KADIST è un’organizzazione senza scopo di lucro dedita alla promozione degli artisti presenti nella sua collezione (in totale ca 1.600 opere d’arte che rappresentano oltre 800 autori, con un incremento di circa 100 opere ogni anno), con l’intento di affermare la rilevanza dell’arte contemporanea all’interno di un discorso sociale o di comunità. Ma dobbiamo stare attenti: parlare di KADIST come uno spazio espositivo o come un centro promozionale è troppo poco. Questa sigla include una rete di collaboratori che pur riferendosi a un centro operativo (o ad almeno due centri operativi, nella fattispecie Parigi e San Francisco, mentre è in fase organizzativa una piattaforma che collegherà il Nord America, l’Europa, il Medio Oriente, l’Africa, l’Asia e l’America Latina) è sparsa per i quattro angoli della terra. Il lavoro di base consiste nella presentazione di mostre ed eventi, nell’organizzazione di residenze e iniziative educative, oltre alla produzione di progetti online e tramite i social media. In definitiva, l’intenzione è quella di dare un sostegno alla decentralizzazione dell’arte contemporanea, alimentando le connessioni tra artisti e curatori di varie nazioni e culture. Attraverso la rete di KADIST vengono prodotte mostre in città diverse come Il Cairo, Bangkok o Città del Messico, attraverso collaborazioni curatoriali che affrontano responsabilmente la complessità delle culture locali, presentando le voci di artisti che rispondono alle più urgenti istanze sociali e politiche del nostro tempo. I fondatori di KADIST sono Vincent Worms e Sandra Terdjman, il direttore artistico è Joseph del Pesco, ma la rete è molto ampia; forniamo pochissimi nomi solo per far capire il metodo allargato che sta alla base del progetto: in Asia il riferimento principale è nella figura di Ruijun Shen, in Europa troviamo Jean-Marc Prévost, in America Latina il primo referente è Catalina Lozano, in Nord America troviamo Adam Kleinman, e così via per decine di altri collaboratori.
Ora, dal 15 ottobre 2021 al 30 gennaio 2022, KADIST Paris (in collaborazione con CCA, Lagos) propone Diaspora at Home. La mostra, a cura di Iheanyi Onwuegbucha e Sophie Potelon, presenta i lavori di: El Anatsui, Nidhal Chamekh, Bady Dalloul, Rahima Gambo, Goddy Leye, Abraham Onoriode Oghobase, Wura-Natasha Ogunji e Chloé Quenum. A prima vista questo potrebbe essere un elenco di nomi del tutto sconosciuti o delle promesse sulle quali scommettere, ma a ben guardare sono invece tutti dei bravi professionisti e alcuni di questi hanno collegamenti con gallerie private e hanno già avuto mostre in spazi museali e istituzionali. Diamo ora qualche piccola specifica su ogni singolo autore. El Anatsui (Anyako, 1944) è un artista ghanese, sebbene abbia lavorato per gran parte della sua carriera in Nigeria, ed è molto conosciuto per i manufatti che realizza a partire da materiali riciclati, secondo una modalità che è comune a molte aree geografiche del continente africano. Nidhal Chamekh (Dahmani, Tunisia, 1985), che ha studiato alla scuola di BB.AA. di Tunisi e alla Sorbona di Parigi, tuttora continua a operare in ambedue queste città. Il suo lavoro, coniugato attraverso il disegno, l’installazione, la fotografia e il video, riflette aspetti allo stesso tempo biografici (senza cadere sul tono lirico o intimistico) e politici, cioè legati all’attualità e all’identità. Bady Dalloul (nato a Parigi nel 1986, da genitori emigrati di origine siriana) nel lavoro di residenza realizzato a Villa Kujoyama (in Giappone, 2021) all’interno del progetto “Mon Pays imaginaire” ha rivissuto la scelta di un gruppo di profughi siriani che ha deciso di trasferirsi in Giappone e nello studio di questa particolarissima condizione di sradicamento l’autore ha rivissuto la scelta dei suoi genitori, quando alcuni anni orsono tagliarono i ponti con la loro terra natia, per trasferirsi in Francia. In questo modo, l’analisi di un micro fenomeno sociale è divenuto il passaporto per rivivere un percorso di vita personale. Rahima Gambo (1986, vive a Abuja, Nigeria) è una fotografa nigeriana che è arrivata alla pratica artistica lavorando in modo indipendente su progetti di documentazione transmediali e di lunga durata. Attualmente esplora le cartografie narrative del “camminare”, intersecando il racconto con la geografia psico-spirituale, la sociopolitica, l’ambiente urbano e l’autobiografia. Il suo lavoro si confronta con gli strumenti di un linguaggio visivo esteso che include disegno, film, scultura, installazione e suono. Goddy Leye (Mbouda, 1965 – 2011, Camerun) ha lavorato con il video, le installazioni e con interventi concettuali e teorici. Peraltro a livello organizzativo è stato il fondatore e animatore, nel 2002, dopo un soggiorno di studio nei Paesi Bassi, del centro d’arte ArtBakery di Bonendale. Abraham Onoriode Oghobase (Lagos, Nigeria, 1979) da alcuni anni vive a Toronto (Canada). Nell’uso del mezzo fotografico egli si interroga sul perché dell’esistenza umana, sulla coscienza, sul mondo interiore, scomponendo e ricomponendo le parti della nostra mente e della nostra vita, come in un complicato puzzle di cui si sono perse alcune tessere. Wura-Natasha Ogunji (1970, artista di origini nigeriane, vive a Lagos) si esprime con mezzi molteplici, ma è soprattutto conosciuta per i suoi lavori performativi, divulgati attraverso i video. I soggetti delle sue opere includono in primo luogo la fisicità del corpo, il rapporto con lo spazio, la memoria individuale e la storia collettiva. Chloé Quenum (Parigi, 1983) lavora con il vetro, il metallo, il tessuto e il cemento, incrociando processi di colorazione, trasparenza e fusione. Gli elementi chiave del suo lavoro sono i riferimenti ai pattern decorativi propri degli arredi domestici e dei dettagli architettonici. Diaspora at Home è il secondo capitolo di un progetto iniziato nel 2019 e il cui tema principale è quello delle migrazioni a cui sono sottoposte le popolazioni più povere del continente africano o quelle che vivono nel mezzo di conflitti di cui non si vede una conclusione.
Certo, bisogna aggiungere che il nomadismo è parte della storia dell’uomo e non ci viene da pensare solo all’Homo sapiens sapiens (che dopo essersi sviluppato in Africa per circa 70mila anni è poi emigrato in Europa, dove poi soppiantò il Neanderthal), ma, per esempio, alla cattività degli Ebrei in Egitto o alla diaspora di un popolo dopo la distruzione del tempio di Salomone da parte delle legioni romane, come alle ripetute ondate di Unni e Mongoli dall’Oriente verso Occidente. Pensiamo pure ai continui flussi dei cosiddetti barbari che continuarono per secoli a premere nei confronti del limes romano (dai Germani agli Scoti, dagli Ostrogoti ai Longobardi), fino ad arrivare agli Slavi che calarono dal Nord dell’Europa nel cuore della penisola balcanica, o alla precedente invasione dorica della Grecia pre-classica che lentamente si assimilò con le popolazioni autoctone lasciando al di fuori di questo commistione solo l’Attica, o anche all’affacciarsi degli indoeuropei sui confini del subcontinente indiano. In realtà lo spostamento di intere popolazioni è all’inizio dipesa da una istanza nomadica (spostare le greggi o seguire i branchi degli animali selvatici) o da una volontà di rapina e impossessamento dei beni altrui. E questa volontà di conquista (si pensi non solo all’allargamento dell’impero di Alessandro il Macedone verso Oriente, ma anche alle varie guerre coloniali (in primis da parte di Inglesi e Francesi) ha rappresentato un fenomeno di sradicamento e di mobilità, di commistione e intrecci, sottoposti al desiderio del riscatto economico e al principio di affermazione e sopraffazione. Certo, i metodi erano violenti e gli sterminii erano all’ordine del giorno, tuttavia questo ci deve far capire che l’uomo non è solo un animale sociale, ma anche un essere avido di beni, di odi violenti, di desideri insaziabili e con insane istanze di devastazione. Pensando agli orribili eccidi della Grande Guerra e della Seconda Guerra Mondiale, vien da pensare che i milioni di morti, pur nella diversità delle lingue, in qualche modo erano alla lontana tutti imparentati tra di loro, a causa di migrazioni e invasioni avvenute secoli addietro. Basta pensare ai Normanni che dal Nord calarono sulle coste della Francia e che da lì approdarono in Inghilterra per conquistarla e sottometterla. Ovviamente ogni sofferenza è un unicum, e la lista potrebbe continuare senza grosse difficoltà.
Roberto Grisancich
Info:
AA.VV., Diaspora at Home
15/10/2021 – 30/01/2022
KADIST Paris
Centre for Contemporary Art
19bis/21, rue des Trois Frères, paris@kadist.org
+33 1 42 51 83 49
gio – dom 14.00-19.00
Rahima Gambo, Nest-works and Wanderl-lines, 2021, vista dell’installazione esposta alla Stevenson Gallery, Capetown (“My Whole Body Changed Into Something Else”, 15 July – 3 September 2021)
Rahima Gambo, Nest-works and Wanderl-lines, 2021, dett., vista dell’installazione esposta alla Stevenson Gallery, Capetown (“My Whole Body Changed Into Something Else”, 15 July – 3 September 2021)
Bady Dalloul, Bound Together, 2019, exhibition view of Diaspora at Home, Centre for Contemporary Art, Lagos. Photo: Abraham Oghobase, courtesy Galerie Poggi
Abraham Onoriode Oghobase, Equilibrium 01, 2021, courtesy of the artist
Abraham Onoriode Oghobase, Evanescence-Waterfall, 2021, courtesy of the artist
is a contemporary art magazine since 1980
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