“L’intera vita (…) si annuncia come un immenso accumulo di spettacoli. Tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione. Lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale tra le persone, mediato dalle immagini.” Queste parole costituiscono l’incipit de La società dello spettacolo di Guy Debord, che nel 1967 interpretava la moderna società delle immagini come una mistificazione volta a legittimare i sistemi produttivi vigenti. Al di là dell’ispirazione marxista che lo animava, il testo descrive l’artificiale processo di oggettivazione che trasforma una visione del mondo, originariamente parziale e politicizzata, in una prospettiva univoca presentata come modello di riferimento. Le riflessioni del filosofo francese analizzavano la nascita del consumismo, in riferimento al quale l’autore coniò la definizione di “sopravvivenza aumentata”, e stigmatizzavano la trasformazione del lavoratore in consumatore di illusioni in una profetica intuizione della tirannia delle immagini che l’esplosione dei social media ha reso oggi più che mai capillare.
Il lavoro di Yves Scherer, newyorkese d’adozione nato nel 1987 a Solothurn (CH), si riallaccia idealmente a queste tematiche indagando con approccio voyeuristico il mondo delle celebrità in relazione all’immaginario e alle interfacce della rete. Le sue opere di scultura, installazione e mixed-media rielaborano in tre dimensioni elementi tratti dalla cultura digitale accorpati a materiali quotidiani per esplorare il labile confine tra vita privata, spazio virtuale e rappresentazione. L’artista combina ricordi della sua vita privata, fan fictions e celebrity culture con l’obiettivo di decostruire la fittizia intimità tra il personaggio pubblico e i suoi ammiratori creata dai sempre più sofisticati artifici mediatici che filtrano la nostra percezione del reale. In bilico tra un incontenibile desiderio di appropriazione e immedesimazione e la necessità di stabilire una distanza critica dai suoi personaggi d’affezione, attraverso i suoi lavori imbastisce ricercate narrazioni nella cui trama convergono seduzione, rispecchiamento, demistificazione e straniamento.
La mostra The Last of the English Roses, visitabile a GALLLERIAPIÙ fino al 15 settembre, è incentrata sulla serie Kate, composta da eleganti contenitori in legno e plexiglass costruiti dall’artista che racchiudono copie numerate e firmate (da Scherer) del libro Kate Moss by Mario Testino. Il catalogo, pubblicato da Taschen nel 2011, raccoglie una galleria di scatti, realizzati nel corso di vent’anni di amicizia e collaborazione professionale, che ritraggono la modella durante le pause dello shooting. Ciascun display, applicato alla parete come se fosse un quadro, mostra il libro aperto in modo da mostrare un’immagine a doppia pagina che acquisisce tridimensionalità e consistenza materica grazie al volume dei fogli retrostanti. Concepito per essere osservato fronte-retro, se capovolto esibisce la copertina specchiante del libro che rimanda un riflesso distorto dell’osservatore che vi si accosta innescando un intrigante gioco di appropriazione e introiezione. L’operazione, memore delle più classiche pratiche di ready made, a prima vista sembra mettere in scena in modo spudorato quello che Mario Vargas Llosa dopo una visita alla Tate Modern definì il monumentale complotto congegnato da gallerie, musei, critici e collezionisti per attribuire lo statuto di opera a oggetti arbitrariamente designati come arte. In realtà Scherer si spinge molto oltre: perfettamente a suo agio nel grande inganno massmediatico che insinua nel nostro privato le vite ritoccate digitalmente delle celebrità che abbiamo visto crescere dall’adolescenza alla maturità, intrappola lo spettatore in un allestimento-frame che richiama l’essenziale artificialità delle stanze virtuali generate dai software per la realtà aumentata.
Le pareti e il pavimento (per l’occasione rivestito di moquette) della galleria sono infatti interamente dipinti con due tonalità simili di rosa carne studiate per immergere il visitatore in un ambiente che l’artista definisce “romantico-soffice-alienante”. L’intimità creata da questa tinta rosea rinascimentale, che richiama il colore della pelle di un occidentale bianco e che non a caso è usata e abusata dalla pubblicità di prodotti per la cura del corpo, esercita una seducente attrazione fisica e mentale che annulla la distanza psicologica inizialmente creata dall’evidenza materica del libro e della sua cornice. A questo modo l’estetica impeccabile delle immagini di Testino, intime ma troppo glamour per essere percepite come “scatti rubati”, viene lasciata libera di espandersi nello spazio per poi penetrare come esperienza nel nostro immaginario. Ad un approccio sinestesico allude anche il titolo della mostra che, ricalcando quello di una canzone pop di Peter Doherty, arricchisce la carrellata di immagini di ulteriori rimandi richiamando alla memoria il burrascoso fidanzamento della modella con il cantante.
La stessa contaminazione tra vita pubblica e privata e il medesimo slittamento tra individualità e modelli massmediatici costituiscono il filo conduttore di New York – July 26, 2012, un libro d’artista prodotto da GALLLERIAPIÙ che raccoglie sotto forma di rivista patinata una serie di fotografie scattate in quella data a Emma Watson da un paparazzo per documentare una sua passeggiata informale a Manhattan, mentre visita un negozio e interagisce con il commesso. Questa sequenza di azioni apparentemente poco interessanti, che all’epoca divenne virale su internet e che provocò un’impennata di vendite del modello di borsa Chanel indossata dall’attrice, viene restituita da Scherer come evento elitario attraverso la tiratura limitata della pubblicazione e l’attribuzione del titolo. Se nella serie Kate l’artista utilizza un oggetto esistente (il libro di Testino) per impossessarsi della sua musa come se fosse un prodotto di consumo, in New York – July 26, 2012 mette in atto un’appropriazione a distanza servendosi di un altro dispositivo di visualizzazione creato ad hoc (il magazine). Il suo intervento azzera le differenze stilistiche tra le due tipologie di immagini ed evidenzia i meccanismi con cui i mass media influenzano la nostra psiche inducendoci a desiderare di imitare una finzione che sussiste come entità autosufficiente a prescindere dal materiale umano da cui le sue manifestazioni traggono origine.
Scherer, inserito dalla rivista Forbes tra i 30 under 30 europei più influenti nella categoria arte e design, enfatizza l’osmosi tra social network, mezzi di comunicazione di massa e vita quotidiana per plasmare ambienti immersivi in cui è possibile esperire i diversi livelli di senso che si stratificano nelle immagini. Influenzato dalla cultura digitale e dalle infinite possibilità di ibridazione offerte dalla rete, nelle sue azioni concettuali coniuga una disincantata ricerca semiotica con una sensuale adesione estetica ed emotiva ai soggetti/oggetti che eccitano il suo desiderio di appropriazione e forse proprio questa irrisolta dicotomia è all’origine della complessa fascinazione che suscitano i suoi lavori.
Info:
Yves Scherer. The Last of the English Roses
12 maggio – 15 settembre 2018
Via del Porto, 48 a/b Bologna
Yves Scherer’s portrait
Yves Scherer, The last of the English Roses, exibition view at GALLLERIAPIÙ
Yves Scherer, The last of the English Roses, exibition view at GALLLERIAPIÙ
Yves Scherer, The last of the English Roses, exibition view at GALLLERIAPIÙ
Yves Scherer, The last of the English Roses, exibition view at GALLLERIAPIÙ
Yves Scherer, Untitled (Kate), 2018
Yves Scherer, Untitled (Kate), 2018
Yves Scherer, Untitled (Kate), 2018
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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