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Nel buio al confine, insieme: Pierre Huyghe a Punta della Dogana

“Liminal”, il nuovo progetto espositivo di Pierre Huyghe, ideato e curato per Punta della Dogana insieme ad Anne Stenne, spegne le luci sulla realtà che conosciamo trasportandoci al confine con ciò che vi è oltre, in luoghi in-between abitati da creature ai margini del concepibile. La mostra, visitabile a Venezia fino al 24 novembre 2024, incarna le ultime frontiere raggiunte dall’artista francese nel corso dell’ultimo decennio, costituendo il contesto perfetto per una riflessione sull’estetica relazionale e i suoi orizzonti.

Pierre Huyghe, “Liminal”, 2024 – in corso. Courtesy l’artista e Galerie Chantal Crousel, Marian Goodman Gallery, Hauser & Wirth, Esther Schipper, and TARO NASU © Pierre Huyghe, by SIAE 2023

Nel 1999 Pierre Huyghe e Philippe Parreno acquistarono un avatar da un’azienda giapponese, modello virtuale destinato ad animazioni commerciali liberato dai due, il cui nome diverrà Annlee. Prima di proporre i servigi attoriali di Annlee ad altri artisti, i due produssero ognuno un episodio che la vedeva come protagonista. Annlee, in Two Minutes Out of Time, si rivolgeva all’osservatore con queste precise parole: «Ti immagino. È facile… ti vedo e vedo anche lei». Se nell’opera del 2000 non si era realmente osservati, all’interno degli spazi di Punta della Dogana lo si è per davvero. La prima sala, avvolta dal buio, come tutte le successive – condizione che impone al visitatore un involontario, quanto inevitabile, temporaneo adattamento fisiologico all’assenza di luci – è composta da un corpus di opere inedite. Liminal, un video riprodotto in dimensioni giganti nell’intera altezza della sala. Una donna priva di volto cammina in un luogo assente, vuoto come lo spazio che all’interno del suo cranio dovrebbe contenere il cervello, la mente e le coordinate della sua coscienza. Estelarium, poggiato a terra in un angolo, è il calco in basalto del ventre gravido di un’entità umana. Le forme del viso svuotato e del baratro su cui la donna procede si compenetrano con quelle scavate all’interno della roccia lavica, speculando sulla nascita di una nuova forma di vita non umana.

Pierre Huyghe, (da sinistra a destra) “Offspring”, 2018, Pinault Collection; “Offspring”, 2018. Courtesy Leeum Museum of Art. Vista della mostra, “Pierre Huyghe. Liminal”, 2024, Punta della Dogana, Venezia. Ph. Ola Rindal © Palazzo Grassi, Pinault Collection

La mostra e le sue opere più recenti riescono nel catalizzare un metodo che Huyghe sperimenta da decenni, per favorire quell’apertura nei confronti di un’esperienza liminale, possibile a patto che si mantenga l’attenzione «[…]sul modo in cui i processi rimangono costantemente in corso e le interpretazioni sono infinite»[1]. La maggior parte dei lavori esposti è infatti in perenne ricezione – il mastodontico totem in ottone con cui si entra in contatto nella prima sala, Portal, ne è un esempio – proiettando ciò che raccolgono tramite sensori ambientali, telecamere e microfoni, in ciò che possiamo osservare nella simulazione in tempo reale di Liminal, o nel ritmo luminoso e sonoro autogenerato di Offspring. L’apoteosi di quanto descritto si ha nell’ultima sala, dove un grande schermo riproduce le immagini di UUmwelt-Annlee, ricostruite in tempo reale a partire dai dati raccolti da un’interfaccia cervello-computer, la quale registra l’attività celebrale di un individuo nell’atto di immaginare Annlee e ne modifica i parametri in base alle condizioni ambientali che registra a Punta della Dogana. Queste creature inumane condividono una condizione esistenziale con coloro che le osservano senza conoscerne la natura, contrapponendosi, senza esplicitarlo, alla stasi angosciante del dasein – “esserci”, così come definiva Heidegger l’essere umano – introducendoci al erneuerungssein – l’essere rinnovante – che muta continuamente.

Pierre Huyghe, “Untitled (Human Mask)”, 2014, Pinault Collection. Courtesy l’artista; Hauser & Wirth, London; Anna Lena Films, Paris © Pierre Huyghe, by SIAE 2023

Qualora l’opera si trovi invece in uno stato di finitezza, nell’atto di rappresentare forme di vita altra – come avviene in Human Mask, film ambientato nei dintorni della città di Fukushima dopo i nefasti eventi del 2011, in cui una scimmia mascherata continua a ripetere i gesti antropici a cui è stata addestrata, e nell’ambiente artificialmente determinato dell’acquario in cui vive un granchio freccia, Zoodram 6 – è l’osservatore che viene spinto al rinnovamento.

Pierre Huyghe, “Zoodram 6,” 2013. Courtesy Staatliche Museen zu Berlin, Nationalgalerie, 2015 acquistata dalla Freunde der Nationalgalerie © Pierre Huyghe

“Liminal” apre nuovi orizzonti speculativi ontologizzanti, ma si presenta, relativamente alla pratica artistica di Pierre Huyghe, come la chiusura di un percorso concettuale che concretizza anni di ricerca. Huyghe, che agli esordi della sua carriera concepiva narrazioni che potessero opporsi a quelle offerte dalla società in maniera critica, sembra aver compreso che realtà e finzione non sono contrapposte. Piuttosto, la finzione può sovrascrivere gli spazi metafisici della realtà, la quale è invece contingente agli spazi dell’irrealtà, interconnessi tramite un sistema di vasi comunicanti. L’artista francese esplora questa soglia propendendo, senza appartenervi, verso un’estetica esperienziale – che non si ispira al reale o a una sua elucubrazione, ma ne è costituita materialmente, e non propone un artefatto, ma lascia che esso venga prodotto dall’autentica esperienza di chi decida di offrirsi – arrivando quasi a sublimare quei caratteri predeterministici che hanno permesso a Nicolas Bourriaud di inquadrarlo nell’estetica relazionale.

Mattia Caggiano

[1] AA.VV., Pierre Huyghe, a cura di Carolyn Christov-Bakargiev, Skira, 2004

Info:

Pierre Huyghe. Liminal
a cura di Anne Stenne
17/03 – 24/11/2024
Punta della Dogana
www.pinaultcollection.com


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