Dalla fine degli anni ’60 Goran Trbuljak (b. 1948, vive e lavora a Zagabria) indaga con ironia e intelligenza i limiti del fare arte e lo statuto esistenziale dell’artista attraverso mezzi alternativi di produzione e rappresentazione che prevedono la costante rinegoziazione del confine tra arte e anti-arte. Il suo ampio vocabolario espressivo (dipinti, frottage, monocromi, fotografie, film, libri e performance) costruisce una strategia antieroica che mette in discussione la mitologia dell’artista e l’aura dell’opera. Il suo atteggiamento si colloca in aperta opposizione al modernismo socialista in auge nell’Ex Jugoslavia all’inizio della sua carriera e in direzione di una sottile demistificazione degli eccessi concettuali delle avanguardie del periodo. La mostra Before and After Retrospective a Villa delle Rose, realizzata in collaborazione con il Centre d’Art Contemporain Genéve e con la galleria P420 che rappresenta l’artista in Italia, ripercorre le principali tappe della sua vicenda creativa per dimostrare come il suo lavoro solitario fosse fin dall’inizio anticipatore di alcune tra le principali tendenze del postmodernismo. La mostra è stata anche l’occasione per pubblicare la prima monografia dettagliata di Trbuljak, che ne approfondisce la poetica dal punto di vista storico e critico restituendo centralità a una ricerca sinora non adeguatamente valorizzata dai circuiti mainstream.
I tratti principali della sua ricerca, cioè la messa in discussione del prestigio e dell’unicità dell’artista, l’utilizzo di statements, l’ironia, la libertà di pensiero, il situazionismo effimero e la dissimulazione critica, sono ben delineati sin dagli anni giovanili, quando Trbuljak esordisce con una serie di azioni anonime per le strade di Zagabria. Nel 1970 ad esempio installa accanto a dei buchi nell’asfalto la fotocopia di immagini fotografiche che li documentano, oppure appone alla porta di alcuni palazzi cartelli con la dicitura “tutti gli inquilini di questo palazzo sono buoni e intelligenti”, fino al Referendum in cui interpella i passanti chiedendo loro se lo considerassero un artista e raccogliendo i loro pareri in una rudimentale urna elettorale.
In breve tempo i segni del suo passaggio si diffondono e suscitano la curiosità degli ambienti artistici: nel 1971 Trbuljak viene invitato a esporre nella galleria dello Student Cultural Center di Zagabria, dove mette in scena con un gesto radicale la sua impossibilità di essere artista e la sua contrastante volontà di ricerca. Tutta la mostra consiste in un’unica opera, un manifesto fotografico che ritrae il suo volto malinconico e parzialmente in ombra con la scritta I do not want to show anything new and original seguita (per la prima volta) dalla sua firma. L’evidente ossimoro di negare la novità mentre la fa deflagrare, l’enfatizzazione dell’attitudine artistica antieroica e l’umanizzazione del linguaggio concettuale applicato all’indagine delle sue fragilità individuali e non, come di consuetudine, alla deontologia dell’arte sono gli aspetti fondanti di una ricerca che si rivelerà inesauribile. I successivi 10 anni lo vedono protagonista di altre tre mostre “vuote” alla Galleria di Arte Contemporanea di Zagabria, in ciascuna delle quali espone solo un poster con statement. Nel manifesto dell’ultima, intitolata Retrospettiva (1981), compaiono tutte le dichiarazioni precedentemente rilasciate ed è l’unica “retrospettiva” che l’artista riconosce come tale (da qui il titolo Before and After Retrospective della personale a Villa delle Rose).
Nel 1977 viene invitato alla prestigiosa Galleria del Cavallino a Venezia, dove decide di esporre una serie di riproduzioni dei manifesti di altre mostre realizzate in quel luogo e dedicate ad artisti prestigiosi come Jean Dubuffet, Alexander Calder, Georges Mathieu, Man Ray e Paul Klee, come a voler dichiarare la propria inadeguatezza gerarchica nei confronti di questi titani dell’arte. Nel catalogo il suo nome appare scritto a caratteri più piccoli rispetto all’indirizzo della galleria, sottintendendo che il successo dipende più dall’influenza dei contatti del gallerista che dal valore dell’artista, mentre nell’invito scrive il suo nome in grande ma modifica quello della galleria stabilendo una corrispondenza tra artista poco conosciuto e galleria fasulla. In queste azioni emerge chiaramente come Trbuljak consideri l’ironia un potente strumento maieutico e (forse l’unica) sua possibilità di esistenza come artista. Contrariamente ai grandi maestri elogiati dalla critica, individua il suo campo d’azione non nello smantellamento della credibilità delle istituzioni artistiche ma nella continua detrazione della propria insicurezza intellettuale. Anche se in realtà la capacità di autocritica è un’inconfutabile manifestazione di audacia e saldezza di pensiero.
Sempre negli anni ’70 Trbuljak inizia un ampio ciclo di lavori che sperimentano varie possibilità di reinvenzione della pittura, che viene da lui sistematicamente praticata attraverso la sua negazione. Il punto di partenza di questa ricerca è la performance Sunday Painting, in cui l’artista, immedesimandosi nel “pittore della domenica” dipinge abusivamente sulla vetrina di un corniciaio durante il giorno di chiusura settimanale in modo che guardando attraverso il vetro la sua pittura dia da lontano l’illusione di essere su una delle tele montata su cavalletto ed esposta per la vendita. Successivamente crea raffinati dipinti astratti mediante procedimenti non pittorici, che prevedono l’osservanza di un protocollo d’azione deciso a priori, come incorniciare la tela bianca e impregnarla di colore dal retro utilizzando vari tipi di schermature, far colare il colore attraverso fori praticati nella cornice o nel vetro di protezione o strofinare le copertine della rivista Artforum sul supporto pittorico per ottenere un delicato frottage.
Un’altra delle ossessioni di Trbuljak è quella per il proprio nome, che appone scompone, occulta e ricerca costantemente ogni volta che si trova ad avere a che fare con parole stampate o dipinte. Raffinatissimi anche i suoi esperimenti di poesia concettuale, come ad esempio “Old and depressive anonymous is looking for a permanent display place in some nice new art museum space”, frase che compare prima frammentata in una serie di quadri in modo da creare caustiche associazioni a seconda dell’ordine di lettura (come depressive museums/ anonymous permanent/ old is nice) e poi intera sulla tela finale che esprime il suo pensiero fisso, il dubbio su sé stesso, la paura del fallimento e la crisi di identità come soggetti del proprio operare. Fanno da contrappunto a questi rigorosi dispositivi intellettuali le sterminate serie di libri e monografie realizzati a mano, preziosi cataloghi di fissazioni geometriche reiterate in cui da sempre l’artista sfoga il suo desiderio frustrato di pittura. Conclude idealmente la mostra un autoritratto fotografico raffigurante un buffo personaggio composto da una dentiera, una trombetta, un pennello e due grandi occhi di gomma che ironizza sugli attributi aulici ricorrenti nell’autorappresentazione del pittore nella storia dell’arte.
Goran Trbuljak. Before and After Retrospective
A cura di Lorenzo Balbi e Andrea Bellini
26 gennaio – 24 marzo 2019
Villa delle Rose
Via Saragozza 228/230 Bologna
Goran Trbuljak, Self portrait, 1996 Fotografia in bianco e nero / b-w photograph Cm 46,5 x 58 Edizione di / Edition of 3 + 2 prove d’artista / artist’s proofs Courtesy Collezione Enea Righi Photo credit: Dario Lasagni
Goran Trbuljak, Retrospective, 1981 Serigrafia su carta / Screenprint on paper Cm 60 x 85 Courtesy l’artista / the artist e / and P420, Bologna Photo credit: Carlo Favero
Goran Trbuljak, Before and After Retrospective, Vedute di allestimento della mostra presso / Installation views at Villa delle Rose, Bologna, 2019
Goran Trbuljak, Self portrait, 1996, Fotografia in bianco e nero, Courtesy Collezione Enea Righi, Photo credit Dario Lasagni
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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