In questa conversazione, l’artista berlinese Tobias Zimmer discute la sua arte algoritmica ripercorrendo i lavori digitali da lui realizzati a partire dal 2013. Attraverso uno sguardo ai suoi metodi di indagine sperimentali, progettuali e programmati, l’artista si sofferma sul potenziale offerto dalle tecno-scienze nel discorso artistico.
Sara Buoso: Il tuo lavoro fotografico sperimentale, Waves³, 2013, presenta un interessante contributo alla visualizzazione del fenomeno dell’entanglement della luce attraverso una pratica che si colloca tra arte e tecno-scienze. Parleresti del processo che informa questo lavoro?
Tobias Zimmer: Ho sviluppato Waves³ quando ho iniziato a studiare Intermedia Design all’Università di Scienze Applicate di Treviri. L’opera faceva parte di una mostra sul tema del disordine. Camminando lungo il fiume vicino all’università, ho iniziato a notare le forme in movimento della luce solare riflessa dalla superficie dell’acqua: un effetto ottico noto come caustica. All’inizio pensavo ingenuamente di essere stato testimone di un fenomeno naturale completamente nuovo, ma ovviamente era già noto lo studio di questi fenomeni luminosi a contatto con superfici riflettenti. A quel tempo ero interessato anche alle immagini sonore reattive, soprattutto dal punto di vista della programmazione, e volevo trovare un trasferimento analogico, in combinazione con la mia passione per le caustiche. Ecco perché ho costruito un setup di caustiche artificiali. Ho posizionato un altoparlante sotto una vasca d’acqua e ho utilizzato come fonte di luce un piccolo proiettore, che era diretto verso la superficie dell’acqua, riflettendo la luce su uno schermo di proiezione. Ho riprodotto frequenze sinusoidali basse sull’altoparlante, che hanno messo in vibrazione l’acqua, formando un’onda stazionaria che rispecchiava la frequenza del suono. La linea inizialmente retta della luce riflessa risulta distorta dalla superficie oscillante dell’acqua. Infine, ho fotografato la proiezione risultante con tempi di esposizione molto brevi, per catturare onde singole, anziché molteplici sovrapposte. In questo modo le fotografie ritagliano fette di caos caustico e mostrano qualcosa che diversamente non è percepibile a occhio nudo.
Fai riferimento all’opera Notion Motion, 2005, di Olafur Eliasson. Ma dal momento che descrivi il tuo lavoro come una “sperimentazione visiva”, questo mi ricorda esperimenti nel campo della meccanica quantistica e della fisica quantistica, come ad esempio l’esperimento del gatto di Schrödinger.
Waves³ potrebbe ricordare l’impostazione di un esperimento di fisica sull’interferenza, che mostra come due onde in un bacino d’acqua interagiscono tra loro, dopo aver attraversato due fenditure. Viene sempre mostrato in riferimento al famoso esperimento della doppia fenditura della fisica quantistica, che ha dimostrato che la luce può essere percepita sia come onda sia come particelle su scala quantistica. Non direi che il mio lavoro tocchi questo esperimento. Anche il gatto di Schrödinger è un puro esperimento mentale e in Waves³ mi interessavano solo gli effetti audiovisivi. Tuttavia, il dualismo particella/onda, come dimostrato dall’esperimento della doppia fenditura, mi interessa fin dai tempi delle lezioni di fisica al liceo. Soprattutto perché i suoi risultati sfidano il nostro buon senso ed è così difficile immaginare che su scala quantistica gli elementi assumano comportamenti diversi, a seconda di come li si misura. Si apre la questione se esista davvero una realtà oggettiva o se noi come osservatori definiamo il mondo decidendo come guardarlo.
Che dire degli altri lavori che implicano una pratica della luce?
Dato che lavoro principalmente a livello visivo, tutte le mie opere coinvolgono la luce (ride). In un progetto di ricerca sulla soffiatura del vetro, ho creato oggetti con lavorazioni casuali, che ho utilizzato come lenti sperimentali per distorcere la luce e i disegni. Gli effetti caustici sembrano pura magia e per me sono tanto affascinanti quanto scadenti. Avevo la sensazione di dover purificare gli oggetti dalla loro magia e riportare ordine nel caos caustico. Recentemente ho lavorato con la computer grafica 3D e il ray tracing, che simulano digitalmente la luce con le leggi della fisica. Con questo, sarebbe possibile ottenere quella “epurazione” algoritmica e quindi creare oggetti del mondo reale dalla simulazione. Iniziare con una simulazione al computer si adatta molto bene al mio modo di lavorare partendo dalla ricerca, ma è sempre importante per me avere un riscontro nel mondo fisico.
Parli di un approccio metrico e progettuale per ridimensionare e misurare la tecnologia. Ora la tua ricerca artistica si concentra sull’arte algoritmica. Puoi dirci qualcosa in più su questa pratica?
L’arte algoritmica affonda le sue radici negli anni ‘60, quando alcuni artisti e tecnologi iniziarono a lavorare con la programmazione e i computer, utilizzando plotter a penna per l’output grafico. Anche alcune opere del movimento Fluxus e di Arte Concettuale dell’epoca possono essere viste come algoritmiche. Al giorno d’oggi siamo circondati da tecnologie informatiche e algoritmi integrati nella nostra vita fino al livello corporeo. Ma non si tratta solo dei computer indossabili o degli smartphone: il modo in cui le persone organizzano la propria vita scrivendo liste di cose da fare e ripetendo routine o anche quando usano una ricetta per preparare una torta, seguono un algoritmo. La mia pratica consiste nel programmare il mio software artistico, cercando di sperimentare paradigmi algoritmici sul mio corpo. Visualizzando i risultati voglio mostrare come il pensiero algoritmico interiorizzato abbia un’influenza sulla nostra vita. Nel mio lavoro Identical Walk, 2021, una mostra performativa e generativa, ho fatto ventuno passeggiate, partendo ogni giorno dal mio studio percorrendo lo stesso percorso, allo stesso tempo, seguendo esattamente con gli stessi passi. A questo scopo ho costruito un dispositivo, il Pacemaker, che registrava i miei passi tramite microfoni. La registrazione audio è stata riprodotta tramite altoparlanti durante la camminata del giorno successivo come guida per i miei passi da seguire. Allo stesso tempo i dati raccolti durante la passeggiata hanno generato gli oggetti presenti in mostra. Volevo sperimentare cosa significa sottomettersi completamente a un algoritmo che ho creato per me stesso. Fornisce una sensazione di stabilità e controllo o porta alla stagnazione in una ripetizione infinita? Mi impegno in una meditazione camminata consapevole o sto seguendo una promessa sbagliata di prestazione attraverso l’auto-ottimizzazione?
In questo senso, l’arte algoritmica mette in discussione i confini tra caso e controllo, libertà e potere.
Il caso e la casualità vengono spesso utilizzati nell’arte algoritmica per introdurre varietà in un rigoroso ordine programmato. Anche questo faceva parte di un corso di programmazione artistica che ho tenuto alla Bauhaus University di Weimar. In questo caso, ho alternato i compiti in classe tra scrittura di semplici programmi per computer in linguaggio Processing e la scrittura di algoritmi per gli altri studenti con il linguaggio naturale, generando per entrambi un output visivo. Ero interessato a utilizzare la mente umana come un processore grafico, in un modo simile a come il linguaggio di programmazione utilizza il processore del computer. Come riferimento, a partire dagli anni ‘60, l’artista Sol LeWitt scrisse semplici istruzioni che furono eseguite da altre persone, dando vita ai suoi famosi disegni murali. Anche se Sol LeWitt probabilmente non la vedeva in questo modo, penso che il suo lavoro possa essere inteso in termini di programmazione. Nella mia classe è stato interessante notare che quando qualcuno scrive un algoritmo per una persona, bisogna imparare a mettersi nella prospettiva della persona che li esegue e cosa significa dare istruzioni esatte. Quando si programma un computer, non c’è spazio per comandi vaghi. Se commetti un errore, il programma non funziona affatto. (Tuttavia, questo sta cambiando con gli strumenti di intelligenza artificiale come GPT, i quali consentono di programmare su istruzioni dal linguaggio naturale). Gli esseri umani, d’altro canto, sono in grado di interpretare istruzioni non specifiche. Se sei vago con le tue parole, potresti sorprenderti di ricevere risultati diversi da quello che avevi in mente. Imparando a programmare, scrivendo istruzioni per altri esseri umani ed eseguendo tali istruzioni tu stesso, sperimenterai un altro modo di pensare. L’arte algoritmica significa sempre pensare pensando all’altro, che si tratti di computer, esseri umani o altre entità.
Info:
www.tobiaszimmer.net
È interessata agli aspetti Visivi, Verbali e Testuali che intercorrono nelle Arti Moderne Contemporanee. Da studi storico-artistici presso l’Università Cà Foscari, Venezia, si è specializzata nella didattica e pratica curatoriale, presso lo IED, Roma, e Christie’s Londra. L’ambito della sua attività di ricerca si concentra sul tema della Luce dagli anni ’50 alle manifestazioni emergenti, considerando ontologicamente aspetti artistici, fenomenologici e d’innovazione visuale.
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