Vicente Todolì è il direttore del Pirelli HangarBicocca ma non solo, è un curatore attento e protagonista di alcune delle mostre più importanti degli ultimi anni. Una figura interessante del mondo dell’arte contemporanea come se ne trovano poche oggi.
Francesco Liggieri: Vorrei fare capire chi è senza riassumerlo io, vorrei che lo facesse lei descrivendosi con il titolo di un’opera d’arte.
Vicente Todolì: Il titolo è Untitled, 2021 (ma l’anno di realizzazione cambia sempre), perché mi sento come Ulisse con Polifemo nella mitologia greca. Quando il ciclope chiede all’eroe il nome, questo risponde: Nessuno. Una volta accecato da Ulisse, Polifemo non poteva fare altro che accusare Nessuno davanti agli altri ciclopi. Meglio usare il proprio nome con astuzia e cautela.
Pirelli Hangar Bicocca è per molti l’esempio di qualità e di sperimentazione di cui tanto c’è bisogno in un panorama artistico come quello italiano. Quali sono i suoi consigli per rendere un’istituzione di qualità?
Per prima cosa, ogni istituzione deve cercare il proprio DNA attraverso una serie di domande sulla propria identità. La prima domanda è “chi vuoi essere come istituzione?”. Questo l’ho imparato quando studiavo a Yale nel 1981 con Vincent Scully, storico dell’arte e dell’architettura, grande amico ed esperto di Louis Kahn, l’architetto. Khan, prima di iniziare a progettare un edificio, domandava all’edificio stesso “chi vuoi essere?” e così via con ogni materiale utilizzato. È una domanda metafisica, che tiene sempre in conto il sense of place, il qui e ora dell’istituzione. Si parte sempre dal luogo in cui ti trovi e arrivi a definire la tua posizione nell’universo. Metaforicamente un’istituzione è come un corpo, si parte dai piedi, che ti ancorano al posto in cui sei e arrivi alla testa, che deve essere un radar capace di captare ciò che ti sta attorno, le forme di vita dell’universo. Successivamente, ogni istituzione deve avere una sua personalità, deve capire qual è la sua utilità nel mondo e perché è diversa da tutte le altre. Una volta compreso, questo diventa una sorta di biglietto da visita, il pubblico quando entra in un’istituzione deve sentirsi dire “Piacere di conoscerti, questa sono io”.
Cosa trova (se c’è qualcosa) di interessante per lei nelle cosiddette mostre blockbuster?
Bisogna distinguere, ci sono mostre blockbuster che sono fatte solo per portare pubblico e numeri, ma ce ne sono altre che lo fanno anche attraverso un lavoro di ricerca. Mostre del genere devono raccontare e aggiungere al lavoro di un artista le parti meno conosciute, altrimenti non hanno senso. La missione di un’istituzione deve essere la qualità, non la quantità, soprattutto per un’istituzione no profit. Una mostra blockbuster non deve solo presentare i nomi, ma offrire qualcosa che manca al pubblico, altrimenti è un inganno e uno spreco di lavoro, di trasporto di opere d’arte e tutto questo non è giustificabile. Le esposizioni servono per approfondire il lavoro degli artisti, non sono un brand.
Come ha influito la pandemia sul suo lavoro?
Per la prima volta mi sono trovato a organizzare mostre via Zoom ed è stato molto complicato. Questo perché la relazione tra opere, spazio e corpo è fondamentale. La presenza fisica è insostituibile, tanto per i curatori quanto per i visitatori. Nella progettazione digitale le mostre sembrano dei videogiochi e l’arte diventa una sorta di avatar. Un altro aspetto che ha influito sul lavoro è stato l’impatto che la pandemia ha avuto sulla programmazione di Pirelli HangarBicocca, abbiamo dovuto ripensare e riorganizzare la durata delle mostre, in modo che il pubblico potesse recepirle nella loro integrità. In Pirelli HangarBicocca abbiamo la fortuna di avere una programmazione flessibile, dal momento che le mostre sono organizzate da noi e generalmente non fanno parte di un tour. Per questo siamo riusciti a fare esposizioni che sono rimaste aperte diversi mesi e non solo poche settimane. Soprattutto perché era importante valorizzare lo sforzo organizzativo: tenere aperta una mostra per poche settimane non ne valeva la pena per tutto il lavoro impiegato per realizzarla.
Può raccontarci come nascono le scelte espositive all’interno di Pirelli HangarBicocca?
In Pirelli HangarBicocca, insieme al dipartimento curatoriale, selezioniamo gli artisti la cui opera pensiamo possa funzionare nel nostro spazio. Nello Shed, dove presentiamo artisti più giovani e mid-carreer, lo spazio architettonico influisce nella nostra scelta, ma nelle Navate, dove esponiamo il lavoro di artisti più affermati e storicizzati, lo spazio determina le scelte, perché l’opera d’arte deve entrare in una relazione simbiotica con lo spazio. La nostra massima è 1+1=3, perché l’incontro tra arte e architettura deve beneficiare entrambe, molto più della semplice somma delle loro parti. Per questo immaginiamo retrospettive site-specific. Per prima cosa proviamo a vedere come l’opera si potrebbe comportare e vivere nello spazio, poi instauriamo un dialogo stretto con l’artista, costruendo insieme le nostre scelte.
Il pubblico va formato o va intrattenuto all’interno di una mostra d’arte?
La sfida è far venire il pubblico a visitare le mostre. L’esperienza di ognuno è poi unica e insostituibile. Il nostro obiettivo è permettere al visitatore di avere la sua interpretazione, per cui la formazione è centrale, ma, così come l’intrattenimento, dipende da persona a persona. Quello che cerchiamo di fare in Pirelli HangarBicocca è creare conoscenza e se questa produce anche intrattenimento, perché no. L’obiettivo è produrre un’esperienza che possa arricchire la vita delle persone, la mostra non deve essere un semplice passatempo, ma uno strumento attraverso cui lo spettatore può costruirsi la propria storia dell’arte. Per me non esiste la Storia dell’arte, ma storie dell’arte. Dobbiamo permettere allo spettatore di avere il coraggio di costruirsi la propria storia, in modo che possa camminare da solo.
Che consigli darebbe a un giovane artistə che vuole diventare grande all’interno del mondo dell’arte?
Io dico sempre che mi interessa l’arte, non il mondo dell’arte. L’artista deve essere sincero: fa arte perché vuole fare arte, non per cercare notorietà. La fama è una conseguenza, non il punto di partenza. E per questo ci vuole onestà.
Esiste un luogo che lei identifica come l’inizio del suo percorso e del suo lavoro, nella sua memoria?
Nell’estate del 1976 lavoravo come guida ad alcune grotte vicino a Palmera, il mio paese natale in Spagna. Quell’anno la Biennale di Venezia presentava la mostra Spagna. Avanguardia artistica e realtà sociale (1936-1976). Decisi di spendere i soldi del mio lavoro per un biglietto del treno Valencia-Venezia per vedere quell’esposizione. Era il mio secondo viaggio all’estero e quella è stata la prima mostra di arte moderna che ho visitato – l’anno prima era morto Franco e in Spagna non c’erano musei che esponevano arte moderna-contemporanea. A Venezia ho avuto un’epifania: volevo fare quello nella vita, fare mostre come quella. Ventuno anni dopo, nel 1997, per me il cerchio si è chiuso quando sono entrato nel team di curatori della Biennale di Germano Celant, insieme a Nancy Spector e Giorgio Verzotti. È stato un momento confortante, perché ho visto il risultato dell’epifania che avevo avuto ventun anni prima.
Ci sono differenze tra Spagna e Italia in campo espositivo e artistico?
Non sono molto diversi come Paesi. Direi, però, che in Spagna, tra gli anni ottanta e novanta, c’è stato un forte sviluppo di musei pubblici di arte contemporanea. Penso all’IVAM di Valencia, una città che non era conosciuta per i suoi musei. Questo è avvenuto dopo la morte di Franco nel 1975, in Spagna non c’erano molti musei e questo ha permesso a diverse città di aprirne di nuovi, legati all’arte moderna e contemporanea. Un altro motivo che ha propiziato la nascita e lo sviluppo di queste istituzioni pubbliche è la struttura politica delle comunità autonome che permette a ogni regione di governarsi con maggiore indipendenza, a differenza di quanto accade nelle regioni italiane. Questa autonomia permette anche una maggiore libertà nell’assegnazione dei fondi e nella gestione museale.
Se non fosse il direttore artistico di HangarBicocca, cosa le piacerebbe fare?
In realtà quello che sto facendo e faccio da sempre, il curatore indipendente. La carica di direttore è temporanea, mentre potrò sempre fare il curatore che concepisce mostre e collezioni. Inoltre, ho aperto una mia fondazione, la Todolí Citrus Foundation, a Palmera vicino a Valencia, in Spagna. È una mia iniziativa ed è un progetto che finanzio direttamente io. La sua missione è studiare, diffondere e soprattutto difendere la coltivazione e la biodiversità degli agrumi.
Se esistesse una macchina del tempo, in quale periodo storico tornerebbe per conoscere qualcuno?
Nelle valli del nord di Alicante, in Spagna, ho avviato un mio progetto agricolo. Quell’area montuosa è nota per ospitare nelle insenature rocciose delle montagne diverse pitture preistoriche rupestri. Io le ho sempre visitate e ammirate, ancora oggi vado a vederle. Tutte le volte cerco di immaginarmi la vita di questi “artisti” 5.000-6.000 anni fa e vorrei sapere perché e come facevano quelle pitture. Vorrei arrivare alle origini dell’arte, anche se le condizioni di vita all’epoca dovevano essere abbastanza terribili.
Info:
Vicente Todolì, Photo Lorenzo Palmieri, Courtesy Pirelli HangarBicocca, Milano
Maurizio Cattelan, Blind, 2021. Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2021. Prodotta da Marian Goodman Gallery e Pirelli HangarBicocca, Milano. Courtesy l’artista, Marian Goodman Gallery e Pirelli HangarBicocca, Milano. Foto Agostino Osio
Cerith Wyn Evans, “…the Illuminating Gas”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2019. Courtesy dell’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano. Foto Agostino Osio
Dieter Roth e Björn Roth, Islands, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2013 © Dieter Roth Estate. Courtesy Hauser & Wirth e Pirelli HangarBicocca, Milano. Foto Agostino Osio
Cildo Meireles, Marulho, 1991/1997. Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2014. Courtesy dell’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano. Foto Agostino Osio
Kishio Suga, Left-Behind Situation, 1972/2016. Courtesy dell’artista, Glenstone Foundation, Potomac, Maryland e Pirelli HangarBicocca, Milano. Foto Agostino Osio
Lucio Fontana, Ambiente spaziale con neon, 1967/2017, veduta dell’installazione in Pirelli HangarBicocca, Milano, 2017. Courtesy Pirelli HangarBicocca, Milano. ©Fondazione Lucio Fontana. Foto Agostino Osio
Artista e curatore indipendente. Fondatore di No Title Gallery nel 2011. Osservo, studio, faccio domande, mi informo e vivo nell’arte contemporanea, vero e proprio stimolo per le mie ricerche.
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