Dopo lunga malattia (che lo ha costretto a rinunciare l’anno scorso alla direzione dell’Haus der Kunst di Monaco) è morto OKWUI ENWEZOR (23/10/1963 – 15/3/2019). Di origini nigeriane, Enwezor è stato uno dei più importanti curatori d’arte contemporanea. La sua carriera fu consacrata nel 2002 con la direzione artistica di documenta 11 e poi della 56° edizione della Biennale Arte (2015). Le sue mostre, molto incisive, libere e ambiziose, sono state essenziali per spingere il sistema dell’arte ad abbracciare una visione globale, mettendo in secondo piano la presuntuosa supremazia della centralità occidentale, e prestando grande attenzione agli artisti africani, asiatici, sudamericani. Ecco una sua breve affermazione che qualifica e indirizza il senso di tutto il suo lavoro: “Se abbiamo una mente aperta, l’arte occidentale non deve essere vista in opposizione alle manifestazioni artistiche delle altre parti del mondo, ma può essere vista in un dialogo che aiuta a proteggere la diversità estetica e i diversi valori culturali”.
Questo grande curatore ha lavorato instancabilmente, nel corso di più di trent’anni, per cercare di spostare il focus dal centro alle periferie, modellando così in maniera indelebile il modo in cui l’arte deve essere non solo presentata, ma anche insegnata.
Enwezor era nato a Calabar, in Nigeria, nel 1963, trasferendosi a New York nei primi anni Ottanta, per conseguire poi la laurea in scienze politiche alla New Jersey City University. Nel 1994, quando viveva a Brooklyn, fondò Nka: Journal of Contemporary African Art, con il quale cercò di aprire non solo un nuovo orizzonte estetico, ma anche di costituire un forum di resistenza ideologica, spiegando che “Nka”, in Igbo, la lingua della Nigeria orientale, significa “creare, inventare”.
Nel 1996, Enwezor organizzò “In / Sight: African Photographers, 1940 to the Present” al Museo Guggenheim nella sezione SoHo di Manhattan. La mostra comprendeva trenta artisti, tra cui Seydou Keïta, del Mali, e Samuel Fosso, della Nigeria.
Poco dopo, curò la 2° Biennale di Johannesburg (1997); la Biennale di Gwangju (2008) e la Triennale del 2012 al Palais de Tokyo di Parigi.
Come curatore aggiunto, presso l’International Center of Photography di New York, organizzò mostre d’avanguardia e di grande apertura come Snap Judgment: New Positions in Contemporary African Photography (2006) e Rise and Fall of Apartheid: Photography and the Bureaucracy of Everyday Life nel 2012. “Il ruolo della fotografia nella lotta contro l’apartheid è molto più ampio di quanto si possa immaginare, ed è indubbiamente uno degli strumenti ideologici più persuasivi”, disse Enwezor, motivando le sue scelte e i contenuti di quelle mostre.
Nel 2011, Enwezor venne nominato direttore della Haus der Kunst, la Kunsthalle monacense, in Germania, che sotto la sua direzione ha ospitato mostre personali di Stan Douglas, Georg Baselitz, Ellen Gallagher, James Casebere, Lynette Yiadom-Boakye, Hanne Darboven, Frank Bowling, Matthew Barney e molti altri, così come, nel 2016, Postwar: Art Between the Pacific and the Atlantic, 1945-1965, un’indagine senza precedenti sulla storia del modernismo del dopoguerra chiamando a raccolta più di duecento artisti.
Enwezor, sebbene malato, è rimasto fino agli ultimi giorni della sua breve esistenza un confidente stretto per artisti e curatori di molte generazioni: a questo proposito ricordiamo che per la Biennale di Venezia di quest’anno (vernissage 7/8/9 maggio) ha fatto perfino da consulente per il primo padiglione nazionale del Ghana.
Immagine di copertina: Okwui Enwezor in una foto di Giorgio Zucchiatti, courtesy of La Biennale di Venezia
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