Nella Russia degli anni ‘20 l’arte astratta promossa dal movimento costruttivista era concepita come campo d’azione e verifica d’idee progettuali che nascevano dal sogno di una società egualitaria fondata sul rispetto dei lavoratori al di là delle divisioni di classe. Rifiutando l’accezione spirituale di Kazimir Malevič e la sacralità dell’opera intesa come entità irripetibile, gli artisti associati nel Primo Gruppo di Lavoro del Costruttivismo consideravano l’arte come agente attivo di un processo di miglioramento della vita che partiva da una produzione di massa basata sui nuovi valori comunicativi espressi dal graphic design, dalla fotografia e dai manifesti di propaganda politica. Gli artisti si percepivano come ingegneri estetici di una rivoluzione che voleva ribaltare i canoni di gusto della precedente classe dominante per sancire l’utopia di un mondo regolato da un ordine incontrovertibile garantito dall’universale applicazione del principio della pura funzionalità. I valori compositivi della pittura si traducevano quindi in combinazioni di figure geometriche astratte che diventavano modelli di un design industriale improntato a rigorosi principi di semplicità, funzionalità e rispetto delle specificità dei materiali.
Una delle interpreti di maggior rilievo di questa corrente fu Varvara Stepanova (1894-1958), moglie di Alexander Rodchenko: disegnatrice nella prima fabbrica statale di tessuti a Mosca, applicò i canoni costruttivisti alla progettazione di indumenti sportivi e da lavoro che assecondassero i gesti di chi li indossava e che fossero emblematici della specifica destinazione d’uso a cui erano assegnati. Linee geometriche decise sottolineavano i movimenti di un corpo androgino che diventava elemento compositivo, mentre gli audaci contrasti cromatici rivelavano intenzioni teatrali e letterarie nonostante la stringente logica dell’insieme. L’intenzione era ribaltare l’idea che la moda fosse riflesso psicologico di uno stile di vita per vincolare il valore estetico di ogni abito all’esclusivo momento della sua produzione e utilizzo. L’impegno dei costruttivisti nella realizzazione di abiti di buona qualità perfettamente attinenti alla loro funzione incarnava l’utopia di una società in grado di provvedere adeguatamente alle necessità di cittadini che nel loro insieme costituivano un corpo sociale destinato all’uguaglianza in opposizione alla volubilità della moda capitalistica occidentale.
A distanza di quasi un secolo il duo artistico rumeno Toma & Cobilanschi nella doppia personale a Gallleriapiù in corso a Bologna esplora l’archivio di opere, scritti, tessuti e bozzetti lasciato da Varvara Stepanova per riattualizzare quelle luminose suggestioni di futuro in possibili chiavi di lettura del presente che ne accolgono le intuizioni antropologiche e rappresentative. Così in Grey Flags (2016) un tessuto nero forse non molto dissimile da quelli creati nella fabbrica statale moscovita evoca le linee ascendenti del Monumento alla Terza Internazionale di Vladimir Tatlin; sospeso su un tappeto persiano che allude in modo generico alla cultura musulmana, sembra voler celebrare le speranze dei profughi di guerra assimilandole ai sogni di un mondo migliore che animarono le avanguardie storiche. Proseguendo l’indagine e la manipolazione delle connotazioni politiche e simboliche sottintese dal design dei prodotti tessili, i collage di tessuto della serie Rhythmical Logic (2016) compongono un’installazione che ripropone il rigoroso impianto geometrico e cromatico della pittura costruttivista. La citazione, superficialmente interpretabile come omaggio all’estetica modernista, nasconde in realtà una sottile disamina critica e politica. La matrice artigianale del manufatto, antitetica alla produzione industriale intesa come esclusiva ragion d’essere di quei motivi, diventa implicita ammissione della polivalenza semantica di una forma nata per essere univoca, mentre l’inserto di frammenti di stoffa su cui sono stampate le testimonianze di lavoratori rumeni lascia intravedere le falle di un sistema che censurava le proprie aporie.
Nel trittico Emotional armors (2015) Iulia Toma posa davanti all’obiettivo fotografico indossando in modo improprio la divisa sportiva di sua madre: i pantaloni della tuta, ripiegati e arrotolati fino a trasformarsi in fantasiosi copricapo, rivisitano in chiave ironica la ricerca di Varvara Stepanova sugli indumenti speciali per una professione specifica. Ancora una volta le insopprimibili dinamiche della soggettività negano ogni programmatica assolutizzazione per riaffermare il valore dell’individualità come insostituibile matrice di emozioni e creatività. Se la storia ha crudelmente smentito la fiducia delle avanguardie nell’imminenza di un futuro egualitario destinato a diventare eterno e la sensazione di insicurezza, precarietà e tensione che pervade il nostro presente scoraggia la nascita di ulteriori utopistiche previsioni, non resta che cercare ispirazione in altri possibili mondi. Così nel video Hello Worlds (2015) Claudiu Cobilanschi cerca di attirare l’attenzione di ipotetiche forme di vita extraterrestri agitando un tessuto riflettente su un prato sovrastato da un cielo terso e la sua giocosa aspettativa di ricevere qualche segnale dall’alto rilancia la speranza di poter ancora trovare nell’esperienza artistica nuove modalità di convivenza e comprensione reciproca.
Iulia Gabriela Toma & Claudiu Cobilanschi
Buongiorno, Varvara Stepanova
2 aprile – 10 giugno 2016
Gallleriapiù
Via Del Porto 48 a/b, Bologna
Iulia Gabriela Toma & Claudiu Cobilanschi, Rhythmical Logic (2016), courtesy Gallleriapiù
Iulia Gabriela Toma & Claudiu Cobilanschi, Hello Worlds (2015), courtesy Gallleriapiù
Iulia Gabriela Toma & Claudiu Cobilanschi, Grey Flags (2016), courtesy Gallleriapiù
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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