È l’occhio, elusivo e indagatore, di una telecamera da caccia, il primo apparato di scansione che ci ingabbia sulla soglia oscurata di X-contemporary, dove il monitoraggio dei corpi si impone nell’immediato come uno dei fulcri della mostra “It was a body in the shape of a city”, prima personale di Katia Mosconi a cura di Alessia Baranello. Lo spazio espositivo assume le sembianze di un antro cavernoso, costituendosi come un simulacro di dancefloor ai ritmi di un suono ipnotico, martellante, realizzato in collaborazione con il sound artist Daniele Borri.
Questo paesaggio sonoro, composto da campionamenti che rimarcano la materialità della trance psichedelica rave e dei substrati urbani, ci accompagna all’interno degli spazi scuri della galleria, dove l’artista ripensa il paradigma della danza e i vincoli di legalità e illegalità in cui essa viene eseguita, analizzandola nella sua forma di esperienza non temporanea, non consumistica e non privilegiata, in cui nomadismo e precarietà rappresentano le condizioni costitutive del suo esistere come apparato liminale di trasformazione. Video, disegni renderizzati e tracce di musica elettronica si intrecciano in un intervento sinestetico, che ripercorre le manifestazioni del rave nel contesto milanese e si sofferma sulle molteplici possibilità di negoziare lo spazio urbano, per produrre nuove forme di interrelazione attraverso il corpo danzante e relazionale, in un’epoca in cui quest’ultimo è dichiarato illegale.
In questo senso, la danza – come prospettiva e come evento – si oppone alla rete gerarchica di Stati, autorità e organizzatori e opera in modo rizomatico attraverso sforzi costanti per bilanciare circostanze impreviste, derivanti da esigenze morali e spaziali. Attuare questa sottrazione attraverso la danza significa utilizzare il potenziale trasformativo dei corpi in movimento e dei loro gesti per immaginare un terreno altro, una spazialità alternativa che decentra e pluralizza l’istituzione stessa, per creare trasferimenti di esperienze. Fulcro della tecno-estetica dei rave, i ritmi della musica elettronica sono figli di un movimento rizomatico che, nel corso della sua storia, ha imparato a remixare i copioni costitutivi del suo divenire. Proprio negli interstizi e nelle alcove periferiche del contesto industriale, quando abbandonato e desertificato da ogni produttività, proliferano queste pratiche di sottrazione che sfuggono all’ingabbiamento soppressivo promulgato dai governi che, fin dagli anni Novanta, ha condannato con mano di ferro ogni forma di comunitarismo alternativo.
Questa contrastante scenografia, dove l’illegalità è performata nei luoghi dell’assoggettamento capitalista che distanzia i corpi pur sfruttandone il valore, è resa tangibile nel video a due canali It was a body in the shape of a city (2023) dove, attraverso la sovrapposizione tra due livelli di realtà, lo spazio urbano si mostra come un motore coreografico nel processo materiale dei corpi umani e non umani che fanno mostra di sé. Alle vestigia dei capannoni industriali milanesi proiettate sulla parete, lontani dai quartieri gentrificati e un tempo palcoscenici dei rituali collettivi del rave, si sovrappongono i movimenti di una massa ingabbiata nei nuovi dancefloor milanesi, dove ogni istinto di autoorganizzazione è ormai assimilata nella macchina capitalista. L’artista, mediante molteplici dispositivi di osservazione a infrarossi, cattura un archivio di metadati che consentono di registrare i passaggi di una danza apparentemente priva di irreggimento e regolarità. La cultura rave, che ha dato voce ai sentimenti soggettivi di liberazione collettiva mediante un rituale techno fatto di ritmi tribali, immagini utopiche e sensibilità estatica, viene tagliata fuori dalla pericolosa retorica del collettivismo fai-da-te e resa sicura per il consumo pubblico.
Le architetture di queste “prigioni del piacere” si susseguono nell’opera Dancefloor empire in Milano (2023), dove gli scheletri strutturali di centodiciassette discoteche milanesi vengono manipolati come render 3D, simboli della una sottrazione ingranata dai nuovi dancefloor, preposti al godimento della massa, dalla macchina capitalista, che ha surrogato l’autonomia e la ribellione per le comodità della club culture e per una tregua dalla stanchezza collettiva della logistica della controcultura. Permettendo l’evasione dall’esperienza quotidiana, rivitalizzando i modelli culturali o rivendicando nuove rappresentazioni di sé, dai warehouse party metropolitani ai festival trance internazionali, la danza diventa teatro di cambiamento attraverso la quale i partecipanti proiettano le loro visioni artistiche e politiche sugli spazi festivi. Attuando una pratica di sovversione, gli spazi prodotti dai gesti e dai movimenti si configurano come spazi potenziali, in divenire, che producono differenze anziché livellarne, quando dominata da alleanze e dalla comunità, anziché da regole e contratture.
Elena Marcon
Info:
Katia Mosconi, It was a body in the shape of a city
A cura di Alessia Baranello
16/03/23 – 06/04/23
Aperta su appuntamento
X-Contemporary
via Santa Teresa 20/A, Milano, 20142
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