Ho visto per la prima volta 108 in forma di adesivo nella periferia di Alessandria, erano i primi anni 2000. Anni dopo l’ho conosciuto di persona grazie a contatti in comune e l’ho curato in alcuni eventi tra il 2012 e il 2015. Guido Bisagni è uno degli artisti italiani contemporanei più riconoscibili e conosciuti anche all’estero; il suo lavoro e la sua ricerca hanno qualcosa di mitico e magico: il suo nero, come le sue forme, sono inconfondibili. È artista di un’altra dimensione, con quell’umiltà rara degli esseri umani che non hanno bisogno di dimostrare nulla.
Francesco Ligieri: Volevo fare capire chi sei, ma non volevo riassumerlo io, vorrei che lo facessi tu, descrivendoti con il titolo di un’opera d’arte.
Guido Bisagni: È difficilissimo trovarne solo una, sia per stile e sia per soggetto, tuttavia, penso di sentirmi empaticamente vicino al Misantropo di Bruegel il Vecchio. Negli ultimi anni non mi vesto più di nero, quasi mai, e sto cercando di guardare il mondo con più distacco, senza farmi influenzare dagli eventi. Quel dipinto, però, è una perfetta descrizione di come funziona il mondo – oggi più che mai – e della mia posizione tra gli esseri umani.
Sulla pittura si è detto di tutto e di più. Secondo te essa che ruolo ha nella nostra società?
La pittura è sempre la più immediata delle arti, esiste da quando l’uomo è apparso sulla terra ed esisterà per sempre, variando gli stili e i mezzi. Oggi viviamo un periodo molto superficiale, tutto si fonda sulla quantità e la pittura riflette questa situazione: si potrebbe aprire un discorso lunghissimo, con il rischio di dire cose ancora più banali. Personalmente, penso che sia un momento storico in cui tutta l’arte di valore è più che mai una cosa separata da quello che propongono e impongono il mercato e il circuito dell’arte. Inoltre, non è facilissimo dire che cosa sia la pittura oggi, perché molte composizioni ed elaborazioni grafiche digitali sono, in effetti, opere pittoriche al servizio del mercato o della politica. Penso che le arti pure, non solo la pittura, abbiano oggi un ruolo fondamentale per l’umanità, che, in fin dei conti, è quello di sempre: destabilizzare, turbare, risvegliare le anime in modo profondo ma irrazionale. Quindi la pittura, specialmente se “fisica” – fatta con le mani e con la materia – dovrebbe avere quel ruolo.
La pittura orientale e quella occidentale si incontrano bene nel tuo percorso. Quanto è importante conoscere per dipingere?
Niente di quello che faccio è stabilito e pianificato razionalmente. Dentro ai miei lavori ci metto tutto; parlare solo di pittura per me è riduttivo. Per me dipingere è come comporre un brano musicale, ed è per quello che la mia pittura è (quasi) sempre astratta. Da questo punto di vista, se ci penso, mi sento sia europeo e sia euroasiatico e, in effetti, faccio fatica a distinguere il confine geografico tra Europa e Asia. Non ho mai dato importanza ai confini tra i diversi stati europei e con gli anni, dopo vari viaggi, mi sono reso conto di avere fortissimi legami con l’Oriente, mentre mi sento sempre fuori posto in paesi come gli Stati Uniti, sebbene “occidentali”, anche se la loro influenza su di noi è così forte. Soprattutto se guardo ai miei lavori precedenti, c’è sempre qualche legame con l’Est del Vecchio Mondo.
Come ha influito la pandemia sul tuo lavoro?
La mia vita, dal punto di vista puramente lavorativo, non è cambiata molto. Generalmente passo le mie giornate da solo in studio (che è in casa) ed è quello che ho fatto per tutto il periodo di pandemia. Dapprima, per lo stato di angoscia delle prime settimane e poi per il graduale rilassamento dovuto all’accettazione di non potere muovermi, mi sono trovato a lavorare più del solito e, incredibilmente, offerte e richieste di lavoro sono, in certi momenti, aumentate. Ho letto molto, come non facevo da anni, e ho iniziato a dedicare un breve spazio della mia giornata ad alcuni esercizi di meditazione. A livello pratico, in quel periodo, credo di avere fatto alcuni dei lavori più importanti di tutta la mia vita.
Quando guardo i tuoi lavori penso sempre che l’elemento mistico sia un elemento importante nel tuo modo di dipingere, quanto ne sei influenzato?
Chi mi conosce sa che per me l’arte è fondamentalmente magica e spirituale. Non riesco proprio a darle un senso se non la vedo in questo modo, più passano gli anni e più questo aspetta diventa chiaro. Il lato mistico è fondamentale nella mia visione del mondo, tutto è magico e mi dispiace che messa giù così la cosa suoni banale. Non mi piace parlare più di tanto della mia vita privata e nemmeno cercare di spiegare accuratamente il mio lavoro. Tuttavia, mi sento in obbligo di farlo: ho avuto questa fortuna, pur senza averne apparentemente le possibilità sociali per farlo, di aver passato gran parte della mia vita a dipingere per almeno gli ultimi dieci anni e molte volte mi sento in debito per questo. Prima di tutto se non avessi avuto questa visione del mondo sarei probabilmente impazzito negli ultimi anni, che per me sono stati abbastanza difficili, e poi io penso, ogni giorno di più, che ci si sia dimenticati che l’artista debba prima di tutto fare arte, non parlarne. Se quello che faccio fosse possile da spiegare con un testo allora farei il saggista. Hai usato la parola mistico, che mi piace molto, che è legata alla parola mistero, il Mistero con la M maiuscola è per me fondamentale nelle arti. Le arti devono mantenere un lato che non sia spiegabile razionalmente, quella parte che ti fa commuovere davanti a un quadro di Segantini o di Malevič. La mia formazione è scientifica; sono una persona particolarmente pratica, ma non sono una macchina.
Esiste un luogo che identifichi come l’inizio del tuo percorso e del tuo lavoro?
Non ci avevo mai pensato ma lo vedo chiaramente adesso: una stanza-laboratorio in cortile che, quando io ero piccolo, la padrona di casa lasciava a mio nonno per fargli fare i suoi lavoretti. Era un posto poco spazioso e pieno di pezzi di legno e altro materiale recuperato, con cui faceva di tutto: dall’aggiustare qualsiasi cosa si rompesse al costruire piccoli oggetti. In particolare aveva costruito gran parte dell’ambientazione per un plastico per trenini che non riuscì mai a finire, con montagne, gallerie e castelli. Da piccolo non capivo perché, nonostante la sua grande manualità e capacità tecnica, le sue creazioni non fossero mai del tutto realistiche. Si perdeva in finiture dettagliatissime e altri particolari che risultavano bizzarri, ma con gli anni ho capito che in quel modo, senza esserne cosciente, lui era un vero artista: creava il suo mondo. Mio nonno era una persona di bassa estrazione sociale: aveva fatto la guerra e passato tra le presse in fabbrica tutto il resto della sua vita, ma aveva sempre un’eleganza e degli interessi che esulavano dal suo stato sociale. Aveva tanti libri e, anche se aveva viaggiato solo come soldato e prigioniero durante la guerra, era affascinato dai Paesi lontani. In quella stanza, con lui, ho iniziato a fare i primi lavoretti, a dipingere, a meravigliarmi per le cose più strane, ma anche a non accontentarmi del posto che questa società aveva preparato per me. Se oggi guardo il mio studio, in effetti ricorda molto quel posto.
Quanto è importante la ricerca dell’“io” nel tuo percorso?
Questa è una domanda difficilissima: prima bisognerebbe capire cosa vuol dire “io”. Fin da quando ho deciso di usare un numero come nome, ho più o meno coscientemente iniziato una sorta di lotta con il mio ego. Nel mio lavoro è presente una ricerca che scava nel profondo, ho cercato di eliminare le influenze sociali più becere, ma anche certi aspetti culturalmente acquisiti, ma è difficilissimo. In molti pensano alla meditazione come a una pratica bizzarra, come un modo per darsi un tono o come una perdita di tempo. Ma anche grazie a quei pochi minuti, io credo di essere riuscito ad avere i primi piccolissimi frutti: ho iniziato a riconoscere non solo il corpo, ma anche la mente, come qualcosa di separato ed esterno a “me”. In certi casi, ciò mi è stato molto utile per considerarmi una persona migliore di quella che ero qualche anno fa. Detto questo, continuo a dire e a fare cose sbagliate e ad essere schiavo degli istinti più basici. Il mio lavoro mi dà gioie incredibili e angosce fuori scala. Lo stesso fatto di chiamarlo “lavoro” è funzionale ma non esatto, perché si tratta di un aspetto indivisibile da me stesso. Questa è, ripeto, davvero una domanda importante ma difficilissima.
Ho riletto di recente “La quarta via” di Gurdjieff e ho questa domanda per te: quanta filosofia e letteratura si possono incontrare nella tua pittura?
Non ho mai studiato filosofia, non ho frequentato il liceo, è una cosa che rimpiango e che ho scoperto di volere tardi. Tuttavia, per certi versi la passione che emerge per interesse personale è anche maggiore e quindi va bene così. In ogni caso è ovvio che la filosofia come la letteratura siano molto presenti nei miei lavori. Alcuni titoli dei miei lavori sono semplicemente omaggi a scrittori che in quel momento sono stati importanti e mi chiedo sempre in quanti se ne siano accorti. Per quanto riguarda Gurdjieff, lo conosco in modo troppo superficiale per poterne parlare. Non sei il primo a nominarlo e diversi amici me lo hanno consigliato nel corso degli anni, ma non ho mai approfondito e me ne dispiaccio. In passato avevo una visione molto più cupa, forse legata al ‘900, in questi ultimi anni mi sono avvicinato ad altre cose, chi mi ha seguito avrà sicuramente notato la mia fascinazione per l’orfismo o per il buddismo. A tutti i livelli, mi sono reso conto che i caratteri che apprezzo di più sono la sobrietà e la gentilezza, mentre disprezzo ogni giorno di più la violenza di ogni tipo. Spero che questo si veda nel mio lavoro ed è una cosa che cerco di applicare ad ogni aspetto della mia vita anche se con grande fatica: è un percorso difficilissimo.
Se tu non fossi un artista, cosa ti piacerebbe essere?
Mi interessano l’architettura e l’urbanistica. Ho provato a fare il progettista e il grafico, ma non erano il luogo e il periodo giusti. Prima o poi, in questa o in un’altra vita, potrei anche diventare monaco. Altre volte invece, penso a come mi piacerebbe avere un mio piccolo ristorantino vegetariano in collina.
Hai mai pensato di usare il mezzo digitale per il tuo percorso artistico?
Il mezzo digitale può essere molto utile per semplificare il lavoro: per i video, ad esempio, e anche per fare e registrare musica, mi è capitato molte volte di usare il computer. Per dipingere invece non credo mi sarebbe utile poiché il contatto fisico, la densità dei colori, l’immediatezza di prendere un pennello o una matita o altro, e semplicemente disegnare sono ancora il massimo per me.
Se potessi scegliere un personaggio storico o di fantasia da inserire in una tua opera, chi sceglieresti e perché?
In qualche modo ne ho messi diversi, ricordandoli con un appunto a lato, nascosti tra piccole lettere volanti o attraverso il titolo di un’opera. È successo con Orfeo per esempio, mentre l’ultimo e più bizzarro credo sia stato Abul Abbas, l’elefante di Carlo Magno, la cui storia mi ha particolarmente colpito.
Info:
Guido Bisagni, 108. Courtesy: the artist
108, Season in the size of days (morning, afternoon, evening, night), 2020, painting on canvas (full installation 120 x 510 cm (4 x 140 x 120 cm), installation view at Swinton gallery, Madrid, solo show Hacia Las Nubes, 2021, courtesy the artist
108, Wallpainting, 2019 painting on wall, Quartiere Violino – Brescia (IT)
108, Brooklyn New York, 2019 outdoor painting x Lacasapark.art at VonDalwig
108, floor painting in Venezia for on the occasion of the WALLS project by Fondazione Bevilacqua La Masa, 2005, courtesy the artist
108, Folding #3, mixed media on paper, 64,5 cm x 50 cm, 2020, courtesy the artist
Artista e curatore indipendente. Fondatore di No Title Gallery nel 2011. Osservo, studio, faccio domande, mi informo e vivo nell’arte contemporanea, vero e proprio stimolo per le mie ricerche.
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