È spesso per colpa dell’abitudine e della fretta, che ci accorgiamo sempre di meno di quanto ciò che ci circonda possa essere stimolo e sorgente di riflessione. Allo stesso tempo appare facile riconoscere come la contemporaneità sociale e artistica, l’una con l’adozione di ritmi sempre più stressogeni e l’altra con la proposta di linguaggi molte volte dalla velocità di fruizione allarmante, non favorisce e non concede molto tempo all’approfondimento estetico-intellettuale.
Dunque, muovendosi in direzione contraria a tale contesto – e ciò è da considerarsi confortante – la mostra Mind the Gap, a cura di Gino Pisapia, accolta negli spazi fiorentini della Galleria d’arte Eduardo Secci Contemporary e visitabile fino al 8 agosto, rappresenta un validissimo caso di progettazione espositiva e ragionamento critico, nonché un’occasione da non farsi sfuggire per evadere dalle impellenze della quotidianità, gettandosi nelle ponderate suggestioni comunicative e mentali che solo l’arte – quella vera – è in grado di destare. Già dalla titolazione dell’evento, si evince, da subito, come esso tragga spunto proprio da quel mondo dell’abitudinarietà e sbrigatività che ci dissuade dal pensiero, ma con la volontà di andare oltre le sue banalità. Difatti, ricordando come l’annuncio “Mind the gap” – letteralmente “Attenzione al divario” – venga diffuso nelle metropolitane di tutto il mondo per allertare i passeggeri dal pericolo rappresentato dal vuoto che intercorre fra il margine della banchina e il pianale del vagone, entrando a far parte, così, di quel tipo di comunicazione fredda e stereotipata che, passivamente, tutti subiamo ogni giorno, è possibile constatare come la mostra vada sì a porre l’attenzione su quel divario, su quel vuoto ma, di contro, compiendo un’inversione di percorso, invece di evitarlo come ci invita a fare l’annuncio, ne sonda le peculiarità espressive e ne misura i valori ontologici.
Ribaltando, perciò, quelle consuetudini che in maniera inconsapevole vanno, per forza di cose, a insinuarsi all’interno del bagaglio esperienziale collettivo, il tema del vuoto, grazie a un attento spunto del curatore e per mezzo di un allestimento appositamente articolato che scandisce organicamente i tempi di conoscenza e le modalità di porsi delle opere ospitate, viene declinato mettendone in rilievo l’aspetto produttivo e di positività, in quanto condizione necessaria di ogni pratica creativa e gnoseologica. Pertanto, anche se a primo impatto può sembrare contraddittorio, è corretto in riferimento a tutto ciò, parlare di vuoto al pari di un ente attivo e dispensatore di differenze, esso è indissolubilmente legato ai modi di manifestazione dell’immanente, costituisce il sostrato permanente degli eventi e, infine, per questo suo carattere di transitività, è aperto a attività di speculazione teorica e artistica. In linea con ciò, grazie al lavoro degli artisti selezionati per l’esposizione quali Davide Allieri, Alexandros Papathanasiou, Luca Pozzi e Tamara Repetto, ci è permesso attribuire al vuoto dei lineamenti estetici riconoscibili e, simultaneamente, partecipativi e relazionali, in grado di coinvolgere il fruitore dell’opera attraverso la sollecitazione dei sensi al fine di strutturare, così, una vera e propria esperienza del vuoto; un concetto molto ampio che per essere descritto ha bisogno di soluzioni artistiche diversificate che svariano dalla scultura alla fotografia, dal quadro all’installazione.
Ebbene, se le due teche sculture di Allieri – situate nella prima e seconda sala – rievocando in parte il Minimalismo degli anni Sessanta, trasmettono una parafrasi del vuoto in termini di immaterialità dal momento che è metaforicamente – ma anche letteralmente – contenuto all’interno dei raffinati volumi creati da questi lavori che modulano sapientemente lo spazio, nelle fotografie di Pozzi – anch’esse presenti nelle prime due sale – tale concetto si muove sul delicato equilibrio che corre fra reale e virtuale poiché, giocando anche un po’ con la storia dell’arte, egli colloca la propria figura negli intervalli di spazio presenti nelle scene di banchetto dipinte dal Veronese, generando così impressioni inaspettate e inganni prospettici vicini negli effetti al trompe l’oeil. Il richiamo al passato artistico è ravvisabile anche nel lavoro di Papathanasiou, il quale, nelle due opere ospitate nella prima sala, con un pizzico di ironia e concettualismo, espone due tele ricalcanti i celeberrimi tagli di Lucio Fontana ma curiosamente ricuciti con ago e filo, andando così a chiuderne fisicamente il vuoto derivante, mentre con la scultura Dust – collocata al piano inferiore della galleria – una sorta di sfera realizzata in polvere, riflette sulla relazione sussistente fra vuoto e tempo che, mediante l’impiego di un materiale innegabilmente evocativo e uno la sistemazione di uno specchio sopra il manufatto, si esplicita in tutta la sua evanescenza, impalpabilità e caducità. È l’installazione partecipativa di Repetto a chiudere il percorso espositivo; si tratta di un lavoro tecnicamente complesso e esteticamente originale che, tramite l’utilizzo di strumenti tecnologici, simula, per mezzo di suoni e odori e effetti di luce – quindi fattori intangibili che agiscono nel vuoto – l’ambiente produttivo di una cartiera in attività e si aziona esclusivamente con l’arrivo dello spettatore che innesca l’apposito sensore di riconoscimento entrando, così, in questa vera e propria esperienza sensoriale.
Ulteriormente da quest’ultimo esempio e dalla lenta percezione necessaria per la giusta lettura delle opere in esposizione, si ha la conferma di come il vuoto si vada a profilare al pari di un elemento indispensabile per la conoscenza del mondo, per la comprensione delle relative contingenze e, seppur esulando dalla connaturata tendenza dell’intelletto umano alla classificazione, come un sempre attuale stimolo di investigazione artistica che – come ci ricorda e e dimostra con efficacia la mostra Mind the Gap – è ancora capace di indirizzare in modo distintivo gli approdi estetici dell’arte contemporanea.
Prima sala. In primo piano: D. Allieri, Senza titolo, 2013, nelle due pareti laterali: A. Patapathanasiou, a destra Still waiting for a spatial concept II, 2015, a sinistra Still waiting for a spatial concept IV, 2015, nella parete di fondo: L. Pozzi, Supersymmetric partner/Convito in casa Levi haeredes Pauli, 2014.
Seconda sala. A destra: D. Allieri, 0.488 cubic meters (K), 2015. A sinistra: L. Pozzi, Supersymmetric partner/Nozze di Cana, 2010.
Terza sala. A. Papathanasiou, Dust, 2014.
Critico d’arte contemporanea e curatore, ha curato mostre in gallerie, spazi indipendenti e istituzionali. Ha tenuto conferenze in Italia e all’estero. Suoi testi e ricerche sono pubblicati su cataloghi, magazines di settore, edizioni di gallerie e monografie. È curatore di archivi d’artista, contributor di riviste e uffici stampa specializzati. Collabora con fondazioni, musei pubblici, case editrici e università a progetti di ricerca e curatoriali.
NO COMMENT