Entrando nelle navate del Pirelli HangarBicocca, al momento giusto – nella mostra di Jean Tinguely quello del baccano e dei rumori cacofonici – si viene accolti dal movimento dei mastodontici ingranaggi esposti; se si sente solo silenzio, la catena di montaggio è in procinto di attivarsi. Il progetto espositivo, a cura di Camille Morineau, Lucia Pesapane e Vicente Todolí, visitabile fino al 2 febbraio 2025 negli spazi industriali dell’HangarBicocca, evoca l’atmosfera dell’ultimo studio Tinguely a Friburgo. Le sculture cinetiche, composte da materiali grezzi tra cui rottami e motori, creano un ambiente che rispecchia l’anima produttiva dell’edificio, mentre l’allestimento, pur non seguendo un ordine strettamente cronologico, permette al visitatore di cogliere l’evoluzione del pensiero di Tinguely. Due sono gli elementi indivisibili nella pratica dell’artista svizzero, il disordine meccanico e la partecipazione del pubblico che attiva, percepisce e ascolta.
L’interesse di Tinguely per il movimento meccanico affonda le radici nell’eredità duchampiana. Del Grande Vetro di Duchamp, Octavio Paz scriveva: «Il Grande Vetro è il disegno di un congegno […] In realtà la composizione dovrebbe avere tre parti: una plastica, una letteraria e una sonora[1]». Le opere di Tinguely sembrano ricalcare questa composizione con alcune differenze: la forma plastica si fa monumentale e quella sonora, nell’opera di Duchamp inudibile, non è più trascurabile. Duchamp, inoltre, non produsse mai una riflessione sul consumismo – non avendolo esperito direttamente nel periodo della sua produttività – diversamente da Tinguely, che esprime un evidente dissenso verso il produttivismo, sua diretta causa e conseguenza. Le sue sculture si muovono senza uno scopo, sfidando la funzione stessa della macchina. Emblematico in questo senso è il Meta-Matic No.10 (1959), un congegno che, inserendo un gettone, permette di generare disegni astratti su carta. Questo atto ribalta il concetto di creazione artistica, spostandolo dal soggetto umano alla macchina. Un’operazione che arrivò a due anni di distanza dai primi rotoli di pittura venduti al metro da Pinot Gallizio, suggerendo una democratizzazione del processo artistico, ma anche una critica verso la mercificazione dell’arte.
Un’altra fonte di ispirazione per Tinguely fu Alexander Calder, la cui estetica si riflette chiaramente in opere come Métà-Herbin (1955) e Méta-Matic No.10. Queste condividono con i mobiles e stabiles di Calder le forme dinamiche e leggere, ma evocano anche le sue sculture monumentali, di cui sono in apparenza versioni miniaturizzate e interattive.
Le macchine cinetiche di Tinguely sono agenti generatori, non solo di nuova arte, ma di speculazioni. Nelle due serie di opere esposte, Philosophers (1988) e 8 Philosophers (1989), l’artista traduce grandi filosofi in forme scultoree dinamiche. Tinguely crea rappresentazioni dedicate a figure come Jean-Jacques Rousseau, Pjotr Kropotkin, Friedrich Engels, Martin Heidegger e Henri Bergson. In 8 Philosophers, il cogitare si fa corale: otto filosofi vengono riuniti su una piattaforma meccanica, ognuno associato a un titolo giocoso ed ironico, come Nietzsche pensa intensamente e Platone in azione, un’immagine che separa il filosofo dal suo mondo noetico per renderlo concreto e tangibile.
L’opera di Tinguely è, dunque, generatrice di pensiero, grazie alla sua capacità di concretizzarsi nonostante sia priva di una funzione. Questa possibilità è mutuata dalle sue qualità immanenti, rintracciabili nella tecnologia applicata al campo artistico, ben consapevoli del fatto che la macchina non necessita di una costruzione narrativa, ma possiede una sua poetica intrinseca.
Mattia Caggiano
[1] Octavio Paz, Apparenza nuda. L’opera di Marcel Duchamp, Abscondita, 2000, p. 55.
Info:
Jean Tinguely
10/10/2024 – 02/022025
Curatori: Camille Morineau, Lucia Pesapane e Vicente Todolí con Fiammetta Griccioli
Pirelli HangarBicocca
Via Chiese, 2 – Milano
www.pirellihangarbicocca.org
Mattia Caggiano (Asti, 1999) è un giovane critico e teorico dell’arte, con base a Venezia e Torino. Il suo lavoro si concentra su temi legati all’installazione ambientale e all’interazione tra l’opera d’arte e il contesto circostante. Attraverso un approccio ricco di contaminazioni disciplinari, esplora le dinamiche estetiche e i dialoghi che emergono tra arte, ambiente e esperienza, contribuendo a una comprensione più profonda del panorama contemporaneo tramite ricerche a lungo termine riportate all’interno di saggi e pubblicazioni.
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