Esistono forme d’arte totalizzanti, capaci di unire con intuito e acuta potenza d’indagine, ricerche geofisiche e realtà sociali, sì da delineare suggestive nuove visioni del mondo. A tal proposito, in linea con le riflessioni attorno agli argomenti sviluppati in occasione della 60° Biennale di Venezia, ha origine “TRAVELLERS MIRROR CITIES”, a cura di Miriam Sun e Giuliana Benassi e organizzata dal museo MoCA di Shanghai, in collaborazione con Venice International University. Al progetto sono stati invitati a partecipare numerosi artisti, tutti coinvolti nel tracciare visioni ispirate al complesso rapporto di forze intessuto tra il naturale ritmo della vita urbana e gli elementi virtuali. La collettiva postula la necessità di conoscere, in primo luogo, la natura umana, così da donare visioni antropocentriche fortemente incentrate sull’individuo in quanto straniero voglioso di voler indagare la propria indole biologica e tutto ciò che lo circonda. Pertanto, è lecito di fronte a questa mostra porsi delle questioni rispetto a quanto lo sguardo d’artista recepisca le fratture del tessuto cittadino e le ricadute sugli umani che lo popolano, riconsiderando altresì il rapporto con la propria natura, sino a sviluppare una nuova coscienza etica, estetica e biologica.
In tal modo le installazioni luminose, video e scultoree rendono l’ambiente un accogliente utero, a protezione di un’arte immersiva, giocata sul rapporto tra il naturale e l’artificiale, al punto tale da suggerire allo spettatore fascinose e attrattive meditazioni. A seguire, le domande poste ad alcuni protagonisti dimostrano quanto il tema del progetto non sia scevro da limiti e novità, per cui tutte le espressioni artistiche sono correlate in primo luogo a nuove sensazioni di fruizione, che permettono di cogliere i contributi visivi e narrativi con metodi davvero innovativi. In questo modo sia Rä di Martino sia Yang Yongliang trasmettono i valori impagabili di libertà e di anelito verso la creazione di nuovi territori. Mentre dalle parole della curatrice Miriam Sun, trapela lo spirito di una mostra animata da molteplicità e nuove connessioni in cui chiunque è libero di immergersi e vivere il suo fluido percorso. In ragione di ciò, lo spettatore è invitato a riflettersi non tanto in un determinato luogo geografico, ma in una realtà virtuale, in cui è naturalmente straniero e la cui forza non risiede nella precisazione di un’area, bensì nelle sue cangianti e visionarie forme d’interpretazione che gli artisti donano facendoci sentire la loro pressione rivoluzionaria.
Maria Vittoria Pinotti: In qualità di direttrice esecutiva del MoCA di Shanghai, potrebbe spiegare le ragioni di questo progetto?
Miriam Sun: Nel ventennio trascorso dall’apertura del MoCA – avvenuta nel 2005 – abbiamo instaurato una profonda collaborazione con l’ambasciatore Umberto Vattani, il governo italiano e l’Università Internazionale di Venezia. Questa mostra è la dodicesima realizzata in Italia e il sesto progetto ideato insieme all’ambasciatore. Nel 2009, per esempio, avevamo invitato a esporre presso l’Università Internazionale di Venezia dodici noti artisti cinesi facenti parte del movimento “85 trendy” – il primo nella storia dell’arte cinese del XX secolo a poter essere considerata una corrente d’avanguardia a livello nazionale – per realizzare la mostra “Gift for Marco Polo”. Quindici anni dopo, cioè adesso, abbiamo invitato la nuova generazione di artisti cinesi e italiani e, attraverso le loro opere, contenute nella collettiva “TRAVELLERS MIRROR CITIES”, miriamo a rendere conto dei settecento anni di distanza da Marco Polo, riecheggiando lo spirito del tema della 60° Biennale di Venezia “Stranieri Ovunque”. La mostra si snoda quindi attraverso un dialogo a più voci, restituendo immagini spesso contrastanti o, al contrario, speculari. Gli stessi artisti, cinesi e italiani, si specchiano: ognuno attraverso il proprio immaginario porta con sé il risultato dell’attraversamento di luoghi e visioni, di dimensioni spaziali e temporali. Tale rassegna è un viaggio inedito, che attraversa il nostro modo di intendere le mostre d’arte, dalla pittura, al video, alle sculture, alle installazioni, così come la ricerca scientifica e il suono, fino agli sforzi congiunti di artisti cinesi e italiani. Si tratta di una forma nomade e un nuovissimo modo di fare cultura per stare insieme nel teatro dell’arte.
Il titolo della mostra si riferisce alla capacità dei viaggiatori di riflettere la città. Lo scrittore italiano Giorgio Manganelli affermava che «lo specchio è un oggetto sacro e mitico, in quanto è sinonimo di una profondità senza fine: ciò che riverbera è frutto di una eterna complicità tra la realtà e la testimonianza che riflette».[1] La ricerca degli artisti in mostra potrebbe essere considerata come un naturale riflesso del rapporto tra l’artista e la città? Se così fosse, gli artisti sono viaggiatori fisici, mentali o virtuali?
Miriam Sun: Giorgio Manganelli interpreta perfettamente la filosofia della mostra. Le città, in quanto spazi geografici, sociali e culturali, contengono numerosi strati di valore che non sono immediatamente visibili. Questa mostra si colloca nel contesto della Venice International University, uno spazio dedicato agli scambi internazionali di conoscenze. “TRAVELLERS MIRROR CITIES” si propone di costruire ingegnosamente un percorso artistico concettuale sulla città del viaggiatore intesa come un’immagine spirituale, speculare di sé e dello straniero, tessendo una narrazione dinamica con due fili, uno apparente e l’altro nascosto. Utilizzando la presentazione non lineare di opere d’arte di artisti cinesi e italiani e attraverso i diversi linguaggi artistici (cioè il filo apparente), la mostra intende spingere i viaggiatori a continuare a porre domande alla città, suscitando in loro nuovi quesiti nei momenti in cui si trovano a interagire con l’arte, guidandoli a cercare il riflesso di sé stessi nello specchio delle risposte della città (cioè il filo nascosto). In questo modo, lo scopo della mostra non è solo quello di far trovare ai viaggiatori le risposte agli enigmi visivi della città, ma anche di delineare la loro auto-riflessione e incoraggiare la loro ulteriore contemplazione delle relazioni interpersonali. Come scrive Italo Calvino in un dialogo tra Kublai Khan e Marco Polo nel suo romanzo “Le città invisibili”, per quanto riguarda la Città dell’Utopia, anche se non l’abbiamo scoperta, non possiamo abbandonare i nostri sforzi per cercarla. È dunque necessario partire dalla storia e guardare alla nuova era per creare una “rete simbiotica” di palcoscenico in cui la vita a base di carbone e la vita a base di silicio dialoghino tra loro, e infine invitare il pubblico a condividere la bellezza a modo proprio, con il proprio percorso e la propria interazione. Questo testo è stato fondamentale per la realizzazione del concetto curatoriale alla base della mostra, Calvino ci ha regalato immagini nomadi attraverso diversi mondi: nomadismo commerciale, ideologico ed estetico. L’intera Terra (anche lo spazio esterno, così come i mondi virtuali paralleli al mondo reale) diventa così un unico teatro. “TRAVELLERS MIRROR CITIES” si presenta quindi come un’opera d’arte olistica che combina le ultime frontiere dell’arte contemporanea, della scienza e della tecnologia, della letteratura e del pensiero. Tutti i paragrafi spaziali della mostra, sia all’interno sia all’esterno, sono uno degli anelli logici di questo lavoro teatrale nel suo complesso. Ogni mostra è una “stazione di posta” per il pubblico nomade, che può fermarsi a riposare per un momento spirituale e intraprendere un dialogo emotivo, estetico e concettuale.
La tua opera chiama il pubblico a immaginare la storia di un frammento scultoreo, proponendo una peculiare esperienza: a quale scopo costruisci nuove forme di vita?
Rä di Martino: Nella mia opera “L’eccezione” ho voluto rappresentare l’idea di potenzialità. Una statua rotta abbandonata in un parco (immagine che ho ricavato da una foto con lo stesso soggetto) si sveglia e cerca di ballare come meglio può sulle note del leitmotiv “Flashdance (What A Feeling)” di Giorgio Moroder. All’inizio il movimento è molto lento e minimale, ma a un certo punto arriva quasi a seguire il ritmo del brano. Alla fine, si arriva a un colorama, un flash di colori digitali rosa, quasi a ricordare che è tutto artificiale e finto.
Analizzando le tue opere è naturale rievocare lo scrittore italiano Italo Calvino, il quale univa interessi profondamente scientifici a narrazioni fantastiche, in cui si innestavano intelligenti e profonde sollecitazioni interiori. In un suo breve racconto intitolato “La distanza della Luna” si narra l’impossibile storia di un gruppo di persone che andavano sul pianeta satellite alla ricerca di un nutriente latte di cui si alimentavano. In questo luogo «si estendevano regioni che mai avevamo avuto motivo e curiosità d’esplorare. Era una preparazione, un preludio, a qualcosa di segreto che doveva svolgersi nelle zone nascoste».[2] Anche tu sei particolarmente attratto dal soggetto della luna: quanto ti rifletti in questa descrizione?
Yang Yongliang: Sono un ammiratore delle opere di Calvino, e trovo che i temi che ha esplorato nei suoi scritti siano affascinanti e al tempo stesso facilmente condivisibili. Non ho letto “La distanza della Luna”, ma vorrei condividere un’altra idea interessante che proviene dagli antichi racconti popolari cinesi, che mi ha incuriosito e che ho incorporato nelle mie opere “Moonlight”. Ho raffigurato la luna come un disco piatto per rendere omaggio all’antica credenza romantica che la luna sia un disco illuminante. Nella letteratura storica cinese, il fascino della luna è associato alla nostalgia. Il disco luminoso è quindi simbolo della nostalgia di casa condivisa con i viaggiatori lontani, nostalgia per la famiglia e per gli amici separati che possono osservare la stessa immagine nello stesso momento, anche da lontano. È interessante scoprire che Calvino ha descritto la luna come una destinazione di viaggio, mentre la prospettiva tradizionale di ammirazione della luna con cui sono cresciuto mi ha insegnato a vederla sempre come un luogo irraggiungibile.
Maria Vittoria Pinotti
[1] Giorgio Manganelli, Emigrazioni oniriche: Scritti sull’arte, Adelphi, Milano, 2023, p.241.
[2] Italo Calvino, La distanza della Luna, in Le cosmicomiche, Mondadori, Milano, 2019, pp.7-8.
Info:
AA. VV., TRAVELLERS MIRROR CITIES
a cura di Giuliana Benassi e Miriam Sun
17/04/2024 – 18/05/2024
VIU – Venice International University
Isola di San Servolo 30133, Venezia
univiu.org
Maria Vittoria Pinotti (1986, San Benedetto del Tronto) è storica dell’arte, autrice e critica indipendente. Attualmente è coordinatrice dell’Archivio fotografico di Claudio Abate e Manager presso lo Studio di Elena Bellantoni. Dal 2016 al 2023 ha rivestito il ruolo di Gallery Manager in una galleria nel centro storico di Roma. Ha lavorato con uffici ministeriali, quali il Segretariato Generale del Ministero della Cultura e l’Archivio Centrale dello Stato. Attualmente collabora con riviste del settore culturale concentrandosi su approfondimenti tematici dedicati all’arte moderna e contemporanea.
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