La mostra Known Unknowns, presso la Saatchi Gallery di Londra, propone un’arte intensa e profonda, a tratti violenta, forse furiosa. Diciassette artisti presentano opere che ci interrogano in modo deciso sul nostro tempo, sull’incantesimo di una contemporaneità oscillante e instabile. Si avvertono tensione e inquietudine, non c’è niente di accomodante e tranquillo.
Una mostra che osa, spinge, chiede, senza paura. Molti degli artisti utilizzano la figurazione in modo disinvolto e sincero, non ricercano nessun estetismo protettivo e scontato, ma soprattutto trattano temi importanti e complessi.
Parlano di sessualità, spiritualità, politica e digitalizzazione come fossero universi inesplorati. Emerge l’idea di una trasformazione continua e rapidissima, tutta da indagare, navigando verso chissà quali galassie. Si potrebbe partire da Stefanie Heinze e dai suoi grandi dipinti dove tutto si mescola carnalmente: uomini, animali, pezzi di corpo e vegetali. Resti di figure sul punto di liquefarsi, pronte per una compenetrazione indistinta nell’oceano del colore. Compare sempre l’elefante, un tempo animale sacro, simbolo di un’unità probabilmente perduta, retaggio di un bisogno di mito soppresso troppo in fretta.
Tom Anholt viaggia nel tempo e nelle religioni. In The Lion’s second dream il leone sogna un uomo addormentato al centro di una grande montagna. Due alberi sottili e delicati incorniciano la scena. Sembra di trovarsi nel cuore del mondo, nel punto in cui nascono tutte le cose. Oltre il monte, decorato e coloratissimo, in un clima persiano e trasognato, scorgiamo un mare di linee blu, gialle, verdi, rosse e nere. Più sopra un cielo stellato e purissimo. È l’alba primordiale, l’inizio degli inizi, nata dal sogno, atto creatore per eccellenza. La pittura di Maria Farrar unisce due modi di vedere il mondo: quello orientale e quello occidentale. Nella poetica dell’artista filippina, che vive e lavora a Londra, si coagulano la delicata leggerezza della calligrafia giapponese e la profonda pesantezza cromatica tipica dell’arte occidentale. Dal dipinto Wave emana una forza espressiva singolare e potente. Immersi nel blu marino si scorgono segni neri che ricordano i corvi di Van Gogh, tra il cielo e il mare una pennellata di bianco diventa una nuvola, nella parte inferiore un salvagente arancione segnala la presenza di una barca in mezzo alla tempesta. L’atmosfera è tesa e minaccisoa, ma il dipinto conserva una grande compostezza formale. Sembra proprio che anche nel cuore del caos tutto proceda con assoluta certezza. In mostra compare più volte il tema del corpo e del suo utilizzo. Corpo che desidera e si trasforma, che crea e distrugge identità. Nelle opere di Tamuna Sirbiladze la figura femminile è raffigurata attraverso un primitivismo segnico molto intenso, durante momenti di intimità che sconfinano nell’erotismo profondo. In Map 4 – Got Too Much LA Sun una donna sensuale è in posa libidinosa, arsa dal sole, distesa sulla spiaggia caldissima. I capelli rossoarancio sono sciolti, il corpo è violaceo e si sta letteralmente squagliando. Le membra sembrano confondersi con il paesaggio che le ospita. Pare di assistere ad un coito appassionato tra la donna e la natura. Un’opera che trasuda voluttà.
I collage di Kirstine Roepstorff creano mondi unici e stravaganti come in You are being lied to. Un campo da golf diventa il palcoscenico di una grande narrazione surreale. Farfalle e piccoli aerei volano tra gli alberi, operai al lavoro scavano buche nel terreno, battaglioni di eserciti sbucano fuori dai cespugli marciando, tre scheletri camminano tranquillamente sul prato, vicino a loro un uomo con ali d’angelo scruta la situazione. Quello che colpisce è lo straordinario equilibrio che l’artista riesce ad ottenere nella composizione dell’opera, nonostante la sconfinata differenza dei comportamenti assunti dai personaggi presenti. Un lavoro che mette in scena la complessità della vita contemporanea, così profondamente virtuale e digitale, continuamente modificabile, dove si accostano e si mescolano modi di vita infinitamente diversi tra loro. Forse il nostro mondo visto da vicino appare disarticolato e squilibrato, ma ponendosi alla giusta distanza è possibile notare il senso che lo percorrere. È proprio questa complessità del senso, difficile e meravigliosa, che la mostra Known Unknowns vuole raccontare.
Artisti in mostra: Mona Osman, Stefanie Heinze, Francesca Dimattio, Rannva Kunoy, Ben Schumacher, Tom Anholt, Maria Farrar, Isobel Smith, Tamuna Sirbiladze, Chris Hood, Bedwyr Williams, Jill McKnight, Kirstine Roepstorff, Alida Cervantes, Stuart Middleton, Theo Ellison, Saskia Olde Wolbers.
Andrea Grotteschi
Info:
KNOWN UNKNOWNS
21 marzo – 24 giugno 2018
Orari: Lunedì – Domenica H. 10:00 – 18:00
Saatchi Gallery
Duke of York’s HQ
King’s Road
London
SW3 4RY
Tom Anholt The Lion’s Second Dream, 2017 Oil on collaged linen 130 x 190 cm © Tom Anholt, 2017 Image courtesy of the Saatchi Gallery, London
Maria Farrar Saving My Parents From Drowning in the Shimonoseki Straits, 2016 Oil on linen 180 x 302 cm © Maria Farrar, 2016 Image courtesy of the Saatchi Gallery, London
Kirstine Roepstorff Hidden Truth, 2002 Paper, glitter, pearls, sequins, paint, on wallpaper, collage, mounted on 4 aluminium panels 274 x 388 cm © Kirstine Roepstorff, 2002 Image courtesy of the Saatchi Gallery, London
Stefanie Heinze Ain’t St.Nobody, 2014 Acrylic and oil on canvas 360 x 450 cm © Stefanie Heinze, 2014 Image courtesy of the Saatchi Gallery, London
Andrea Grotteschi (1987) vive e lavora tra il Lago Maggiore e Milano. Si laurea in Estetica all’Università Statale di Milano nel 2013. Dopo gli studi inizia la sua attività curatoriale nell’ambito dell’arte e della cultura contemporanea, collaborando in particolare con l’associazione culturale Asilo Bianco. Ha curato progetti espositivi e culturali a livello pubblico, come Studi Aperti Arts Festival (2015, 2016) e Sor’riso Amaro. Il lavoro e la risaia, visioni contemporanee (2017). Dal 2018 lavora come curatore indipendente e critico.
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