All’inizio degli anni ’30 la stampa illustrata aveva raggiunto un momento culminante, con la diffusione di riviste che proponevano reportage fotografici da ogni angolo del mondo attraverso i quali i lettori potevano viaggiare con la mente e sentirsi testimoni di ciò che accadeva in luoghi che non sarebbero mai riusciti a vedere in prima persona. La moltiplicazione delle immagini sulla carta stampata aveva creato il fotogiornalismo, un nuovo modo di documentare la realtà con immagini iconiche in cui convergevano la sintesi dell’attimo, l’estetica e il punto di vista dell’autore e un episodio esemplare che condensava una più ampia congiuntura socio-epocale. Per alcuni decenni due generazioni di fotografi eticamente e socialmente impegnati, come Lewis Hine, Henri Cartier–Bresson e Robert Capa, scandagliarono nei loro scatti l’anima di un’epoca, rilevandone conflitti, contraddizioni ed entusiasmi. In questa schiera di grandi firme della fotografia troviamo anche l’americano W.Eugene Smith (1918-1978), al quale la Fondazione MAST dedica una grande retrospettiva nel centenario della sua nascita, presentando il suo progetto più ambizioso e sofferto, un monumentale ritratto per immagini di Pittsburgh, (Pennsylvania, USA), la città industriale più famosa del primo Novecento.
Smith iniziò la sua carriera giovanissimo, trasferendosi a New York un anno dopo il suicidio del padre per lavorare come freelance per la Black Star Agency, tramite la quale i suoi scatti venivano pubblicati sulle più importanti riviste del periodo. Dal 1944 cominciò a viaggiare come corrispondente di guerra per LIFE, documentando gli orrori di Okinawa e di Iwo Jima; tornò in patria quando venne gravemente ferito al volto da una granata e dopo due anni di riabilitazione e dolorosi interventi, nel 1947 riprese a collaborare a tempo pieno con la rivista. Risalgono a quel periodo alcuni tra i suoi servizi più famosi, come Il medico di campagna, che racconta la vita quotidiana del medico condotto Robert Ceriani, La levatrice dedicato al lavoro di una donna di colore del profondo sud o Il Villaggio spagnolo realizzato a Deleitosa in Estremadura che descrive la vita degli strati sociali più emarginati durante la dittatura franchista.
Smith, ossessivo nella sua ricerca di perfezione e profondamente idealista, considerava il reportage una missione, il cui scopo doveva essere risvegliare le coscienze sulle criticità mondiali per innescare un reale cambiamento politico e sociale. Per questo tutti i suoi lavori sono progettati per suscitare emozioni intense, evocano atmosfere cupe e drammatiche giocate su forti chiaroscuri e presentano le vite di anonimi protagonisti come avvenimenti memorabili che costruiranno la storia. Ciò che interessava all’artista era scandagliare e rendere visibile l’essenza dell’esistenza umana tramite frammenti di realtà che attraverso il filtro del suo sguardo e del suo obiettivo diventavano immagini simboliche, archetipi universali delle incoerenze e degli aneliti della modernità. Severo con se stesso e intransigente con gli altri, entrò presto in rotta di collisione con la rivista per il suo cronico ritardo nel consegnare il lavoro e per la sua costante insoddisfazione per il layout di stampa e per i testi che accompagnavano i suoi servizi.
Così a trentasei anni, all’apice del successo e della notorietà, dopo l’ennesimo diverbio decise di lasciare LIFE per unirsi all’agenzia Magnum, nella speranza che il lavoro indipendente gli avrebbe dato l’opportunità di esprimersi con maggiore libertà e di concretizzare il suo sogno di autenticità e di perfetta sintonia tra immagini e parole. L’occasione sembrò arrivare con la prima commissione da parte dell’agenzia francese, la richiesta di realizzare nel giro di un paio di mesi un centinaio di fotografie dei grattacieli e delle industrie di Pittsburgh per una pubblicazione celebrativa sul bicentenario della sua fondazione con un testo di Stefan Lorant. Ma fin da subito gli intenti dei committenti e quelli del fotografo si rivelarono differenti e quest’ultimo si trovò intrappolato dal suo soggetto nell’utopica ambizione di creare un ritratto definitivo e assoluto di una tentacolare città-organismo di cui voleva cogliere tutti gli aspetti senza tralasciare nulla. Dopo due anni di accanita dedizione che provocò il tracollo delle sue finanze e dissapori insanabili con la moglie e i figli che lo lasciarono solo, fu costretto a dichiararsi sconfitto, ad arrendersi all’impossibilità di cogliere una totalità sempre sfuggente in un’inesauribile sequenza di specificità esemplari.
I prodotti del suo monumentale impegno (quasi 20000 negativi e 2000 masterprints) sono attualmente conservati nella collezione del Carnegie Museum of Art di Pittsburgh e ora parte di quel progetto – 170 stampe vintage accompagnate da stralci autografi che raccontano il suo rovello artistico e le sue osservazioni e scoperte nel suo “corpo a corpo” fotografico con la città – è visibile per la prima volta in Italia nella Gallery del MAST. Le immagini descrivono con ritmo sincopato la complessità di Pittsburgh, si addentrano nelle strade e nelle fabbriche per offrire un distillato dell’esperienza del fotografo che rimase inguaribilmente affascinato dall’anima nera della città dell’acciaio, dai volti dei lavoratori, dai sistemi produttivi, dall’urbanistica e dalle contraddizioni del tessuto sociale.
In Smith tutto è spettacolare e drammaticamente enfatizzato: la bellezza epica degli altiforni che si stagliano su cieli arroventati in bianco e nero memori di Turner, le luci artificiali della sera che si riflettono nelle acque dell’Ohio, i tralicci elettrici che scompaiono tra i fumi delle ciminiere perdendosi in densi sfumati leonardeschi, le insegne sui grandi palazzi che sembrano disorientare piuttosto che indicare la direzione, la solidità borghese degli edifici istituzionali. E ancora gli operai, creature impersonali quando indossano le maschere e le visiere protettive durante il turno, deboli ombre in controluce negli spazi incommensurabilmente grandi delle fabbriche, tipi provenienti dai bassifondi di ogni nazione accomunati dai salari da fame, dagli scioperi e dallo sfruttamento. E i loro figli che giocano in strada e osservano incuriositi le attività degli adulti, le donne madri e lavoratrici, la biblioteca come luogo di ristoro e forse di riscatto sociale, la durezza di un paesaggio che assorbe l’individuo trasformandolo in un suo ingranaggio interno.
Da queste immagini emerge la profonda empatia con cui il fotografo si accostava ai suoi soggetti, la caparbia volontà di capire per offrire il proprio contributo in termini di impegno civile, l’eccessivo coinvolgimento emotivo che forse fu la ragione del fallimento dell’esaustività di un’impresa che oggi, a distanza di più di mezzo secolo, riesce ad aprire uno scorcio potente sull’America degli anni ’50 tra luci, ombre e promesse di felicità e progresso dimostrandoci come, a sua insaputa, l’obiettivo di arrivare all’essenziale era stato raggiunto.
Info:
Eugene Smith: Pittsburg. Ritratto di una città industriale
17 maggio – 16 settembre 2018
a cura di Urs Stahel
MAST
Via Speranza 42, Bologna
W.Eugene Smith, USA, 1918-1978 Forgiatore, 1955-1957 Stampa ai sali d’argento 23.49 x 33.34 cm Carnegie Museum of Art, Pittsburgh Gift of Vira I. Heinz Fund of the Pittsburgh Foundation © W. Eugene Smith / Magnum Photos
W. Eugene Smith, USA, 1918-1978 Operaio di un’acciaieria che prepara le bobine, 1955-1957 Stampa ai sali d’argento 22.86 x 34.61 cm Carnegie Museum of Art, Pittsburgh Gift of the Carnegie Library of Pittsburgh, Lorant Collection. © W. Eugene Smith / Magnum Photos
W.Eugene Smith, USA, 1918-1978 Acciaieria, 1955-1957 Stampa ai sali d’argento 34.29 x 22.86 cm Carnegie Museum of Art, Pittsburgh Gift of the Carnegie Library of Pittsburgh, Lorant Collection, © W. Eugene Smith / Magnum Photos
W. Eugene Smith, USA, 1918-1978 Ragazza accanto a un parchimetro, Carnevale della Camera di commercio di
Shadyside, Walnut Street, 1955-1957 Stampa ai sali d’argento 33.66 x 22.22 cm Carnegie Museum of Art, Pittsburgh Gift of the Carnegie Library of Pittsburgh, Lorant Collection. © W. Eugene Smith / Magnum Photos
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
NO COMMENT