Kunsthalle Basel

La Kunsthalle Basel è una di quelle istituzione che anche quando propone mostre con autori meno affermati, o che ancora non sappiamo riconoscere, non delude mai. Sarà per la bellezza dello spazio architettonico (con un’aura antica ma allo stesso tempo molto pulita e semplice), sarà per la capacità dello staff dell’istituzione nel curare gli allestimenti o per la capacità di dialogo costruttivo che si instaura con ogni autore che vi viene ospitato, fatto sta che ogni mostra è sempre sorprendente, varia, diversa l’una dall’altra, tanto che è una gioia poter fare visita di tanto in tanto a questo santuario dell’arte contemporanea.

Questa premessa vale e si conferma pure con la mostra di Michaela Eichwald, attualmente in corso. L’autrice, pur non vantando un  curriculum molto significativo (ricordiamo per inciso alcune di queste tappe: Palais de Tokyo, Paris, 2014; Isabella Bortolozzi a Berlino e  Maureen Paley a Londra, 2018; Lenbachhaus, Monaco di Baviera e Walker Art Center, Minnesota, 2020), e pur non avendo conseguito una formazione artistica di tipo tradizionale, nel senso che ha studiato filosofia, storia, storia dell’arte e filologia tedesca e tutto quello che ha appreso come elementi basilari del fare tecnico è dipeso da frequentazioni informali con artisti un po’ più anziani di lei, come Cosima von Bonin e Jutta Koether, ha fatto di queste mancanze un punto di riscatto e di affermazione. Così, con una coscienza pienamente in linea con i principii duchampiani (là dove il pensiero conta più del processo, là dove l’indicare conta più della manualità), dopo una serie di percorsi e tentativi sperimentali nel campo della videoarte e della fotografia, è approdata alla narrazione pittorica, senza preoccuparsi di dover rispettare i fondamenti basilari di una adeguata preparazione accademica, ma solo con una immensa voglia di cimentarsi e di confrontarsi, dato che motivazioni concettuali e informazioni di prima mano non le mancano di certo.

Eccoci, quindi, nelle bellissime sale della Kunsthalle Basel davanti a queste tele, a questi lavori del tutto nuovi e inediti e che esplodono nella loro energia, realizzati su supporti tipo similpelle o poliuretano (privi di qualsiasi fondo preparato) e con pigmenti non convenzionali (come gommalacca, spray, sangue finto, grafite, pennarello, adesivi, glitter). Su queste grandi superfici l’autrice lascia galleggiare (come abbandonate a una corrente costante) forme che rinviano a tratti intestinali o a corpi di meduse: forme attraenti per la loro sinuosità e ripugnanti allo stesso tempo per quanto tendono a  evocare. Eppure il punto non è solo quello del supporto e dei profili di impianto vagamente espressionista che in quel campo dilagano, ma anche di come queste “tele” vengono “maltrattate”, nel senso che sembrano sottoposte a quella “cura da cavallo” che ha caratterizzato l’opera più significativa di Munch e che possono far sconfinare l’opera verso una risultato non sempre prevedibile, tanto che regola e caso possono convivere in un duetto serrato e predeterminato. La semplicità della proposta può apparire disarmante, tuttavia allo stesso tempo rinvia a una profondità che ci fa comprendere che non sempre le regole complesse e di difficile comprensione siano l’aspetto più importante del nostro mondo: talvolta bisogna ritornare con i piedi per terra e batterli per sentire il suolo sotto le scarpe. In questo senso la frase emblematica pronunciata dall’autrice è: “Dipingo questi quadri per chiunque voglia guardarli”. E per rendere possibile questo sguardo, per avvicinarlo a una familiarità che non sempre è facile da ottenere all’interno di uno spazio espositivo, spesso asettico e non coinvolgente, ecco la disposizione di sedie, divani, tavolini, quasi a creare un percorso parallelo e di relazione tra opera disposta a parete e oggetto disseminato nello spazio.

Per dirla in altro modo e per chiudere questo ragionamento, mi rifarei ai versi di Danielle Collobert: “être ici – le calme – épuisant de tension – le monde autour qui ne s’arrête pas – mais pourrait s’arrêter – le souffle qui pourrait s’arrêter maintenant – un instant après l’autre – même égalité plane – même dureté froide – même goût fade et doux – supporter encore d’aller vers d’autres moments pareils – continuer seulement le souffle – la respiration – prolonger le regard – simplement”. E ancora: “des références – des repères – un autour – au-dehors – pas pour l’instant – plus tard – une fois passé l’angoisse – moment immobile – arrêter là – mémoire brisée à cet instant – voix seule dans le silence – des mots – et plus d’attente”.

Maddalena B. Valtorta

Info

Michaela Eichwald, Auf das Ganze achten und gegen die Tatsachen existieren
8/10/2021 – 23/01/2022
Kunsthalle Basel

Steinenberg 7
CH-4051 Basilea
T +41 61 206 99 00
info@kunsthallebasel.ch

Michaela Eichwald, Auf das Ganze achten und gegen die Tatsachen existieren, installation view, Kunsthalle Basel, 2021. Ph. Nicolas Gysin / Kunsthalle BaselMichaela Eichwald, Auf das Ganze achten und gegen die Tatsachen existieren, installation view, Kunsthalle Basel, 2021. Ph. Nicolas Gysin / Kunsthalle Basel

Michaela Eichwald, Auf das Ganze achten und gegen die Tatsachen existieren, installation view, Kunsthalle Basel, 2021. Ph. Nicolas Gysin / Kunsthalle Basel

Michaela Eichwald, Gibt es denn wirklich nichts Schönes, nichts Schöpfungsbejahendes mehr?, 2020, acrylic and lacquer on polyurethane fabric 135.5 x 95.5 cm. © Michaela Eichwald, courtesy Maureen Paley, London/ Hove


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  1. Molto bello e importante lo spazio espositivo, sopratutto per arte in controdetendenza difficilmente capita in Italia

  2. Importante lo spazio espositivo, sopratutto per arte in controdetendenza difficilmente capita in Italia

  3. ""FABER" Fabio tedeschi

    24 Gennaio

    Molto bella ed interessante! La conosco per aver partecipato ad Art Basel ed Art Miami!!!

  4. Marco Toma

    24 Gennaio

    Come volevasi dimostrare. La Svizzera è sempre all’avanguardia per le avanguardie. In tutte le sue città, da Zurigo a Berna a Losanna, lo spazio espositivo è concepito in modo “aperto”, sia in senso spaziale materiale, sia di piena libertà espressiva degli autori, sopratutto per le installazioni. E l’Italia?Perché continua a essere indietro, anche in esperienze di questo tipo?

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