio con sede a New York. Durante la nostra chiacchierata, l’artista ci ha presentato le opere Liminal Scope, Folding Light e i suoi ultimi lavori discutendo del suo interesse per i fenomeni sonori e luministici in relazione al linguaggio geometrico e alla configurazione di un’esperienza spazializzata.
Sara Buoso: Vorresti raccontarci del tuo background e di cosa ti ha spinto a scegliere di occuparti di materiali sonori e luminosi in ambienti virtuali e immersivi?
Lua Brice: Il mio viaggio nel mondo della luce e del suono – usati come media – è stato progressivo e trasformativo. Cresciuta in Australia, ho conseguito il Master in Architettura presso la RMIT University di Melbourne, conclusosi con un semestre presso la Parsons School of Design di New York. Sebbene inizialmente l’architettura mi avesse affascinato con la sua attenzione al design su scala umana e in virtù della sua interazione tra luce, spazio e movimento, ho poi trovato questa disciplina limitante a causa dei vincoli imposti dai clienti, dal budget e dell’utilità pratica. Sebbene mi abbia dato una comprensione della geometria e del movimento del corpo nello spazio, ho presto intuito come non consentisse il coinvolgimento di tutti i sensi al massimo delle loro capacità. Nel 2012, il mio incontro con la scultura Solid Light di Anthony McCall alla Hamburger Bahnhof di Berlino mi ha lasciato una profonda impressione. Assistendo all’utilizzo della luce come elemento architettonico, sono partita da qui per dare corpo ad ambienti coinvolgenti in cui è possibile vivere un’esperienza immateriale di uno spazio interno ed esterno. McCall ha scoperto un mezzo completamente nuovo, e questo mi ha suggerito l’esplorazione delle possibilità della luce come strumento di costruzione versatile in scala, aprendo nuove strade per la ricerca e la creazione. Durante la mia permanenza alla Parsons, ho incontrato il mio precedente collaboratore, Chris Lunney, che aveva un background di tecnologia del design, e insieme abbiamo approfondito le possibilità della luce e la sua interazione con lo spazio. Le nostre indagini, inizialmente concepite durante un corso chiamato “Light Space Art”, ci hanno spinto a fondare il nostro studio, dove abbiamo continuato a esplorare la luce, la nebbia e le superfici riflettenti. Questi sforzi alla fine sono culminati nella scoperta e nello sviluppo del progetto Liminal Scope. Nel corso degli anni sono arrivata a pensare alla luce per le sue qualità spaziali: è un elemento fondante e accattivante perché consente la costruzione di spazi effimeri che possono essere adattati, ridimensionati e trasformati. La sua natura intangibile, che costituisce la base di tutta la nostra realtà, ha ispirato la mia continua esplorazione sulla luce quale mezzo essenziale per l’espressione artistica e l’indagine spaziale. Attraverso questo obiettivo ho iniziato a guardare il suono in modo simile e a utilizzarli entrambi come strumenti complementari nella mia ricerca.
Il tuo lavoro fa riferimento all’eredità della scultura minimalista. Tuttavia, l’utilizzo di tecnologie sofisticate, come la modellazione 3D, suggerisce una nuova soglia di indagine per le pratiche scultoree e multimediali.
L’estetica minimalista è il risultato deliberato del nostro sforzo di eliminare tutti gli elementi non essenziali, concentrandoci esclusivamente sulla visibilità dei fenomeni che si rivelano. Ci sforziamo di creare un ambiente e una geometria che servano da sfondo ideale per mostrare tali fenomeni, impiegando strategie illusionistiche come la nebbia e l’uso di superfici specchianti per rivelare piuttosto che nascondere. Il mio approccio alle tecnologie si fonda sulla curiosità che mi spinge a raggiungere risultati specifici. Attingendo dal mio background in architettura e fabbricazione, posso selezionare materiali che soddisfino esattamente gli effetti desiderati, senza gravare sulle limitazioni di un singolo mezzo. Nel corso degli anni ho avuto anche l’opportunità di lavorare nell’ambiente dinamico del New Lab presso il Brooklyn Navy Yard, un hub innovativo per la tecnologia del futuro che offre attrezzature all’avanguardia per la fabbricazione e le ultime tecnologie. Circondata da scienziati e ingegneri dediti allo sviluppo di vari dispositivi e macchine per la risoluzione dei problemi del mondo reale, il mio contatto con questo approccio produttivo moderno ha ampliato significativamente la mia comprensione della materia e ampliato la mia percezione di ciò che è realizzabile.
La geometria e l’esperienza spazializzata sono i fondamenti della tua pratica e ciò si rende esplicito in Liminal Scope, opera che esplora il limite della visione soffermandosi sulla percezione. Vuoi parlarci di questa installazione?
Liminal Scope funge da strumento per percepire gli spazi e gli stati interstiziali che spesso sfuggono alla nostra attenzione. All’interno di questa installazione catturiamo la traiettoria della luce attraverso lo spazio, rivelando il sottile ma pervasivo fenomeno delle sostanze caustiche: l’effetto scintillante visto sul fondo di una piscina dove la luce subisce conversione e dispersione. Sebbene questo fenomeno ci circondi costantemente, il nostro ambiente naturale limita la nostra percezione di esso, e pertanto sono necessarie condizioni specifiche, come uno spazio buio, superfici lucide, particelle sospese nell’aria e un’illuminazione mirata per la sua comprensione spaziale. Concentrandosi sulla presentazione di questo evento naturale e privo di contesti culturali specifici, l’installazione invita gli spettatori a impegnarsi direttamente con le qualità intrinseche del fenomeno stesso, favorendo una comprensione più profonda delle caratteristiche essenziali della luce e delle sue interazioni con l’ambiente. Questo approccio elementare consente una contemplazione degli aspetti universali del mondo naturale, trascendendo i vincoli dell’interpretazione culturale e delle influenze temporali. Attraverso l’inquadratura e la rivelazione di questo evento etereo, Liminal Scope stimola una meditazione sui nostri limiti percettivi intrinseci. Frequenze armoniche e ritmi sincopati inducono un’atmosfera contemplativa, mentre l’interazione di colore e movimento orchestra una coreografia di tensione e rilassamento. Tale fenomeno fisico, reso percepibile attraverso la nostra installazione, funge da metafora per riflettere sui potenziali limiti della nostra percezione sensoriale e sui vincoli ambientali, provocando riflessioni sulle dimensioni della realtà che potrebbero sfuggire alla nostra comprensione. Tracciando parallelismi con i moderni progressi tecnologici che hanno ampliato la nostra comprensione della realtà, come i telescopi che rivelano il lontano passato o i microscopi che scavano nelle strutture microscopiche, Liminal Scope fornisce una nuova lente per indagare questo spazio intermedio. Evocando un senso infantile di meraviglia e consentendo una nuova comprensione dei fenomeni di luce intrinseci nel nostro mondo fisico, l’installazione promuove un viaggio introspettivo, incoraggiando le persone a esplorare i propri paesaggi interiori e a contemplare la propria connessione con la realtà incarnata.
Diversamente, in Folding Light la tua ricerca si traduce in un’esperienza virtuale, incarnata, plastica.
Folding Light rappresenta una progressione: il desiderio di immergersi nell’effetto è diventato una considerazione chiave per la nostra esplorazione. Questo nuovo pezzo è composto da un anello fatto di metallo e specchi quasi parabolici posti sulla faccia anteriore e su quella posteriore, racchiuso in una stanza proporzionale e oscurata. I proiettori a ciascuna estremità della stanza sono rivolti sull’anello, producendo una geometria ampia e auto-intersecante che riflette la forma geometrica della coda di una rondine, denominata “elisse del mucchio di sabbia” dal matematico americano Thomas Banchoff – rinomato per il suo lavoro di esplorazione e comunicazione di oggetti quadridimensionali. La geometria della coda di rondine in sezione trasversale appare anche in uno degli ultimi dipinti di Salvador Dalì, La coda di rondine, potenzialmente influenzato dalle discussioni avute negli anni Settanta con Banchoff. Questa forma specifica si riferisce alla teoria della catastrofe della coda di rondine, che modella sistemi che mostrano isteresi, un fenomeno in cui l’output di un sistema dipende non solo dal suo input attuale ma anche dal suo stato storico. Questo si osserva comunemente nei materiali magnetici, dove la magnetizzazione del materiale dipende non solo dal campo magnetico attualmente applicato ma anche dalla sua passata esposizione. All’interno dello spazio espositivo incorporiamo quattro altoparlanti, due a ciascuna estremità della stanza, sintonizzati per creare un’onda stazionaria che si allinea sia con le dimensioni della stanza sia con il punto in cui si verificano le intersezioni della luce. Quando le onde sonore si intersecano si cancellano così, mentre si naviga nello spazio dove le onde luminose si intersecano creando un momento di punteggiatura nell’oscurità, il suono scompare naturalmente. In questo senso utilizziamo la geometria della luce che si interseca per aiutare le persone a comprendere la geometria invisibile dei campi sonori nella stanza. Anche se il nostro lavoro utilizza una geometria auto-intersecante – in precedenza confinata al regno virtuale della modellazione computerizzata – la nostra fascinazione originaria non ruotava intorno alla rappresentazione del virtuale. Le geometrie auto-intersecanti nascono naturalmente quando la luce funge da mezzo, essendo un materiale capace di attraversare sé stesso. Utilizzando la luce come strumento fondamentale per indagare queste intricate geometrie, offriamo alle persone un’esplorazione tangibile di questi fenomeni transitori e mutevoli dei confini. In Folding Light, il focus va oltre l’anello stesso, enfatizzando il fenomeno delle onde invisibili all’interno dello spazio, dove ogni elemento contribuisce all’esperienza artistica complessiva. L’estetica minimalista serve a evidenziare i punti focali previsti, eliminando le distrazioni e favorendo un accresciuto senso di immediatezza e immaterialismo per il pubblico. Intersecando luce e suono in modo esperienziale, l’installazione trascende i confini dell’arte tradizionale, invitando i partecipanti a impegnarsi con l’opera a un livello più profondo e sensoriale, incoraggiando una profonda contemplazione delle intricate connessioni tra arte, spazio, percezione ed esperienza umana.
Quali sono i tuoi progetti attuali e futuri?
Ultimamente la mia attenzione si è rivolta allo sviluppo di opere 2D, in particolare su una serie che approfondisce l’esplorazione del colore strutturale. Sorprendentemente, questi pezzi non fanno affidamento sui pigmenti per le loro tonalità vivide; invece, i colori vibranti emergono dalla rifrazione della luce attraverso un microscopico accumulo di cristalli sulla superficie del materiale, simile al modo in cui il colore appare nell’ala di una farfalla. Per ottenere questo effetto, dipingo elettricità sulla superficie metallica, coltivando strati di cristalli dove il tempo funge da mezzo. Il processo incarnato per creare questa opera diventa un movimento di meditazione e quindi un’espressione da percepire energeticamente. Intitolati The Alchemy Series, i miei lavori recenti approfondiscono l’esplorazione di particolari geometrie, servendo come mezzo per approfondire la mia comprensione delle forme fondamentali che costituiscono la nostra realtà. Per esempio, nel contesto storico, è stata troppe volte fraintesa l’essenza metaforica della ricerca alchimistica proprio là dove si parlava della trasformazione materiale dei metalli in oro. Il mio processo creativo rappresenta in questo caso un viaggio alchemico interiore, in cui mi sforzo meticolosamente di comprendere e materializzare queste forme all’interno delle opere. Pertanto, l’opera d’arte incarna sia un’alchimia fisica tangibile – trasformando questo metallo al suo stato elevato attraverso l’applicazione dell’elettricità – sia un’alchimia introspettiva manifestata attraverso un complesso processo creativo.
Sara Buoso
Info:
Lua Brice
Hovver Studio
hovver.studio
È interessata agli aspetti Visivi, Verbali e Testuali che intercorrono nelle Arti Moderne Contemporanee. Da studi storico-artistici presso l’Università Cà Foscari, Venezia, si è specializzata nella didattica e pratica curatoriale, presso lo IED, Roma, e Christie’s Londra. L’ambito della sua attività di ricerca si concentra sul tema della Luce dagli anni ’50 alle manifestazioni emergenti, considerando ontologicamente aspetti artistici, fenomenologici e d’innovazione visuale.
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