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Jacopo Mazzonelli feat Giulio Paolini. L’osservazi...

Jacopo Mazzonelli feat Giulio Paolini. L’osservazione silenziosa del suono

Per la riapertura della stagione espositiva, la galleria Studio G7 mette in scena un insolito duetto, quello tra l’artista visivo e performer Jacopo Mazzonelli (Trento, 1983) e il maestro dell’Arte Povera Giulio Paolini (Genova, 1940), ospite d’onore e mentore ideale della ricerca del collega più giovane. La mostra Isorhythm, il cui titolo richiama una particolare tecnica di composizione musicale in voga tra ‘300 e ‘400 che prevedeva la ripetizione di una stessa figura ritmica nei diversi movimenti del mottetto, riflette sulle possibili corrispondenze e traslazioni che intercorrono tra differenti linguaggi artistici e sul surplus di significato generato da queste ibridazioni.

Il fulcro scenografico dell’allestimento, motore immobile della sua architettura concettuale, è Sottosopra, un’opera che Paolini realizzò nel 2005 per una mostra a La Spezia curata da Bruno Corà in cui era affiancato da Castellani e Melotti, artisti già avvezzi a frequentare la tematica musicale. Per il maestro torinese si tratta invece di una prima (e unica) volta: l’argomento musicale è da lui riplasmato tramite il suo tipico approccio teatrale e strutturale, che analizza nell’opera il luogo e il tempo della rappresentazione. Di fronte a una scena essenziale in cui scarni tratti a matita vergati direttamente sulla parete alludono a una quinta prospettica, troviamo due leggii sovrapposti in modo fragile, senz’altra fissazione che la complementarietà delle loro forme. Impigliati nella struttura e giustapposti al muro, vediamo labili frammenti di fogli di carta bianchi e pentagrammati, la cui impossibile ricomposizione permetterebbe di leggere i paralleli aneddoti di Verrocchio e Rossini, che a distanza di 400 anni decisero di interrompere le rispettive carriere quando si resero conto di essere stati surclassati dal nascente talento di Leonardo e Wagner. Questi espliciti passaggi di consegne da una generazione all’altra confermano la concezione di Paolini dell’autonomia dell’arte, vista come processo evolutivo autosufficiente e inesorabile di cui gli artisti si fanno interpreti nel corso del tempo.

Se complesso lavoro di Paolini attraverso procedimenti di frammentazione, citazione e duplicazione esplora le implicazioni concettuali degli strumenti di una rappresentazione mai esplicitata ma solo evocata da tracce enigmatiche, anche Jacopo Mazzonelli incentra la sua ricerca sull’analisi della musica destrutturando, trasformando e ricomponendo oggetti sonori e strumenti musicali privati della loro funzione istituzionale. La sua è una riflessione silenziosa su come il suono possa attraversare molteplici parametri estetici e scientifici per arrivare a manifestarsi come immagine, peso, forma, gravità o formula muta senza per questo perdere il suo coinvolgente appeal. Come Paolini, anche Mazzonelli, che ad un certo punto della sua vita abbandona gli studi di pianoforte e composizione per dedicarsi alle arti visive, instaura un rapporto ambiguo con gli oggetti della sua indagine, che vengono trasformati dai suoi interventi in puro linguaggio.

Il giovane artista si prefigge anzitutto l’ossimorica sfida di dare evidenza visiva e durata infinita alla transitoria incorporeità del suono, collocandosi in un punto d’osservazione laterale che gli permette di individuare nuove possibilità di relazione tra elementi che a prima vista risultano ridotti ai minimi termini. La serie Aural (2019), ad esempio, composta da riproduzioni in cemento di pannelli fonoassorbenti solitamente utilizzati per spezzare il suono e rifletterlo in diverse direzioni per annullarlo, si presenta come un catalogo di moduli concettuali le cui inclinazioni e divergenze fanno intuire i percorsi visivi delle traiettorie sonore che sono preposti a fronteggiare. Il cemento per Mazzonelli è un materiale archetipico, espressione di potere e simbolo della contemporaneità antropizzata; nel suo lavoro ricorre come involucro e imposizione che obbliga gli oggetti che racchiude a vibrare in un altro modo, senza peraltro risultare grevi per lo sguardo. Quest’aspetto è particolarmente evidente in Volume (2019), tromba araldica murata in un parallelepipedo di cemento che sembra enfatizzare anziché mortificare la prepotenza potenziale del suono materializzandola in un elemento perentorio nella sua accentuata fisicità.

In Soundwaves (2019) invece l’artista rende visibile l’espressione dell’equazione di D’Alembert, illuminista francese che descrisse matematicamente il moto di propagazione delle onde sonore, luminose e delle maree dimostrando come anche il suono si comporti come una materia soggetta alle regole della fisica, nonostante la sua natura emblematicamente eterea e sfuggente. Sullo sfondo blu oltremare di un cartoncino vittoriano, sottratto a un album di fotografie d’epoca, due corde di chitarra ricamano una formula matematica che ci ricorda come nulla nella realtà sia disordinato e casuale, nemmeno ciò che i nostri sensi non ci consentono di percepire. Le meravigliose corrispondenze tra forme e funzioni di oggetti naturali e artigianali rendono intuitiva la lettura di Stereofonia (2019), un piccolo lavoro realizzato con cartoncini traforati sovrapposti, che si pone come pendant rispetto ad Aural. La stratificazione leggermente sfasata dei piani genera due tunnel lamellari convergenti che richiamano i padiglioni auricolari umani, ma anche la cassa armonica che determina il timbro e l’intensità di uno strumento a corde o a percussione. Ancora una volta il suono “appare” e la sua forma si può intuire in negativo rispetto agli oggetti preposti ad accoglierlo, generarlo o respingerlo.

Mazzonelli analizza lo statuto del suono e della musica senza mai farli sentire; la sua strategia è mettere in atto raffinati depistaggi che confondono le apparenze per rivelare i risvolti imprevedibili di ciò che potrebbe sembrare affrettatamente ovvio. Così, non senza ironia, il percorso circolare della mostra si conclude con un dispositivo impropriamente orchestrale: Pendulum music (2019), installazione in movimento costituita da una schiera di scatole di cartone, originariamente imballaggi di rulli per pianola meccanica, contenenti pendoli metallici in casuale ondulazione che, percuotendo la parete, producono un impercettibile rumore di fondo, sonorizzazione di un tempo soggettivo a cui ciascuno potrà scegliere di sincronizzarsi.

Isorhythm, mostra d’incontri tra generazioni, affezioni e contrappunti, è un progetto ideato da Ginevra Grigolo, storica fondatrice di Studio G7 venuta a mancare lo scorso settembre, che affida l’eredità e il futuro della sua amata galleria alla giovane Giulia Biafiore.

Info:

Jacopo Mazzonelli | Giulio Paolini. Isorhythm
a cura di Bettina Della Casa
28 settembre – 23 novembre 2019
Galleria Studio G7
Via Val D’Aposa 4A Bologna

Giulio Paolini, Sottosopra, 2005, leggii, scritti autografi lacerati, matita e collage su parete, dimensione ambientale

Jacopo Mazzonelli | Giulio Paolini. IsorhythmJacopo Mazzonelli | Giulio Paolini. Isorhythm installation view at Studio G7

Jacopo Mazzonelli | Giulio Paolini. Isorhythm installation view at Studio G7

Jacopo Mazzonelli | Giulio Paolini. Isorhythm installation view at Studio G7

Jacopo Mazzonelli | Giulio Paolini. Isorhythm installation view at Studio G7


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