Marta Ravasi (Lecco, 1987) è un’artista talentosa, che ho avuto modo di scoprire durante un evento ad E.ART.H project room a Verona, così incuriosito dai suoi dipinti le ho posto cinque domande.
Francesco Liggieri: Se tu dovessi presentarti a chi non ti conosce con un’opera d’arte, quale sceglieresti e perché?
Marta Ravasi: Considero la mia pittura una diretta conseguenza o prolungamento di me, per questo motivo la risposta alla domanda implica il presentarmi attraverso le mie opere, che preferisco chiamare quadri. Mi piace particolarmente il fatto che la pittura sia un modo diretto di esporsi, un mezzo che annienta i confini – per quanto questo possa essere possibile – tra me e l’esterno, come se si trattasse di un prolungamento naturale tra il mio pensiero (che attraversa la mano, il pennello e la materia) e la tela. Per avere un’idea di chi sono dovrebbe bastare guardare i miei quadri, ascoltare l’attenzione che richiedono, con i bordi esposti e sporchi sui quali si leggono le tracce del lavoro e degli strati che li compongono. Sono quadri composti, uno differente dall’altro: nel loro vuoto e nella loro solitudine riempiono uno spazio che è il mio.
Come sta la pittura? Come la vedi?
La pittura in questo ultimo periodo, specialmente in Italia, sembra abitare diverse esperienze che definiscono un approccio libero e multiforme e questo aspetto è positivo. Credo, però, possa essere interessante togliere dal discorso i caratteri narrativi e illustrativi e provare a osservare quanto rimane, scavare in questa sospensione.
Cosa pensi del progetto “Dialoghi” all’interno di E.ART.H. project room a cura di Treti Galaxie presso Eataly Art House in cui sei coinvolta?
Il progetto nasce dalla fiducia nei confronti di Ramona Ponzini e Matteo Mottin di Treti Galaxie. La mostra “Mezzanotte nella mano” (titolo preso in prestito dal brano “Stiamo come stiamo” interpretato dalle sorelle Mia Martini e Loredana Bertè), nasce dal dialogo con i curatori e tra i miei lavori e le opere delle tre artiste Xinyi Cheng, Jutta Koether e Alice Browne prestate dalla Collezione De Iorio e Agiverona, di Giorgio Fasol. Lo spazio, composto da due pareti lunghe e parallele, è risultato particolarmente adatto a ospitare questo allestimento costruito da assonanze, intervalli, somiglianze e contrasti tra un’opera e l’altra. Per trovare il filo del discorso è necessario fare un passo avanti e due passi indietro, farsi guidare dagli stimoli formali all’interno di un quadro che accompagnano al successivo. Questo dialogo non solo procede in senso consequenziale, ma in continui rimbalzi e ping-pong tra una parete e l’altra. Per l’occasione sono state presentate opere inedite realizzate quest’anno e una selezione di opere precedenti.
Come artista quale pensi sia il tuo dovere nei confronti della società?
Più che artista preferisco il termine pittrice e più che pittrice mi piace dire: dipingo, sottolineando così l’azione. Non rifletto mai sul concetto di dovere, mai in pittura sicuramente. Piuttosto penso al mio diritto di continuare a praticarla, ad amarla, senza chiedere niente in cambio.
David Hockney spesso nelle sue interviste ricorda che la pittura non morirà mai, tu cosa ne pensi?
La pittura è un’azione antica, che come altre (ad esempio la preghiera o la ricerca del piacere) è collegata alla nostra sopravvivenza.
Info:
Artista e curatore indipendente. Fondatore di No Title Gallery nel 2011. Osservo, studio, faccio domande, mi informo e vivo nell’arte contemporanea, vero e proprio stimolo per le mie ricerche.
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