Mi sono imbattuto per caso in Mattia Ozzy B. e da subito ho capito che non avevo di fronte un artista tradizionale per la scena italiana, ma un outsider con un grandissimo potenziale. Mattia ha all’attivo diverse mostre presso istituzioni italiane e straniere, e attualmente ha una personale in corso da LAMB, a Venezia. Il suo processo artistico consiste in un mix di manipolazioni di oggetti ready-made e la complicità della pittura astratta fortemente influenzata dal Graffiti Writing, con il quale sviluppa un linguaggio personale legato al post-vandalismo e all’arte involontaria.
Francesco Liggieri: Se dovessi presentarti a chi non ti conosce con un’opera d’arte, quale sceglieresti e perché?
Mattia Ozzy B.: È una domanda veramente complicata perché ci sono parecchi lavori di artisti contemporanei che mi influenzano e ispirano continuamente. Una delle prime opere d’arte che mi viene in mente è la serie di Untitled del 2010 di David Hammons, in cui l’artista statunitense copre con teli industriali diversi dipinti astratti realizzati su tela. Quando, l’anno scorso, andai a New York per la prima volta, mi ricordo che fui folgorato da una di queste sue opere, che era esposta al secondo piano del MoMA. Mi colpì profondamente la violenza di quei teli plastificati neri e rossi in contrasto con qualche leggero accenno di pittura gestuale che traspariva dagli strappi. Sono certo che abbia cambiato il mio modo di vedere la pittura. Affascinato dalla sua pratica sovversiva e multidisciplinare, ho iniziato a studiare il suo lavoro e ho capito come abbia saputo combinare politica, poesia e umorismo per analizzare le proprie esperienze, in particolare quelle legate alla cultura afroamericana contemporanea. Mi affascina il suo modo di usare oggetti trovati, come le snowballs o le ossa di pollo, per minare e mettere in discussione il sistema attuale dell’arte.
Secondo te qual è lo stato dell’arte contemporanea?
Mi sono avvicinato realmente al mondo dell’arte contemporanea di recente grazie a varie esperienze lavorative in gallerie e istituzioni sia in Italia e sia all’estero. Ultimamente ho avuto modo di visitare diverse mostre in città estere e, soprattutto seguendo attivamente dei progetti, ho notato come l’arte contemporanea sia attiva, interattiva e alla continua ricerca di nuovi linguaggi, ma che spesso sono tentativi spontanei e indicano forti prese di posizione. Da sempre provo maggiore interesse nei movimenti artistici stranieri, che cerco di analizzare e prendere come riferimento perché apprezzo come la pratica dei giovani artisti sia “libera” ma, allo stesso tempo, venga riconosciuta seriamente, in modo professionale. Dalle mie ultime esperienze in Europa mi è sembrato che ci sia un più grande interesse da parte del pubblico per la sperimentazione e soprattutto all’ascolto di ciò che un artista vuole esprimere e realizzare. Penso che anche in Italia negli ultimi anni si stia movendo qualcosa di più ma, sicuramente a causa di molte dinamiche interne al sistema, forse si è ancorati a stereotipi troppo tradizionali sulla figura dell’artista e su cosa “debba essere” un’opera d’arte creata nel nostro Paese, il tutto legato a un modus operandi meno dinamico e meno intraprendente, tale da farci rimanere un passo indietro rispetto alle grandi realtà europee.
Come sono nate le opere per la tua personale da LAMB a Venezia?
I lavori per la mia prima personale “WIP – Work In Process” sono tutti frutto di un percorso di ricerca itinerante che ho iniziato nel 2018 in diversi contesti urbani come cantieri, baraccopoli, spazi abbandonati, zone di transito che mi piace definire come “non-luoghi”, per citare l’antropologo francese Marc Augé. Dopo che Leo De Luca mi ha proposto la mostra presso LAMB, ho sviluppato nel mio studio di Milano le opere, selezionando contemporaneamente gli oggetti trovati per creare un dialogo reciproco e armonioso attraverso una scelta specifica di colori, materiali e forme. Quindi mi sono “preso cura” di questi oggetti assemblandoli, dipingendoli e modificandoli sperimentando diversi processi tra quali la combustione, la frammentazione e l’uso improprio di cemento, colle, resine, smalti e spray. Per questa mostra ho deciso di concentrarmi sull’aspetto del lavoro nel suo farsi e dunque della fase processuale. Infatti, come osserva Arnold Braho, che ha redatto il testo critico della mostra, “Work In Process” assume proprio il valore di statement dell’esposizione (ma anche della mia ricerca più in generale), sia come parte attiva dell’ambito di ricerca, sia come modalità d’azione. Il mio intento è quello di mostrare tutte le opere come “non finite” all’interno di una politica dell’attenzione sempre in divenire, data la loro precarietà nell’allestimento e soprattutto dalla loro lavorazione, che è proseguita fino a ridosso dell’inaugurazione e che potrà continuare una volta conclusa la mostra.
Come artista, quale pensi sia il tuo dovere nei confronti della società?
Credo che il mio dovere nei confronti della società sia in primis quello di creare un linguaggio espressivo che possa suscitare una forma di interesse visivo e che possa far riflettere su alcuni problemi della nostra società a me cari. Essendo particolarmente interessato al processo artistico, mi piace mettere in evidenza materiali e strumenti utilizzati per la realizzazione di nuove costruzioni edilizie (siano esse abitative, commerciali o industriali) perché solo queste ultime sono solitamente degne del giudizio dei fruitori, mentre ciò che le crea rimane in un limbo sconosciuto ai più che, in questo modo, cerco di raccontare e di rendere giudicabili attraverso il mio intervento. Inoltre, attraverso l’analisi del contesto urbano e l’uso ripetitivo di oggetti rifiutati e materiali di scarto, mi piacerebbe che il pubblico si soffermasse a riflettere sulle problematiche legate all’inquinamento e alla sovrapproduzione. Personalmente preferisco creare delle nuove opere rimaneggiando materiali già esistenti, senza sentire la necessità di produrre altri oggetti che un giorno potrebbero diventare a loro volta ulteriore materiale di scarto. Negli spazi urbani e di periferia trovo quotidianamente rifiuti, scarti e luoghi dismessi che mi danno sempre nuove possibilità concrete di creare opere che possano affascinare nel loro essere fatiscenti e che, spero, arrivino a far riflettere il fruitore sul motivo per cui io abbia utilizzato proprio tali mezzi per realizzarle.
David Hockney nelle sue interviste ricorda spesso che la pittura non morirà mai. Cosa ne pensi tu?
Innanzitutto tengo a precisare che non mi reputo un pittore ma un artista multidisciplinare. Anni fa, proprio mentre studiavo pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, mi sono reso conto che ciò che mi interessava maggiormente era analizzare e occupare lo spazio circostante, cercando di appropriarmi di un preciso ambiente. La pittura è uno dei media che utilizzo per studiare oggetti, movimenti e connotare la mia presenza. Penso che la pittura vivrà per sempre, tramite la sua forza espressiva che deve essere quella di rinnovarsi e trovare nuovi modi per manifestarsi. Ultimamente cerco di dipingere con materiali e oggetti come teli, scotch, colle, vetri, plastiche, viti e altri strumenti, utilizzandoli impropriamente come fossero segni e campiture di colore. Credo che la pittura sia più che una semplice tecnica artistica: penso, infatti, che – insieme al disegno – sia alla base del concepimento dell’opera d’arte nella sua struttura primaria. È proprio attraverso essa che un artista riesce a creare un’immagine anche senza usare pennelli e tubetti di colore. Per me dipingere è meditare, pensare e riuscire a studiare come disporre tonalità e gesti in uno spazio prescelto. Credo che la pittura muoia ogni qualvolta si pensi che possa esistere solo su tela, di fatto limitandola. Penso che non morirà mai finché la si potrà riconoscere in tutte le cose, sia naturali che artificiali.
Francesco Liggieri
Info:
Mattia Ozzy B., WIP – Work In Process
18/03/2023 – 22/04/2023
LAMB, M9
Venezia Mestre
Artista e curatore indipendente. Fondatore di No Title Gallery nel 2011. Osservo, studio, faccio domande, mi informo e vivo nell’arte contemporanea, vero e proprio stimolo per le mie ricerche.
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