A Milano nasce ICA (Istituto Contemporaneo per le Arti), sotto la direzione di Alberto Salvadori. Si tratta di uno spazio no profit per la città, dal respiro internazionale, nel segno dell’inclusione, dedicato alle arti e alla cultura contemporanea, alla ricerca e alla sperimentazione.
La sede si trova nell’ex zona industriale di via Orobia, non lontano dalla Fondazione Prada. L’istituto inaugura la sua attività di ricerca con una mostra ambiziosa e suggestiva: Apologia della Storia – The Historian’s Craft a cura di Alberto Salvadori e Luigi Fassi. Il percorso espositivo prende avvio e si struttura a partire da una riflessione contemporanea sul tema della storia, intesa e pensata come strumento di indagine e come metodologia di conoscenza del presente. Il titolo della mostra fa riferimento al saggio del grande storico francese Marc Bloch Apologia della Storia o Mestiere di Storico, scritto nel 1940 e pubblicato postumo nel 1949.
La riflessione blochiana va intesa come un discorso sul metodo scientifico della ricerca storica, ma soprattutto come “un’accorata difesa della storia come disciplina umanistica, ispirata dalla volontà di comprendere l’uomo nella complessità delle sue vicende”. Focalizzare l’attenzione sulla complessità delle vicende umane significa capire che l’uomo sta al centro della storia, ne è il protagonista ed è quindi necessario cogliere le tracce del suo agire lungo il corso del tempo. La storia è una materia viva che grazie al recupero di una memoria collettiva consente una conoscenza del passato più consapevole, e questa conoscenza diventa, a sua volta, un utile strumento per meglio affrontare i problemi odierni. Questo può avvenire grazie all’attuazione di uno scambio incessante tra il passato e il presente, un lavoro di interpretazione e di scoperta fluido e continuo. Un’operazione ermeneutica che ha come suo centro gli uomini concreti che fanno e subiscono la storia. La dimensione della temporalità va allora intesa come materia concreta, aspetto questo che accomuna la pratica storica con quella artistica. Un altro punto di contatto tra arte e storia può essere individuato nel fatto che entrambe le discipline utilizzano strumenti interpretativi che, per forza di cose, non possono essere puramente razionali e tecnici, rimane sempre, all’interno della lettura, una componente poetica e creativa.
Gli artisti in mostra sono Yto Barrada, Lothar Baumgarten, James Lee Byars, Nanna Debois Buhl, Ryan Gander, Haroon Gunn-Salie, Arjan Martins, Santu Mofokeng, Antonio Ottomanelli, Paul Pfeiffer, Javier Téllez, Mona Vatamanu & Florin Tudor.
L’obiettivo è quello di ripensare il presente alla luce di alcuni avvenimenti storici che hanno contrassegnato il passato prossimo, quello a noi più vicino.
L’opera The Conscience (1985) di James Lee Byars dà avvio all’esposizione. Una misteriosa e affascinante scultura in vetro, legno e oro pone lo spettatore in una dimensione riflessiva. L’atmosfera che si respira è densa e profonda, quasi mistica. Diventa così possibile interrogarsi sull’idea stessa di coscienza, su quali siano i limiti e le possibilità conoscitive e interpretative dell’intelletto umano.
Particolarmente interessante è l’opera di Yto Barrada, intitolata Plumbers Assemblage (2014). Il lavoro è composto da una serie di dieci fotografie scattate nella piazza Gran Socco a Tangeri. Gli scatti riportano rubinetti e tubi stranamente assemblati da idraulici disoccupati. Le composizioni hanno l’obiettivo di segnalare la disponibilità al lavoro. Questo gesto messo in atto dai lavoratori assume una grande valenza politica, sottolineando l’estrema gravità della mancanza del lavoro che affligge la società contemporanea.
Mona Vatamanu e Florin Tudor presentano un’opera filmica estremamente poetica, dal titolo Right of Spring (2010), che prende avvio da un gesto semplicissimo: alcuni bambini bruciano mucchietti di polline di pioppo per le vie di Bucarest. Questa azione è simbolo di speranza, cambiamento e rinnovamento, infatti i piccoli incendi e le scintille infuocate che danzano per le strade cittadine diventano il segno di un innocente desiderio di mutamento dell’ordine presente, evocando il sogno di un mondo diverso, più giusto e libero.
Un’attenzione particolare va infine riservata al lavoro di Antonio Ottomanelli. L’artista italiano presenta una serie di lavori capaci di far dialogare in modo straordinariamente efficace e poetico la memoria collettiva e quella individuale. Così facendo diventa un investigatore che lavora connettendo due piani temporali: il passato e il presente. La serie fotografica Great Baghdad Garden (2010 – 2014) mette in luce molto bene la capacità interpretativa e costruttiva dell’artista. Ottomanelli presenta le immagini del parco di Baghdad Al – Zawara, sede del giardino zoologico della città. Dall’osservazione emerge chiaramente come la guerra determini una trasformazione radicale, e a tratti assurda, della memoria collettiva di un luogo e di un’intera società. L’opera si pone più esattamente in un punto mediano, quello tra la distruzione e la ricostruzione possibile.
Tutta la mostra si gioca in fondo, con grande perizia e precisione, su questa sottile oscillazione tra le contrastanti possibilità storiche dell’annientamento e della costruzione. In questo modo, come sostengono i curatori “l’arte che osserva la storia manifesta lo stupore di voler comprendere la dimensione della temporalità e rivela la capacità di mitigare la malinconia della finitezza con la piena coscienza della volontà della vita di rinnovarsi e continuare a meravigliare”.
Info:
Apologia della Storia – The Historian’s Craft
ICA Milano
Via Orobia 26, 20139 Milano
25/01/2019 – 15/03/2019
ORARI: Giovedì, Venerdì, Sabato, Domenica dalle 12 alle 20
Chiuso dal lunedì al mercoledì.
Ingresso libero
James Lee Byars, The Conscience, 1985 Ph. Dario Lasagni
Paul Pfeiffer, Study for Incarnator 2018 Ph. Dario Lasagni
Background: Yto Barrada, Plumber Assemblage, 2014 e Untitled (felt circus flooring, Tangieri), 2013-2015
Right: Haroon Gunn-Salie, History after apartheid, 2015 Ph. Dario Lasagni
Ryan Gander, 2000 year collaboration (The Prophet) 2018
Andrea Grotteschi (1987) vive e lavora tra il Lago Maggiore e Milano. Si laurea in Estetica all’Università Statale di Milano nel 2013. Dopo gli studi inizia la sua attività curatoriale nell’ambito dell’arte e della cultura contemporanea, collaborando in particolare con l’associazione culturale Asilo Bianco. Ha curato progetti espositivi e culturali a livello pubblico, come Studi Aperti Arts Festival (2015, 2016) e Sor’riso Amaro. Il lavoro e la risaia, visioni contemporanee (2017). Dal 2018 lavora come curatore indipendente e critico.
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