Nel catalogo della mostra, Yan Blusseau, per introdurre l’opera di Vincenzo Vecchiarino, fa riferimento al Mito di Sisifo di Albert Camus. Nel Mito di Sisifo, infatti, Camus mira a mostrare che anche l’oscura dottrina dell’esistenzialismo contiene tracce di speranza. Sisifo, negando ogni forma di trascendenza, accetta l’assurdità del suo stato e si libera dalla domanda “perché” trovando libertà e felicità nelle difficoltà dei suoi sforzi, nella sua stessa lotta. “Anche una lotta per la vetta è sufficiente per riempire il cuore di un uomo. Dobbiamo immaginare Sisifo felice.” L’opera di Vecchiarino si basa infatti sull’idea di angoscia esistenziale, sofferenza primordiale: la condizione assurda di un Uomo, così piccolo, in una realtà così grande. Semplicemente un mortale in un universo eterno. Questa riflessione può quindi ora essere il punto di partenza per l’interpretazione delle opere di Vincenzo Vecchiarino, artista pugliese che, formatosi nell’Accademia fiorentina, non visse per vedere la fama e il riconoscimento che indubbiamente merita.
Nel suo atelier di via Romana a Firenze, Vecchiarino sperimentava quotidianamente grazie all’inchiostro delle innumerevoli penne a sfera Bic consumate e ai diversi tipi di porosità della carta, producendo migliaia di disegni astratti con dettagli di forme biomorfe e quasi antropomorfe e dall’accento iperrealistico (Senza titolo, penna Biro su carta, ca. 2005), che donano allo spettatore l’impressione di indagare le parti di organi interni (Senza titolo, ca. 2009), o la fantasia dell’interno dell’occhio (Senza titolo, ca. 2010) di Vecchiarino. Questi numerosi disegni realizzati con la penna a sfera rappresentano una guida nascosta del mondo interno dell’artista e presentano tutte le idee che verranno poi realizzate nei suoi dipinti a olio più importanti.
Vincenzo ha dedicato gran parte del suo lavoro alla penna e all’olio. Tuttavia, i suoi lavori per decenni sono stati nascosti negli archivi familiari, ma adesso, per la prima volta, sono finalmente esposti al pubblico alla B.east Gallery di Firenze, che ha da poco inaugurato la mostra postuma dell’artista: “Visibilium Omnium et Invisibilium”.
Per la realizzazione dei disegni a penna, egli si si concentrava maniacalmente sullo studio di pressione, direzione, spessore della punta e diametro della sfera, colore, rotazione e lunghezza del tratto, creando opere che fungevano da studio delle forme e delle dinamiche dei dipinti a olio. Il gallerista e curatore della mostra, Yan Blusseau, ammette che la devozione di Vecchiarino al disegno era totale. Parte della pratica dell’artista era la cura dei minimi dettagli e una strategia consapevole del dedicarsi al processo di lavoro creativo, persistente e coscienzioso.
La sua ambizione di abbracciare il concetto di finitezza e di infinito è evidente nella sua pittura a olio Battaglia blu (1984), in cui si vede chiaramente la capacità dell’artista di rappresentare ciò che è invisibile, di combinare sullo stesso piano i dettagli con ciò che è sfocato, creando un aspetto uniforme. Nel dipinto migliaia di cavalieri rannicchiati in spire bianche e forme biomorfiche passano attraverso tempeste di nebbia in cui si accumulano corpi e forme slanciate, che sembrano provenire direttamente dal subconscio dell’artista. Il punto e la precisione dei dettagli sono chiari, amalgamandosi nell’insieme in una molteplicità densa e sfocata, creando forme sparse tra astrazione e figurazione. Tutto ciò è legato alle riflessioni fondanti di Vecchiarino, secondo cui un punto corrisponde sempre a un insieme di cose potenziali che sono infinite, data l’immensità dell’infinito inteso come spazio di possibilità imprevedibili. Può spaziare dalla figurazione fluida a una forma d’arte astratta, a volte con elementi di iperrealismo. Battaglia blu mostra un chiaro legame con i Cavalieri dell’Apocalisse, olio su tela dipinto nel 2007-2009. Volti perfettamente modellati si uniscono ad altri appena accennati, con figure che emergono dall’abisso, dal magma delle forme e dei materiali organici scolpiti. Vincenzo sembra mescolare ordine ed estetica alle sue condizioni, costruendo liberamente e con attenzione il campo pittorico, separando lo spazio per combinare elementi figurativi e astratti. Lo strato inferiore nei toni del verde e del marrone dà l’effetto di una terrosità organica (iperrealistica), che porta lo spettatore all’impressione di una manipolazione digitale. La terra è separata dal cielo da uno spesso strato di polvere bianca cosmica che sembra essere composta da piccoli frammenti organici che penetrano la gradazione viola del cielo. Come in altre opere di Vecchiarino, nessun elemento del campo pittorico è casuale, ma tutto risponde a una consapevole scelta e al punto di riferimento dell’universo spiritualistico dell’artista, ricco di significati, segnato da numerose riflessioni sull’insuperabile concetto di infinito e di riferimenti ad antiche credenze, Cabala ebraica, elementi esoterici, ma anche psicoanalisi moderna. Tutto questo, passo dopo passo, è stato da lui accuratamente documentato e sistemato negli annali dei suoi archivi. “L’artista ha la capacità di parlare in diversi idiomi, ma il suo pensiero resta unico e la sua voce inconfondibile”, scrisse Vecchiarino nei suoi taccuini.
Osservando le sue opere si può affermare che l’intenzione dell’artista fosse quella di rimanere in un’ambigua sospensione interpretativa. Nella pittura astratta, l’artista sembra dedicarsi allo studio della struttura della materia organica sulla superficie della terra, da cui emergono elaborati intrecci, complicate volute e briciole di forme, simili a reti neurali, illuminate qua e là dal chiaroscuro. Queste superfici sembrano talvolta abitate da organismi semiviventi, batteri, talvolta sotto forma di sfere ovali e lucenti di un altro mondo (Senza Titolo – “Terra egizia”, 1987-1989).
In questo modo Vincenzo non esita a creare nel giro di pochi anni immagini stilisticamente distanti tra loro, invocando la possibilità di libera scelta della tecnica e dell’espressione, intrecciando astrazioni e figurazioni. L’artista ha annotato nei suoi appunti la propria etica del lavoro, secondo cui si possono parlare lingue diverse, sperimentare diverse forme espressive, mescolandole alternativamente, ma restando incrollabili e coerenti con la propria visione, in modo che la propria voce e la propria espressione rimangano inconfondibili con qualsiasi altra cosa.
Aleksandra Lisek
Info:
Vincenzo Vecchiarino, Visibilium Omnium et Invisibilium
29/09/2022 – 15/11/2022
B.east Gallery
via di Mezzo 42, 50121 Firenze
www.beastgallery.com
Vincenzo Vecchiarino, Senza Titolo – “Muffa”, 1987-1989, olio su tavola, 39.5 x 27.5 cm. Courtesy B.east Gallery
Vincenzo Vecchiarino, Senza Titolo – “Terra sacra 1”, 1987-1989, olio su tavola, 126 x 90 cm. Courtesy B.east Gallery
Vincenzo Vecchiarino, Senza Titolo – “Grande utero”, 1994, olio su tavola 181 x 125,5 cm. e Cavalieri dell’Apocalisse, 2007-2009, olio su tavola 173 x 100 cm. Courtesy B.east Gallery
Vincenzo Vecchiarino, penna Biro su carta, 2000 ca. Courtesy B.east Gallery
Nata a Poznan, laureata in Performance Studies presso l’Università Jagellonica di Cracovia. È iscritta al secondo anno del biennio di Curatela Artistica dell’Accademia di Belle Arti di Firenze. Nella sua ricerca si concentra sulla critica d’arte istituzionale e decoloniale, sulla visione ecofemminista e performativa della cultura e dell’arte in crisi ecologica.
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