Le cose sono parte del linguaggio come le parole ma riescono a sottintendere strutture di rappresentazione più precise e stratificate: ogni oggetto nasce come estensione di una specifica cultura e materializza un particolare aspetto della personalità di chi l’ha posseduto e utilizzato. Allo stesso tempo le cose sono portatrici di qualità formali che derivano dall’intreccio della loro funzionalità con un involucro estetico progettato per essere individuato e scelto tra altri con analoga destinazione d’uso innescando il desiderio del consumatore finale. E proprio l’inesauribile ambizione a possedere in esclusiva oggetti che incarnano modelli di bellezza, rarità o stranezza è il motore del collezionismo, fenomeno storicamente elitario che con l’avvento del consumismo si è democratizzato fino ad essere potenzialmente accessibile ad ogni fascia sociale. Il collezionista, sovrano e demiurgo di un micro mondo artificiale in cui l’unico limite è la capricciosa volontà del suo creatore, guarda e rielabora la realtà circostante attraverso il filtro della sua ossessione per plasmare un confortevole rifugio fatto a sua immagine e somiglianza. A livello inconscio quindi l’atto di collezionare potrebbe essere letto come un’estremizzazione della tendenza dell’individuo a rafforzare la propria identità arredando gli spazi in cui vive con gli oggetti su cui proietta i propri desideri disponendoli secondo principi soggettivi di piacevolezza.
L’ultimo progetto del duo artistico PetriPaselli riflette sulle implicazioni artistiche, semantiche e psicologiche della collezione intesa come soggetto, materiale e metodo di un procedimento creativo basato su una sorta di “linguaggio del posizionamento” che interferisce con l’ordine costituito attraverso la giustapposizione di elementi che grazie alla nuova collocazione interagiscono tra loro facendo scaturire significati alternativi e aperti alla conciliabilità degli opposti. La mostra Chiuso per malattia, che nel titolo allude all’insopprimibile coazione a ripetere del collettore, mette in scena un’improbabile collezione di oggetti all’interno di un trabocco di legno ricostruito a grandezza naturale nella cui rete sono impigliate sgargianti creature marine di plastica. La palafitta, ancorata al suolo con grosse travi ma sospesa tra mare e cielo come una cellula indipendente, simbolizza l’isolamento del collezionista che protegge i suoi tesori rendendoli inaccessibili, mentre le reti alludono al suo rapporto predatorio con il mondo esterno percepito come personale terreno di saccheggio.
Lo spazio all’interno della macchina da pesca è saturato da un folle armamentario di oggetti kitsch ordinatamente disposti su mensole a parete e suddivisi per famiglie, dimensioni e altri criteri altrettanto aleatori disseminati come indizi di una surreale narrazione o come cortocircuiti sul punto di far collassare l’insieme. L’effetto di queste serie artificiali inquieta e sembra risvegliare un aspetto perturbante che giace immediatamente al di sotto della superficie della quotidianità: le dita deformi potrebbero da un momento all’altro suonare i pianofortini o azionare il pulsante di scatto di una macchina fotografica giocattolo, le teste di bambola senza occhi forse vorrebbero aspirare il tabacco un tempo contenuto nelle pipe appiccandole con gli accendini scarichi, i bottoni sembrano più preziosi delle spille e più eleganti delle etichette da frutta. I fenicotteri sono silenziosi ed enigmatici nonostante il loro chiassoso colore, i fischietti a forma di uccello potrebbero richiamare o scacciare mostri infantili o radunare le lupe capitoline e le pecore del presepe per un’amichevole danza all’interno di un quadro souvenir o di una palla di neve. Biancaneve e le bamboline conchiglia gareggiano tra loro per grazia e leggiadria coinvolgendo involontariamente nel paragone le bottigliette porta acqua benedetta a forma di Madonnina, mentre uno schiaccianoci riesce a sfoderare un sorriso più accattivante del modello anatomico di una dentatura umana.
In questa vertigine di associazioni visive e inesprimibili richiami affettivi ogni elemento ha un valore intrinseco esplicitato dalla serie di cui fa parte ma ha la stessa importanza dei suoi compagni d’avventura e sembra poter trovare un accordo con tutto per il solo fatto di esistere e di essere stato scelto ed esposto. Il fulcro ideale della collezione allestita da PetriPaselli è uno schedario travestito da abbecedario infantile che elenca in ordine alfabetico le tipologie di oggetti allineati sulle scansie assieme ad altre categorie non ancora rappresentate che potrebbero costituire un ipotetico incremento dell’ambigua Wunderkammer in mostra. Se accumulare, ordinare e nominare le cose diventa un percorso di indagine e conoscenza, la parola che individua e circoscrive il prelievo dalla realtà è il germe di un’azione volta alla ricerca di un impossibile senso definitivo. La collezione dunque, dispositivo concettuale a cui gli artisti attribuiscono un aspetto ironicamente ludico e innocuo, innesca una raffinata riflessione concettuale sullo scarto tra il linguaggio e le sue possibili materializzazioni e sull’aporia insita nell’artificiale creazione di un ambito circoscritto ma disponibile all’esponenziale proliferazione di un’incontrollabile diversità.
La chiave di volta di questa architettura mentale si potrebbe quindi identificare nel modellino di trabocco mimetizzato tra altri paesaggi in miniatura: troppo piccolo per potervi accedere anche solo con lo sguardo, lascia immaginare un’analoga collezione racchiusa al suo interno e fa da contrappunto a un analogo trabocco dipinto collocato nella seconda sezione della mostra. Al piano inferiore dello spazio espositivo infatti un visionario laboratorio scientifico viviseziona il cervello del collezionista alla ricerca delle ragioni fisiologiche della sua peculiare attitudine. Ancora una volta gli strumenti del mestiere (boccette, ampolle, vetrini e tavole anatomiche di accattivante cromia) formano un’ulteriore collezione aperta a imprevedibili ampliamenti e diventano metafora di una ricerca sperimentale che, procedendo per intuizioni, errori e analogie imperfette, rivela la propria affinità di fondo con l’oggetto della sua indagine.
PetriPaselli. Chiuso per Malattia.
15 ottobre – 19 novembre 2016
Adiacenze
Vicolo Spirito Santo 1/B Bologna
PetriPaselli. Chiuso per Malattia, 2016 installation view, courtesy Adiacenze, Bologna
PetriPaselli. Chiuso per Malattia, 2016 installation view, courtesy Adiacenze, Bologna
PetriPaselli. Chiuso per Malattia, 2016 installation view, courtesy Adiacenze, Bologna
PetriPaselli. Chiuso per Malattia, 2016 installation view, courtesy Adiacenze, Bologna
PetriPaselli. Chiuso per Malattia, 2016 installation view, courtesy Adiacenze, Bologna
PetriPaselli. Chiuso per Malattia, 2016 installation view, courtesy Adiacenze, Bologna
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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