In occasione della prima edizione del Majhi International Art Residency Program, presentato a Venezia dalla Durjoy Bangladesh Foundation (DBF), abbiamo intervistato l’artista Kamruzzaman Shadhin (nato a Thakurgaon, Bangladesh) per esplorare la ricerca artistica e il suo percorso creativo.
La residenza si è svolta a Combo, l’ex Convento dei Crociferi, dove Kamruzzaman, uno degli artisti coinvolti nella residenza, ha lavorato dal 20 luglio al 3 agosto, ed esporrà in una mostra collettiva finale a Combo dal 4 all’11 agosto 2019. Gli altri artisti invitati sono: Dilara Begum Jolly, Dhali Al-Mamoon, Rajaul Islam (Lovelu), Noor Ahmed Gelal, Uttam Kumar Karmaker, Umut Yasat, Chiara Tubia, Cosima Montavoci, Andrea Morucchio e David Dalla Venezia
La tua ricerca artistica ruota attorno alla performance e all’installazione: da dove origina il tuo lavoro? Cosa innesca il tuo processo di creazione?
Mi piace fare le cose spontaneamente, a partire da ciò che vedo e da ciò che ho in mente. Voglio collegare tutti questi elementi, penso che tutto abbia una potenziale connessione. Ogni comunità ha i suoi rituali, durante la mia infanzia ho assistito e vissuto questi vari rituali nelle comunità dentro e intorno al villaggio in cui sono cresciuto. Penso che come artista questi rituali e pratiche abbiano influenzato notevolmente le mie performance e installazioni. E ora, sto solo costruendo queste connessioni tramite la mia azione artistica.
Lavori spesso con comunità di rifugiati, indagando sui loro sentimenti e sulla loro fragilità come nuovi arrivati. Potresti dirmi come hai avuto modo di fare questo, a Venezia?
Ho deciso di lavorare con i migranti sia del mio paese sia di altri paesi per indagare i loro sentimenti e capire perché si sono trasferiti qui, quanto soffrono la lontananza dalle loro famiglie… Sfortunatamente quando si trasferiscono in un nuovo paese spesso non hanno mai modo di tornare nella loro patria. Se ritornano, trovano difficile riconoscere il loro paese, le loro famiglie e l’intera società. Sto cercando di lavorare con loro. Ho fatto fatica a trovare un senso di comunità a Venezia, non ha quel carattere sociale che invece appartiene al mio paese e alla mia mentalità. Venezia sembra essere un capolavoro e quando cammini in città ti senti parte di un museo. Allora perché Venezia è considerata la migliore? È Venezia… o sta morendo? La vita qui è molto costosa ed è difficile guadagnare abbastanza per vivere qui. È come il paradiso ma non te lo puoi permettere.
Prendi come esempio la Biennale di Venezia: è la mostra più famosa al mondo o è solo una vetrina di opere d’arte? E chi sono gli spettatori? Sono solo visitatori che si godono lo spettacolo o sono collezionisti che acquistano arte? All’Arsenale puoi vedere Barca nostra di Christoph Büchel e allo stesso tempo opere d’arte che non puoi permetterti. La critica ha affermato che questa nave non sia un’opera d’arte ma per me è proprio questa la vera opera d’arte, è il tuo sogno. Quindi mi chiedo dove è la Biennale? È all’interno della Biennale o all’esterno? Allora, che cos’è Venezia, tra la fine della Biennale d’Arte e l’Architettura? Ne stiamo vedendo solo una parte? Se conosci le due parti allora voglio vederlo con i tuoi occhi e la tua mente. Questa è la mia ambizione, vedere cosa vedi e cosa non dici attraverso gli altri.
Mi chiedo anche dove siano gli artisti veneziani alla Biennale di Venezia? La biennale presenta sempre artisti affermati ma non coinvolge artisti emergenti veneziani. Tutto sembra essere gestito dalla politica. Facciamo parte di un sistema e ognuno sta giocando la sua parte di sistema, per quanto terribile sia.
A proposito di ciò, cosa pensi dell’iniziativa di Majhi per creare una rete internazionale tra artisti del Sud Asia con quelli del resto del mondo?
Sai, la maggior parte delle volte, gli artisti non possono permettersi di viaggiare, quindi spesso hanno bisogno di un invito speciale. Senza questa iniziativa non sarei potuto venire qui e accrescere la mia esperienza, credo che tutti gli artisti – da qualsiasi parte essi provengano – appartengano a una singola comunità. Siamo fortunati perché quando stiamo insieme pensiamo tutti allo stesso modo e creiamo delle buone opere. Non so se l’output sia buono, ma sicuramente abbiamo creato una profonda connessione tra di noi. Questa esperienza potrebbe portarci a sviluppare nuovi progetti e idee insieme.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Sono interessato ai vari strati e dimensioni della migrazione e al modo in cui è correlato alla storia e all’attualità globale. Al momento, sto sviluppando un pezzo che esplora il rapporto tra coltivazione della iuta e la migrazione nei tempi coloniali del Bengala. Attraverso la mia organizzazione “Gidree Bawlee”, sto lavorando nel mio villaggio per innescare un movimento artistico attraverso progetti di collaborazione con la comunità.
Info:
Kamruzzaman Shadhin, photographed by Noor Ahmed Gelal
Kamruzzaman Shadhin, Elephant in the Room, Kutupalong-Balaukhali Rohingya Camp, Teknaf, Bangladesh, 2018, courtesy of the artist
Kamruzzaman Shadhin, The Player Behind, 2011, performance, courtesy of the artist
Kamruzzaman Shadhin, Installation shot of Greed, 17th Asian Art Biennale, 2016, courtesy of the artist
Nata a Bari, ha studiato arti visive all’Università IUAV di Venezia. Dopo un anno di studi accademici di fotografia e graphic design in Portogallo, ha conseguito un Master in Economia per le Arti all’Università Ca ‘Foscari di Venezia. Ora lavora per My Art Guides come addetta stampa.
NO COMMENT