La Galleria de’ Foscherari presenta un nuovo progetto espositivo che, evocando il capolavoro di James Ensor Ingresso del Cristo a Bruxelles nel 1899, mette a confronto le poetiche di Piero Manai (Bologna, 1951-1988) e Luigi Presicce (Porto Cesareo 1976). Accomunati da una ricerca che si serve del corpo come materiale di creazione artistica e teatro di introspezione personale, hanno utilizzato entrambi come riferimento per un loro lavoro il celebre dipinto in cui il maestro belga raffigurava la propria apoteosi di pittore ritraendosi come Cristo attorniato da un’inquietante corteo di maschere ispirate al carnevale di Ostenda.
Se le smorfie e gli scheletri che affollano la composizione di Ensor esasperano l’assurdità in un vortice di pittura sfrenata, nel 1980 Manai ne riprende le fisionomie grottesche isolandole e ingigantendole su frammenti di carta intelata in un’installazione di oltre 50 disegni intitolata Autoritratto con maschere 1899. Questo catalogo della follia energicamente tratteggiato a carbone sembra voler circondare e aggredire lo spettatore mettendolo a sua volta al centro del corteo per dimostrare come anche gli strumenti tradizionali della pittura possano veicolare una dimensione azionista in linea con il neoespressionismo mitteleuropeo di quegli anni. La forma diventa campo d’azione privilegiato di un processo creativo che vuole riconquistare lo stato primario e arcaico dell’immagine dichiarando al tempo stesso la propria discendenza dalla storia dell’arte. Le maschere, veicolo di rivelazione e non più di occultamento, diventano pretesti di autoritratti che esplorano l’identità umana attraverso le smorfie prodotte dalle passioni per indagare la mimica facciale in modo analogo alle polaroid modificate in cui l’artista esprimeva il suo esibizionismo solitario.
L’enfasi sulla corporeità nella sua integrità o scomposizione monumentalizza suggestioni che implicano pulsioni di sessualità, morte o disgusto riattualizzando la tematica dell’individuo come persona vivente. Anche la ricerca di Luigi Presicce, ribaltando l’idea di travestimento solitamente connessa alla mistificazione, si serve di maschere e simboli ermetici come strumenti di un misticismo contemporaneo che trasforma i suoi dipinti e performance in azioni magico rituali. Nel tableau vivant che si ispira al dipinto di Ensor per rievocare la lapidazione di S. Stefano l’artista appare come sciamano votato all’autodistruzione alla guida di un surreale carro carnevalesco che trasporta una folla minacciosa di personaggi – ossessione. L’elegante composizione raffredda la vertigine cromatica della sua fonte iconografica in una coreografia ieratica dove storia sacra e profana si fondono in un’enigmatica sintesi che unisce modelli stilistici derivati dal Rinascimento italiano a suggestioni che affondano le radici nelle tradizioni popolari della cultura contadina pugliese.
Manai e Presicce pongono se stessi all’interno dell’opera per incarnare la fusione di arte e vita in un’esperienza totalizzante in cui il corpo fa da ponte tra l’uomo contemporaneo, il suo passato culturale e la natura. Entrambi quindi in momenti diversi delle loro carriere hanno voluto omaggiare Joseph Beuys, padre ideale di questo atteggiamento radicale, in due dipinti che raffigurano il suo leggendario cappello di feltro rovesciato e riempito di fuoco magico sottolineandone la doppia valenza di generatore di calore e agente di trasformazione alchemica.
Il dialogo tra i due artisti prosegue in una fitta rete di analogie intellettuali e assonanze formali: ai monoliti in cui Manai indagava la materialità e l’energia del colore esplorando le possibilità scultoree della pittura fanno da contrappunto gli impenetrabili solidi geometrici dipinti o modellati da Presicce come se fossero scrigni di una saggezza eretica destinata a pochi iniziati all’arte. I corpi diluiti e mutilati tramite i quali il primo cercava l’unità originaria della figurazione che sopravvive alle più estreme sottrazioni emanano lo stesso fascino arcaico delle messe in scena sacrificali in cui l’artista salentino interpreta brani di corpo smembrati come reliquie e talismani che materializzano i complessi sonnambulismi della sua fantasia. Ne La certifica delle mani Presicce impersona l’idolo o il demone disgregato rievocando l’episodio dell’amputazione delle dita dal cadavere di Ernesto Che Guevara come prova del suo assassinio prima di farne sparire il corpo. Figure incappucciate, angeli neri e sacerdoti profani celebrano il mistero di un impossibile riconoscimento con l’intensità di un’allucinazione che rifiuta le dinamiche del pensiero razionale per proiettare lo spettatore in una realtà parallela dove solo l’intuizione può cogliere l’efficacia simbolica delle visionarie agnizioni che accadono davanti ai suoi occhi.
Piero Manai, Luigi Presicce. Autoritratto con maschere 1899
a cura di Antonio Grulli
31 marzo – 31 maggio 2016
Lunedì – sabato 10.00 – 12.30, 16.00 – 19.30
Galleria de’ Foscherari
Via Castiglione 2b Bologna
Luigi Presicce, Nel costato, 2016
Piero Manai, Autoritratto con maschere 1899, 1980, carbone su carta intelata, 55 opere di varie dimensioni
Luigi Presicce, La certifica delle mani, 2013
Piero Manai, Omaggio a Joseph Beuys, 1987
Piero Manai, installation view
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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