Sissi (Daniela Olivieri, Bologna 1977), è un’artista elegante e così le sue creature, il suo universo policentrico, un inno alla vita fatto di abiti, sculture, installazioni e performance, cui vi si dedica infinitamente e pazientemente, con attitudine scientifica. E c’è un’ambiguità importante tra il suo mondo vitale e colorato e le secrezioni straripanti che lo abitano, organismi filamentosi prodotti da una manualità consistente, abile e sensualissima. Abbiamo parlato con lei della mostra Vestimenti, fino al 19 aprile a Bologna, a Palazzo Bentivoglio e che adesso si è reinventata in seguito all’emergenza sanitaria italiana, ma anche della sua ceramica, delle sue fascinazioni, e dei progetti futuri.
Sara Cirillo: Partiamo dalla mostra Vestimenti a Palazzo Bentivoglio di Bologna: la tua ricerca artistica ha sempre messo al centro il corpo. Senza voler cadere nell’errore cartesiano di contrapporre istanze diverse, è corretto vedere tanto negli abiti quanto nel riferimento alle viscere anatomiche, due epifanie della corporeità? Mi riferisco al corpo-vissuto, mondanizzato da una parte e al corpo anatomico dall’altra…
Sissi: Il vestire è il nostro essere visto da fuori. Ho letto sui libri di medicina e ho studiato dai cartamodelli sartoriali per anni e ancora oggi trascorro il mio tempo con loro per sentirmi sempre in piena di esperienza. Sovrapponendo linguaggi e metodi di apprendimento a poco a poco ritrovi comuni denominatori, c’è sempre un legame con il fare. Anatomia in greco significa tagliare, aprire e quindi guardare dentro al corpo alla pari di un tessuto, di un lembo alzato e piegato a sua volta come le pagine di un libro sfogliato.
La mia ricerca cresce nel paesaggio interno del corpo, con il libro d’artista Anatomia Parallela dal 1998 scrivo e disegno identità in cambiamento.
L’esterno muta e l’interno lo segue. Le emozioni interne sono organi intangibili che nell’interazione con il mondo esterno trovano forma.
Un’opera che risale dal profondo interno verso la superficie, la pelle, l’involucro che ci contiene. Tra diari, archivi e vestiti studio le oscillazioni dell’abito, un elemento integrato del nostro corpo. Così come si rinnovano quotidianamente le cellule del nostro corpo gli abiti si cambiano.
Dorfles diceva che la moda è una cosa seria, mentre oggi parlarne evoca ancora giudizi superficiali. Per te gli abiti sono sicuramente cosa seria: penso per esempio al significato simbolico relativo alla veste contesa nella Deposizione dell’Antelami. Quanto c’è di universale e quanto di personale e intimista nel tuo rapporto con la moda e con gli abiti?
L’immagine della veste spogliata e contesa è raccolta in un angolo del rilievo marmoreo, aggettante verso l’esterno nella forma di un’onda che può rovesciarsi su di te e portare il rinnovamento. È stata un’immagine che si è fatta manifesto del mio pensiero e della mostra. Quando s’incontra un abito lo si tocca e lo si vuole possedere come fosse un altro individuo con cui relazionarsi. Mi affascinano i movimenti che compiamo con personali cadenze nel piegare, appendere, pulire, sistemare, accumulare, buttare e conservare in scatole chiuse gli oggetti che ci stanno vicini, e gli abiti sono quelli più intimi. I materiali hanno un potere suggestivo, interagendo nell’incontro con l’uomo esprimono seduzione e io ho visto continuamente altro dentro all’inorganico, ma poi ciò che permane è la trasformazione che con loro impari a conoscere e a vivere. Il semplice gesto di riprendere un abito archiviato in una scatola in cantina, innestandolo nel quotidiano è per me restituire al futuro l’esperienza del passato. È un rito denso d’intenti trasformativi.
La mostra è attualmente non visitabile in seguito all’emergenza sanitaria che sta costringendo l’Italia a una quarantena forzata. Con il Palazzo avete deciso di optare per una forma d’esperienza diversa… Quali sono le tue fonti di ispirazione in questi giorni difficili? Quali sentimenti ti pervadono?
La casa è un’espansione del corpo, mi prendo cura dello spazio e sento i benefici di questo vivere dentro di me. Ora più che mai dedico le mie giornate a lavori che richiedono tempo, dedizione e immobilità in compagnia di un salotto e di un terrazzo.
Il cucire è per me un’elastica ginnastica per tendere verso il fuori, uscire in quanto l’abito ci introduce emotivamente nel mondo. Di conseguenza in questo momento non taglio e non cucio, ma ricamo, rattoppo insistendo in punti che si accumulano uno sull’altro in un tumolo di progetti.
Con Palazzo Bentivoglio abbiamo consegnato l’incarico di poter uscire a un filo, a una linea che tramasse fuori un viaggio verso tutti. L’idea si è concretizzata in una serie di disegni a matita con cadenza giornaliera. Un diario che calza a pennello le stories del profilo di Palazzo Bentivoglio su Instagram. Appaiono e sfumano ogni giorno per vestire e vivere il nostro sentire ora.
Passiamo alla ceramica. Il tuo lavoro in questo senso evoca davvero una visceralità informe, una fisicità potente a una tattilità che spinge il visitatore in prossimità dell’opera. Quanta sensualità e quanta cupezza c’è nel tuo rapporto con questo mezzo? Hai parlato di “corpo spiaccicato al muro” ed “esplosioni nervose”…
Nell’argilla cerco la costola mancante. Motivi Ossei è un titolo che riunisce tutti i miei lavori ceramici dal colore lattiginoso. È germoglio quando s’installa negli spazi interni ed è irruenta, massiccia quando fuoriesce collocandosi in esterno per sopravvivere all’ambiente.
La ceramica è la maturità di un morso argilloso, tiro fuori da lei catene nodose e articolatorie.
Tutto per me è struttura, che sia argilla, ossa, tessuti o scheletri metallici il fine è di formare l’identità disordinata del multiuniverso che ci accompagna.
Hai usato la ceramica anche per il tuo omaggio a Giorgio Morandi, presentato ad ArteFiera dalla Galleria d’Arte Maggiore. Che rapporto hai con questa storica Galleria bolognese e con l’eredità morandiana?
Ci sono diverse affinità che ci uniscono come l’interesse per l’opera di Giorgio Morandi, ma soprattutto la passione per la ceramica, con cui lavoro grazie al supporto produttivo della Bottega Gatti a Faenza.
Io vedo dentro la materia ferma delle pitture di Morandi una linea bitorzoluta e informe, perché nel contatto con l’altro la mia natura è svelare le pulsioni vitali in tutto ciò che mi circonda.
Nelle due opere omaggio all’artista dal titolo “Mornatura” rappresento un vaso di fiori e un insieme di bottiglie su un vassoio. Il mio intervento è paragonabile a un soffio di fiato che manipola la terra animando per un attimo le nature morte di Morandi e poi cristallizzarle nuovamente nel movimento di ritorno alla vita.
Cerco di vedere nella pittoricità di Morandi una componente bitorzoluta e informe che sento nella mia manipolazione e pressione radicata con l’argilla. Nella terra come nella pittura c’è una bagnata e scivolosa nascita, ma anche l’opposizione alla reazione d’uscita come una radice diradicata che tiene la terra d’origine. Trovo sempre nel lavoro pulsioni contrastanti che imparano a crescere insieme.
Uno dei tuoi maestri bolognesi è stato Renato Barilli, ci puoi dire di più? Anche rispetto alla tua formazione in Accademia…
Mi sono formata all’Accademia di Belle Arti di Bologna dove attualmente insegno Anatomia e Tecniche Performative. Sono le stesse materie che ho prediletto nella mia formazione accademica e quelle con cui mi sono laureata. Ho iniziato precocemente iscrivendomi a 16 anni in Accademia e lì ho costruito importanti riferimenti. Renato Barilli non insegnava all’Accademia e quindi non era tra i miei professori, ma non da meno ha contribuito alla mia crescita.
Il riannodare i fili, l’assemblare nodi e lo sferruzzare, centrali per la tua produzione artistica, quanto divengono gabbie e quanto nidi nell’opera finita?
Le opere “Nidi” sono sculture dalle forme che richiamano sinapsi, cellule, case, nuvole intrecciate in bambù e carte dipinte, presentate per la prima volta nel 2003 al Macro di Roma.
Un’opera significativa per me perché segna il passaggio dai filati morbidi e plastici lavorati a maglia all’uso di materiali naturali intrecciati e strutturati dalla trama e dall’ordito. Le sculture erano sempre state fino a quel momento bozzoli da indossare, da abitare, luoghi della performance. Invece i “Nidi” sono i “fratelli maggiori”, forme indipendenti, sculture vuote, forse abbandonate e pronte a ospitare ciò che migra.
Il nido viene costruito attorno al corpo dall’istinto mentre la gabbia è forgiata dalla mente razionale. La creazione necessita di indagine, l’andamento del pensiero procede a fianco e risponde continuamente al mutamento e al fluire dei materiali con cui lavoriamo.
Sei particolamente affascinata dagli archivi e dalla memoria. L’archivio è più uno spazio fisico o mentale?
L’atto di archiviare è bello perché unisce la fisicità della gestione e la metodologica del pensarlo. Una volta che si è impostata la procedura di archiviazione il seguito è naturale, continuo come lo scorrere delle acque nel letto scavato del fiume. È un gesto ripetitivo e al corpo piace la routine. Dare a ogni cosa un posto è diventata una pratica psichica di rispetto e di appartenenza che si espande dalle cose alle persone. Non nego il lato ossessivo che appassiona i miei cassetti organizzati, ma come ogni cosa l’importante è che sia personale.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Attualmente sto facendo ricerca all’archivio moda dello CSAC per un progetto con l’Università di Parma e le Aziende Manifatturiere del territorio in occasione di Parma 2020 città della cultura, un progetto che si concluderà con una mostra e un libro nel 2021. In particolare nella sezione dedicata ai disegni e ai figurini di moda ho selezionato tre identità femminili come punto di partenza per la realizzazione di tre abiti scultura grazie appunto alla collaborazione delle aziende partner del territorio. Le protagoniste del mio omaggio sono Krizia perché il suo lavoro mi suggerisce l’abito “informato” di cultura, Cinzia Ruggeri perché mi rimanda all’abito “surreale” che vive nel paesaggio utopico e Brunetta che non è una designer in senso stretto, ma una illustratrice di moda che ha permesso una nuova visione della figura della donna nell’immaginario legato alla produzione dei figurini.
Info:
Sissi. Vestimenti
a cura di Antonio Grulli
21 gennaio – 19 aprile
Palazzo Bentivoglio, Bologna
www.palazzobentivoglio.org
Sissi, You are more naked when dressed, 2011. Courtesy dell’artista
Sissi, Vestimenti, 2020 (detail)
Sissi, Motivi ossei, 2016, installation view Palazzo Bentivoglio. Courtesy dell’artista. Foto di Ela Bialkowska
Sissi, Nidi, Installation View at the artist’s studio, 2004 Collegio Venturoli, Bologna. Courtesy dell’artista
Sissi, Vestimenti, Installation View, 2020 Palazzo Bentivoglio. Courtesy dell’artista. Foto di Ela Bialkowska
Sissi, Nidi, Installation View at the artist’s studio, 2004 Collegio Venturoli, Bologna. Courtesy dell’artista.
Laureata in Storia dell’Arte con una tesi in Filosofia sull’allegorismo barocco in Benjamin, amo le avanguardie ruggenti degli anni Dieci e Venti, la capacità euristica della filosofia dell’arte e faccio mia la frase attribuita a Paul Gauguin secondo cui l’arte o è plagio o è rivoluzione.
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