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Intervista a Riccardo Baruzzi, primo premio Osvaldo Licini by Fainplast

L’Associazione Arte Contemporanea Picena e Fainplast presentano la mostra di Riccardo Baruzzi (1976), vincitore della seconda edizione del Premio Osvaldo Licini by Fainplast, dedicato alla pittura italiana. L’artista parte dal mezzo pittorico per poi espandere il suo campo d’azione miscelando tecniche tradizionali e sperimentali, utilizzando spesso il medium del disegno in funzione performativa. Due sono le modalità ricorrenti nella sua produzione artistica: la ricerca di una nuova semplicità, intesa come raggiungimento di un grado zero, una sorta di inizio del linguaggio e la catalogazione di estetiche, che in generale si definiscono marginali. In questa nuova grammatica Baruzzi, che in Italia è rappresentato dalla galleria P420 di Bologna, costruisce opere in cui oltre alla riduzione del numero di segni e di soggetti, annulla o riduce al minimo la componente prospettica. In occasione della mostra abbiamo avuto il piacere di rivolgergli alcune domande.

Riccardo Baruzzi, particolare dei disegni Bilancione (Uomo dell’orto), 2022, telo in cotone, 5 disegni A3 tempera su carta. Ph Pierluigi Giorgi, courtesy Premio Osvaldo Licini by Fainplast

Valeria Fontana: Se ti potessi definire attraverso un’opera d’arte quale sceglieresti e perché?
Riccardo Baruzzi: Sono attratto da molti autori sconosciuti, quelli che vengono definiti outsider, inutile fare nomi, non riesco proprio a pensare di definirmi in un’opera d’arte. Trovo più ispirazione nelle piazze che nei musei, nella maniera in cui un vecchio artigiano rinforza la struttura della propria sedia saldando le assi con un dipinto rotto, oppure nei cartelloni dipinti a spray con cui un fruttivendolo promuove le proprie ciliegie. Per me una rete da pesca non è solamente uno strumento utile a uno scopo, ma una scultura funzionale, sedimentata in secoli di migliorie e rapporto con il territorio: è la rappresentazione di un ecosistema in cui l’arte trova sempre spazio.

Riccardo Baruzzi, Cetrioli e noci su olmo tramutato, 2022. Olio e spray su cotone, 100 x 80 cm cad., Ph Pierluigi Giorgi, courtesy Premio Osvaldo Licini by Fainplast

Come è nato il tuo interesse per la pittura?
Fin da bambino copiavo ed elaboravo le immagini da cui ero colpito, senza tuttavia giustificare niente a nessuno, per così dire, seguendo un piacere retinico. Sono cresciuto in una famiglia povera della Romagna. In questa situazione ho però avuto la fortuna di trovare la ricchezza nei materiali a disposizione, ho sperimentato in libertà fin da bambino, nella calma dei luoghi e degli spazi infiniti dove si incontra la nebbia, via maestra della riflessione. Ho rincontrato questo paesaggio come materiale di studio – e oggi ancora mi accompagna – in accademia con Guido Guidi. In questi ultimi anni ho capito che da quel paesaggio si può trarre una poetica fondante e riconoscerla in tutto il mondo: l’attenzione per l’ambiente che ci circonda, imparare dal mondo rurale, la costruzione con materiali poveri, che così diviene ricchezza pura, sono queste le uniche speranze per un mondo ecosostenibile. «Abbandonare il sensazionale»: credo che queste debbano diventare le parole d’ordine.

Riccardo Baruzzi, Spaventapasseri, 2022. Terracotta, ferro, fusioni in bronzo, olio su cotone, 117 x 192 x 120 cm. Ph Pierluigi Giorgi, courtesy Premio Osvaldo Licini by Fainplast

E da dove nasce, invece, la passione per il suono?
Perché sono melomane. «La musica non può esistere senza il suono. Il suono esiste di per sé senza la musica. È il suono che conta». Parole di Giacinto Scelsi che sottolineano la bellezza delle strutture elementari; ogni disciplina ha il suo alfabeto e principio. La mia ricerca si struttura in parte attorno ai principi fisici e poetici del disegno e del suono. Contatto, distanza, tempo dell’evento sonoro, ritmo e moto di un tratto, resistenza di una superficie, fatica di un muscolo, onda e segno provocati dalla caduta di un corpo: ogni elemento che collega arti e strumenti alla materia per me trova valore. In “My Valley”, una serie di opere realizzate per la mia personale alla Galleria Mark Müller, porto per mano gli spettatori in un paesaggio visivo e sonoro della Romagna profonda, con immagini, sculture, sonorità e atti performativi, che raccontano il mio sguardo sulla mia terra d’origine. Un vero e proprio viaggio, tra simulacri, maschere e fantasmi di una provincia di cui, ad oggi, per citare una celebre frase di Fellini, «Nulla si sa, tutto s’immagina».

Riccardo Baruzzi, I can’t hear you, 2020. Stampa a getto di inchiostro su carta Photo Rag smooth, dittico, 33 x 48 cm cad. Ph Pierluigi Giorgi, courtesy Premio Osvaldo Licini by Fainplast

Nella serie “Cetrioli e noci su olmo tramutato”, in mostra alla Galleria d’Arte Contemporanea Osvaldo Licini, metti in scena un dialogo impossibile tra un ramo d’olmo mutante, frutti e ortaggi che nella realtà non appartengono a quell’albero: qual è il senso di questo spaesamento?
“Cetrioli e noci su olmo tramutato” è una serie di opere che prosegue il ciclo delle “Nature morte rovesciate”. Mele, pesche, pomodori e cetrioli sono dipinti sul retro del cotone intelaiato cosicché sul fronte della stoffa – il lato dell’opera visibile allo spettatore – ne sia riconoscibile unicamente il “fantasma cromatico”, la traccia. L’ultimo gesto, l’ultimo frutto, invece viene posto sulla superficie frontale dell’opera; da quel frutto origina il titolo, per esempio: “Pesca con natura morta rovesciata”. La natura morta tradizionale è rovesciata, e dunque celata. L’operazione attuata nelle “Nature morte rovesciate”, l’inversione della superficie dipinta, in questo ciclo viene sostituita da una sorta di monotipo: cetrioli e noci sono prima dipinti singolarmente su un ritaglio di tela con una pittura a olio grassa e materica. Nella seconda fase, viene posta una tela di cotone vergine sopra al cetriolo, o noce dipinti. Montando con il mio corpo sopra un pannello di legno (dove sono posate le due tele) ottengo successivamente una nuova immagine, impressa specularmente rispetto alla matrice. Ancora una volta il segno della pennellata è celato, compresso, cancellato: un ulteriore sovvertimento della tradizione, un gioco gentile sulla via di un nuovo sentiero. I colori degli sfondi sono cotoni colorati industrialmente, sulla tela non trattata viene fatto da me un secondo sfondo: i rami a spray, dove verranno incollati i ritagli delle noci e cetrioli. Questi rami (gli stessi che ho usato per le mani della serie degli “Spaventapasseri”) posati direttamente sulla tela, compongono chiome spoglie di fogliame, un motivo ogni volta diverso dato dal negativo del colore, un rayograph fatto di spray. L’insolita forma del ramo d’olmo, anche in questo caso mutato, e l’inesistenza di cetrioli su alberi, ancora meno con noci, creano l’immagine di un mondo naturale fittizio e artificioso, uno specchio, o negativo, dell’ambiente contaminato. Allo stesso tempo la composizione stabilisce un equilibrio interno basato su una bellezza formale che offre un orizzonte poetico di riscatto al decadimento della natura.

Valeria Fontana

Info:

Riccardo Baruzzi, Il margine del cielo e della terra
a cura di Alessandro Zechini
4/12/2022 – 5/03/2023
Galleria d’Arte Contemporanea Osvaldo Licini
Corso Giuseppe Mazzini 90, 63100 Ascoli Piceno
www.ascolimusei.it


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