Nel 2018 lo stabilimento di Campi Bisenzio (FI) della multinazionale britannica GKN, specializzato nella produzione di componenti per automobili, mezzi agricoli e velivoli viene acquisito dal fondo di investimento finanziario Melrose Industries, che immediatamente annuncia una massiccia ristrutturazione dell’azienda. Il 9 luglio del 2021 i 422 dipendenti dello stabilimento toscano vengono licenziati con una mail, con cui vengono informati che dal giorno successivo non si sarebbero più dovuti recare al lavoro perché l’impianto era destinato a chiudere per delocalizzare la produzione altrove. In settembre il Tribunale Civile di Firenze, sezione lavoro, dispone la sospensione dei licenziamenti per violazione dell’art. 28 dello statuto dei lavoratori, che inibisce i comportamenti antisindacali. In dicembre Melrose esce di scena e GKN Firenze viene venduta al Gruppo Borgomeo, che promette un piano di reindustrializzazione e la conservazione dei posti di lavoro, ma in febbraio 2023 la nuova società finisce in liquidazione e tutte queste promesse vengono disattese.
Nel frattempo i lavoratori sono insorti, hanno occupato la fabbrica facendone il quartier generale di uno straordinario esperimento sociale, dove la resistenza e la lotta sfociano in un dirompente movimento di protesta politica che riesce a catalizzare altri movimenti sparsi sul territorio nazionale originati da situazioni analoghe. Il collettivo di fabbrica riunisce attorno a sé una vasta rete di sostegno e solidarietà, aprendosi alla collaborazione con ricercatori universitari e lanciando un crowdfunding di azionariato popolare nel tentativo di elaborare concrete proposte di riqualificazione auto-gestite e sostenibili dell’impianto, oltre a portare avanti una coinvolgente campagna comunicativa atta a sensibilizzare l’opinione pubblica sulle falle delle politiche del lavoro italiane. Il 19 ottobre 2023 i 185 lavoratori rimasti della ex-GKN hanno ricevuto una nuova lettera di licenziamento con decorrenza 1 gennaio 2025, in extremis ancora una volta sospesa dal Tribunale di Firenze per condotta antisindacale dell’azienda. «Spiccare il volo o cadere» e «Insorgiamo!» sono solo alcuni dei motti del collettivo toscano, che per non diventare lettera morta, al di là dell’esito che avrà questa vicenda, hanno bisogno di incarnarsi nella memoria collettiva sotto forma di consapevolezza condivisa e di diventare storia.
Questa vicenda è di per sé materiale esplosivo: le domande che suscita sono urgenti, sostanziali e di impossibile risoluzione in assenza di radicali cambiamenti di indirizzo delle politiche non solo nazionali, ma mondiali, e il terrore viscerale che incute è così grande da portarci inconsciamente a respingere ogni forma di immedesimazione attiva per allontanare l’idea che la stessa cosa potrebbe capitare a noi, in qualsiasi momento. In una società governata dalle logiche di un profitto che postula l’interscambiabilità delle persone in quanto forza-lavoro, il cui destino a medio o lungo termine sarà quello di essere sostituite da tecnologie sempre più indipendenti dalla manodopera umana, la dimensione sociale e politica s’interseca indissolubilmente con quella esistenziale di ciascuno di noi, innestandosi su un terreno già magmatico di contraddizioni irrisolte in decenni di smantellamento dei diritti dei lavoratori e di accelerazione della macchina produttiva globalizzata. Tutti questi interrogativi sono al centro dello spettacolo “Il Capitale. Un libro che ancora non abbiamo letto” della compagnia Kepler-452, vincitore del Premio speciale Ubu 2023, in scena a Bologna al Teatro Arena del Sole fino al 4 febbraio 2024.
Il progetto nasce dall’idea di Enrico Baraldi e Nicola Borghesi di mettere in scena “Il Capitale” di Karl Marx dopo la fine del lockdown per dare voce a chi, nella fase immediatamente successiva, avrebbe perso il posto di lavoro. I due, dopo aver girato l’Italia interpellando braccianti agricoli sikh, lavoratori della logistica e sindacalisti, approdano a Campi Bisenzio e iniziano a frequentare assiduamente i picchetti, le manifestazioni e le assemblee all’interno dello stabilimento occupato della GKN, partecipando alla vita comunitaria dei lavoratori insorti. In questa condivisione quotidiana si precisa l’oggetto dello spettacolo, che innesta nell’evocazione del testo-chiave del marxismo le vicende personali di due operai addetti al montaggio, un’addetta alle pulizie e un manutentore, protagonisti della pièce assieme a Nicola Borghesi. In scena ognuno dei personaggi racconta sé stesso seguendo il filo conduttore degli accadimenti conseguenti all’occupazione. Gli ex lavoratori, efficacemente addestrati alla scena dalla compagnia teatrale, parlano delle loro famiglie ora in difficoltà, della ripetitività del lavoro quando la fabbrica funzionava a pieno regime, dei sogni ridimensionati dalle necessità pratiche, dei nuovi orizzonti esistenziali intravisti con l’esperienza dell’occupazione adombrati dall’incertezza per il futuro, di speranze sul punto di trasformarsi in disillusioni. Questi i punti di forza dello spettacolo, ma come potrebbe essere altrimenti, data l’enormità di una vicenda che, riportata in presa diretta, rende inappropriata ogni considerazione che non sia di solidarietà? Notevole è anche la scenografia sapientemente minimale, che documenta l’ambiente di fabbrica attraverso prelievi di oggetti emblematici collegati alle mansioni dei personaggi e un fondale cangiante in cui si susseguono monumentali immagini fotografiche dei suoi saloni ora deserti.
A suo modo è sincero anche Nicola Borghesi quando in scena racconta prima del suo ingresso quasi impacciato in quella realtà a lui inizialmente così estranea e poi della sua inquietudine etica ed intellettuale nel concepire uno spettacolo che trae forza e linfa da una tragedia reale ancora in pieno svolgimento. Ma proprio per questo: perché non avere il coraggio di fare un passo indietro e lasciare la scena solo ai veri protagonisti della storia? Anche il collegamento con “Il Capitale” di Marx appare sbiadito, come le citazioni di alcuni frammenti del testo che sporadicamente lampeggiano sul fondale alternandosi alle immagini della fabbrica. Se l’intento di sensibilizzare un pubblico più allargato rispetto a una vicenda che il consumismo delle informazioni della società mediatica rischia di relegare nel lungo periodo all’attenzione sempre più stanca di un manipolo di attivisti è riuscito, non altrettanto risolta appare, a mio avviso, la questione dello specifico teatrale che la presenza dell’attore chiama inevitabilmente in causa. Ma forse il senso più profondo di tutta l’operazione sta proprio qui, in questo balbettio d’impotenza che ci assale all’uscita dello spettacolo e che, in senso più ampio, ci dimostra come anche il nostro apparato artistico e culturale sia inutile se le riflessioni da esso prodotte non aggiungono nulla all’esistente e non riescono ad avere ricadute costruttive e propositive sulle scelte dei decisori politici.
Info:
www.bologna.emiliaromagnateatro.com
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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