La ricerca che Elia Cantori porta avanti con coerenza sin dall’inizio della sua carriera nasce da un’esplorazione delle possibilità documentative della forma, intesa come elemento plastico capace di aderire al fenomeno che la plasma fino a confondersi con la sua invisibile essenza. In ogni lavoro la materia, sottoposta a processi di trasformazione fisici, chimici o meccanici, è allo stesso tempo campo d’azione delle leggi fisiche che ne forzano la natura e camera di registrazione dei loro effetti. L’assimilazione della sperimentazione artistica ai procedimenti dell’indagine scientifica (da cui mutua metodiche sequenze di azioni apparentemente impersonali come comprimere, fondere, far esplodere, condensare, impressionare, misurare o riprodurre) è in lui finalizzata a indurre un’esperienza fisica ed emozionale dello spazio e del tempo in cui l’apparente imparzialità dei risultati attesi rivela sempre un affascinante margine di dubbio e di ambiguità. Se in un primo momento l’occhio dell’osservatore viene apertamente sfidato a ricostruire la dinamica del processo che ha generato l’opera, la sua esatta individuazione è solo il punto di partenza di una suggestione più ampia, innescata dalle aporie visive e concettuali di un’evidenza che, pur rimanendo tale, fa deflagrare le zone d’ombra che solitamente ogni determinazione tende ad escludere.
Riuscire a materializzare l’elettrizzante inquietudine insita nell’idea che lo spazio fisico possa essere una sostanza modificabile e plasmabile a seconda della nostra psiche è forse il talento più peculiare di Elia Cantori, che nel corso degli anni ha raffinato la sua ricerca amplificando la tensione semantica tra l’oggetto artistico e il processo della sua realizzazione con la rilevazione di ulteriori simultaneità e compresenze. Se in molti lavori precedenti, infatti, l’opera si presentava come l’analogo scultoreo o visivo di una fase di un processo sottratta all’istantaneità e trasformata in oggetto a sé stante, nelle opere più recenti le traslazioni a cui viene sottoposto il materiale di partenza si concretizzano in oggetti altri che si presentano in qualche modo come il negativo dei primi (di cui rilevano aspetti e proprietà nascoste), ma anche come entità autonome e misteriose, governate da logiche parallele. La mostra Shadow in Process testimonia quest’evoluzione della sua poetica mettendo a confronto tre serie di nuovi lavori variamente incentrati sull’imprevedibilità del concetto di misurazione, in cui la precisa quantificazione plastica di un accadimento fisico finisce per attivare l’esponenziale moltiplicazione dei suoi stati di latenza.
Nella serie Untitled (Photopsyche) un liquido fluorescente versato in camera oscura su fogli di carta fotosensibile piegati a metà ne impressiona l’emulsione superficiale generando macchie nere speculari che richiamano in negativo le tavole di Rorschach, noto test psicologico proiettivo utilizzato per mappare la psicologia di una persona classificando il funzionamento del suo pensiero e la sua capacità di rappresentazione di sé e degli altri. In questo caso la luce, misurata dal suo opposto, diventa materia plasmabile gravida di accadimenti che mette in discussione il confine tra inconscio e obiettività.
Rimandano più esplicitamente al concetto di rilevamento e rappresentazione le tre opere della serie Untitled (1:1 Map), fusioni in alluminio di carte geografiche realizzate tramite uno stampo di sabbia. Qui l’artista mette in atto un processo generativo di misurazione che sintetizza la materialità dell’oggetto-mappa iniziale replicato nelle dimensioni e nelle pieghe originali, la sua identità funzionale e la memoria della sua trasformazione negli ondeggiamenti della texture superficiale che trattengono le irregolarità della sabbia di fusione. L’accentuata tridimensionalità della scultura accompagna il passaggio mentale dallo spazio rappresentato a una rappresentazione dello spazio che diventa creazione di una nuova orografia.
L’installazione ambientale Untitled (Double Absence) materializza infine un’impossibile doppia assenza, quella dell’oggetto-matrice (una lastra di vetro frantumata le cui schegge sono state replicate in alluminio) e quella della sua forma originaria, imperfettamente ricostruita dalla disposizione lineare dei frammenti. Anche qui la ricomposizione concettuale del vetro attraverso un processo prestabilito che sembra lasciare poco adito all’emotività evidenzia i limiti del concetto di misurazione inteso come determinazione aprendo nuovi orizzonti spaziali in cui si realizza l’ossimoro dell’esattezza dell’approssimazione.
Info:
Elia Cantori. Shadow in Process
23.01 – 21.03.2020
CAR DRDE
via Azzo Gardino 14/a Bologna
Elia Cantori. Shadow in Process. Installation view at CAR DRDE
Elia Cantori. Shadow in Process. Installation view at CAR DRDE
Elia Cantori. Shadow in Process. Installation view at CAR DRDE
Elia Cantori, Untitled (1:1 Map) 2019, aluminum, cm 110x90x18
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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