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Katharina Sieverding al Museum Frieder Burda

Katharina Sieverding al Museum Frieder Burda

Il noto collezionista Frieder Burda decise di dare vita, nel 1998, a una fondazione che potesse gestire e preservare la sua collezione (composta da circa mille opere tra dipinti, sculture, oggetti, fotografie e opere su carta) e renderla accessibile al pubblico. Poi, nel 2004, a Baden-Baden, venne aperto l’omonimo museo, un edificio progettato dal famoso architetto americano Richard Meier. Fin dall’apertura il museo ha organizzato mostre dedicate ad artisti del calibro di Gerhard Richter, Sigmar Polke, Andreas Gursky, Anselm Kiefer. Poi, nel 2016, a Berlino fu inaugurato Salon Berlin, uno spazio dedicato a una amplificazione degli eventi del Museum Frieder Burda.

Ora, fino al 9 gennaio 2022, il Museo ospita una mostra dedicata a Katharina Sieverding, mentre una estensione della stessa viene proposta al Salon Berlin dal 3 al 26 settembre.

Questa doppia mostra riunisce opere che abbracciano tutte le fasi della storia di Sieverding, a partire dai video degli anni Sessanta fino agli autoritratti (a partire dagli anni Settanta) e alle produzioni più recenti, come “Gefechtpause”, un ciclo nel quale l’autrice  affronta il tema del lockdown e della pandemia di Covid-19.

Sieverding è considerata una pioniera della fotografia sperimentale a livello internazionale, sia per l’aspetto non secondario dei contenuti e degli aspetti non marginali di denuncia politica e sociale e sia per la qualità espressiva del mezzo sempre piegata a strategie non convenzionali. Come dire, ben prima che Cindy Sherman si presentasse sull’orizzonte della storia, questo lavoro occupava posizioni già ben salde, posizioni che hanno rivitalizzato il potenziale artistico della fotografia, introducendo l’uso del maxi formato, della variante e della pseudo-serialità, come elementi chiave delle sue mostre, facendo in qualche modo da apripista ad autori più giovani che successivamente hanno segnato tutto il percorso della nuova fotografia tedesca.

Il ritratto, per questa incredibile e prolifica autrice, è poi divenuto una sorta d’investigazione del sé, elaborata attraverso il doppio registro della finzione e del rituale, condotta mediante quella che Roland Barthes ha definito “dissociazione della coscienza d’identità”, una dissociazione che alla fine conduce all’assunzione del sé come altro, al travestimento, alla manipolazione, alla metamorfosi, rendendo evidente l’assioma di Rimbaud: “Io è un altro”.

Il ricorso all’analisi attraverso l’autoritratto generato dal medium fotografico si presenta perciò come una critica allo stesso processo di rappresentazione, tanto da avvicinarlo a pratiche di tipo femminista dove la denuncia trasuda ben presto in metafora o in tensione tra ricerca e affermazione, tra essere e apparire o tra essere e avere.

Non mancano, in questi ritratti frontali e ieratici, le istanze astratte e l’uso della silhouette come processo di sintesi, oltre al contrasto tra il primo piano e il fondo di accoglimento per rendere esasperante l’immagine, per renderla ingombrante e rivelatrice di sé stessa. Gli spunti astratti si rivelano nell’uso del colore scarlatto (usato a mo’ di filtro) o dell’oro da intendersi come effetto luministico o cromatico e non di certo come valore spirituale o intimistico. In questo percorso di continua ricerca e sperimentazione hanno avuto un grande peso le sue iniziali esperienze teatrali in campo scenografico e la comprensione che il dispiegamento di più immagini ingigantite su una parete possono ben definire i contorni di una stanza, con lo stesso effetto immediato di un fondale scenico o di uno schermo cinematografico. Inoltre, l’essere stata allieva di Joseph Beuys, alla Kunstakademie di Düsseldorf, ha di certo lasciato il segno, facendo sì che il suo lavoro procedesse con riflessioni molto metodiche sull’identità di genere, sul clima sociale, politico e culturale, fino alle analisi dei momenti più cupi della storia tedesca del Novecento. Consapevolezza è il termine più adeguato per definire il suo lavoro, una consapevolezza che non scade mai nella propaganda o in una presa di posizione troppo rigida o unidirezionale.

Il suo lavoro è stato esposto in 850 mostre collettive e 150 personali ed è rappresentato in numerose collezioni pubbliche, tra cui ricordiamo il Museum of Modern Art, New York; il San Francisco Museum of Modern Art; lo Stedelijk Museum, Amsterdam; la Nationalgalerie, Berlino; il Museo Folkwang, Essen e la Kunstsammlung NRW. Katharina Sieverding ha partecipato più volte alla documenta di Kassel (1972, 1977, 1982) e nel 1977 alla Biennale di Venezia (Padiglione Germania). Ha inoltre ricevuto numerosi prestigiosi premi e borse di studio. Katharina Sieverding (nata a Praga nel 1944, da genitori tedeschi) vive a Düsseldorf.

La mostra, curata da Udo Kittelmann in collaborazione con l’autrice, è stata organizzata  con la partecipazione di Deichtorhallen Hamburg.

Roberto Grisancich

Info:

Katharina Sieverding, Watching the Sun at Midnight
28/08/2021— 09/01/2022
Museo Frieder Burda
Lichtentaler Allee 8b
76530 Baden-Baden
mar – dom, 10.00 – 18.00
tel. 07221 398330

kunstwerkstatt@museum-frieder-burda-de

Katharina Sieverding, vista parziale della mostra  Die Sonne um Mitternacht al Museum Frieder Burda. © Katharina Sieverding / VG Bild-Kunst, Bonn 2021

Katharina Sieverding, ENCODE VII, 2006. Digital print on non-woven paper, 252 x 356 cm. © Katharina Sieverding, VG Bild-Kunst © Photograph: Klaus Mettig, VG Bild-Kunst

Katharina Sieverding, Transformer Cyan Solarisation 5 A/B, 1973/74. Color photograph, acrylic, and steel frames, 2 parts, each 190 x 125 cm, © Katharina Sieverding, VG Bild-Kunst; Photographs: © Klaus Mettig, VG Bild-Kunst

Katharina Sieverding, XI/78, SCHLACHTFELD DEUTSCHLAND, 1978. C-Print, acrylic, and steel frames, 300 x 375 cm. © Katharina Sieverding, VG Bild-Kunst 2021. Photography: © Klaus Mettig, VG Bild-Kunst 2021


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