Nel 1960 i tre membri dell’Internazionale Situazionista Constant Nieuwenhuys, Guy Debord e Asger Jorn, scrivono a Willem Sandberg – allora direttore dello Stedelijk Museum di Amsterdam – per comunicargli la loro decisione di annullare la manifestazione Die Welt als Labyrinth (Il mondo come labirinto)[1]. Ispirato dal progetto per la megacittà New Babylon, Constant avrebbe voluto costruire un piccolo labirinto nelle sale dello Stedelijk, ma le limitazioni poste dai tecnici del museo impedivano l’uso di espedienti cardinali per il progetto, volti a disorientare e disperdere il pubblico. «Sfortunatamente, è impossibile per noi considerare e accettare qualsiasi tipo di restrizione alla mostra progettata»[2], concludono i tre nella lettera. Una sessantina di anni più tardi, questo proponimento dell’Internazionale Situazionista ha qualcosa in comune con Babylon, la struttura collettiva che da giovedì 21 settembre traccia traiettorie sulle otto vetrine di spazioSERRA, l’ormai noto progetto di arte pubblica alla Stazione Lancetti di Milano. Le accomunano una tendenza verso la museologia impossibile, un uso del display che è opera aperta e l’affermarsi nello spazio espositivo di un processo né utopico e né distopico, ma, piuttosto, di commoning. Ne parliamo con Joykix e Rossella Moratto, autori di Babylon.
Alessia Baranello: Babilonia, la città della Mezzaluna Fertile, è stata per secoli uno specchio d’acqua dove proiettare le proprie aspirazioni utopiche. Come Erodoto, molti non l’hanno visitata, eppure, è stata un modello di città ideale. Insomma, sembra che da Babilonia si dipani sempre l’immaginazione di un altrove incollocabile. Com’è la vostra Babilonia?
Joykix/Rossella Moratto: Siamo dell’avviso che il progetto espositivo di Babylon non nasca tanto per immaginare un altrove, ma piuttosto per incontrare l’Altro. È un luogo partecipativo-attivo che aspira a creare delle comunità effimere che si aggregano su temi discussi e condivisi di volta in volta. È uno spazio che vorremmo fosse aperto a tutti, specialmente a chi si troverà casualmente a incrociare la nostra traiettoria. Insomma, la nostra Babylon è una nuova Babele dove la diversità non genera discordia, ma pacifica coabitazione. Difatti, il titolo della mostra, più che dal riferimento biblico, nasce dalla suggestione di New Babylon, la città del situazionista Constant, della quale condivide idealmente lo spirito nomadico, l’adattabilità, l’attitudine ludica, l’espansione rizomatica, il disorientamento e, di conseguenza, la sorpresa, l’incontro con l’altro, lo scambio.
La struttura portante della mostra è una griglia modulare, che si espande orizzontalmente e verticalmente, a occupare, con braccia e scaffali, quasi per intero spazioSERRA. Dove e come è nata questa struttura?
La griglia modulare di Babylon nasce in occasione della mostra In accumulo o in sospeso ma in equilibrio nell’ambito di Studi Festival (2017), già con lo scopo di far dialogare diverse opere e attitudini artistiche ed è stata poi riproposta e ampliata alla Fondazione Bandera sempre nello stesso anno. In seguito, per la mostra-evento CORPOACORPOACORPO nel Centro Sociale COX 18 (Milano, 2019), si è trasformata in una sorta di macchina teatrale. Più tardi, l’abbiamo ripresentata a Walk-In Studio 2020 declinandola al tema del CsO, il Corpo senza Organi artaudiano e, poi, di Deleuze e Guattari. Rispetto alle esperienze precedenti, da spazioSERRA abbiamo voluto sviluppare, tramite la griglia, un spazio non solo espositivo ma abitabile e attraversabile.
Difatti, le opere installativo-performative selezionate per la trasposizione nella SERRA non soltanto si legano alla griglia, altresì, la discutono, scalano, ampliano e, in alcuni casi, la distruggono.
Babylon vive della libertà dei suoi partecipanti. I dieci artisti coinvolti nella collettiva sono molto diversi per poetica e tecnica e le numerose opere non hanno un unico tema, ma ragionano criticamente sulle tematiche del nostro tempo, quelle emerse durante delle discussioni comuni previa mostra, come l’ambiente, la sostenibilità, l’identità, l’abitare. Abbiamo previsto anche molteplici attivazioni della struttura, coinvolgendo realtà esterne all’ambiente strettamente artistico, lontane dalle istituzioni di settore, comprendendo performance e live musicali, ma anche discussioni, incontri e workshop.
La struttura di Babylon sembra accennare ad alcuni mitici esperimenti dell’allestimento museale italiano del Dopoguerra, Franco Albini tra tutti. Ma anche i BBPR con il Monumento dei Caduti al Cimitero Monumentale di Milano. E ancora, gli ambienti di Frederick Kiesler. Quali sono state le suggestioni che hanno portato alla realizzazione di questa macchina espositiva?
Formalmente si è trattato di reinterpretare l’idea modernista del modulo replicabile, tra standardizzazione e democratizzazione, adattandolo a una condizione più fluida, situata e partecipata. Anche dal punto di vista dimensionale i moduli della griglia hanno dimensioni 60 x 60 cm, una misura legata allo standard dell’abitare.
In epoca contemporanea la “griglia” modernista si è offerta a più di una critica. Rosalind Krauss, per esempio, discute di quanto l’uso di griglie, linee rette e moduli abbia contribuito a isolare le opere d’arte in uno spazio di esposizione altro rispetto alla vita, a dotarle di leggi e sistemi propri, così lontani da quelli materiali, da renderle ingiudicabili e inaccessibili[3]. Eppure, in tanti altri casi, come nella già citata New Babylon di Constant, la griglia si è configurata come sito di ripensamento del mondo. Come si colloca la vostra esperienza rispetto a questi due antipodi?
Babylon vuole prima di tutto essere un esperimento di commoning, riportato all’interno del format di una installazione. L’idea è quella di ospitare e far convivere delle differenze – anche potenzialmente conflittuali – cercando un terreno comune che in questo caso – metaforicamente e concretamente – è rappresentato dalla struttura a griglia, la cui progettazione dipende dalle esigenze delle singole opere e dallo spazio in cui è collocata. A ribadire questa intenzione, all’interno della struttura sono stati realizzati degli elementi che invitano ad abitarla e a utilizzarla. Tutto ciò nasce da una necessità concretamente opposta a quella che tu citi: Babylon avvicina decisamente le opere allo spazio della vita, perché, come nella vita, è la risultante di continue negoziazioni. Potenzialmente la struttura-griglia potrebbe essere un display omologante, ma, qui, favorisce la coabitazione del diverso. Lo fa convivere senza strutturarlo. Anzi, in parte, si fa strutturare, accogliendo ciò che la contamina, dando vita a una costruzione sempre in divenire.
Avete parlato di commoning. Il riferimento è a uno dei testi che ha ispirato la mostra: Common Space. The City as Commons (2016). In questo volume, l’architetto greco Stavros Stavrides mette in discussione l’assunto per cui le città contemporanee siano ormai ridotte a delle estensioni del capitalismo finanziario, con spazi comuni e quartieri popolari che cedono il passo ai grandi uffici verticalizzati. La tesi di Stavros è che permangono delle “possibilità di resistenza” nel contesto cittadino. Babylon è una di queste possibilità?
Babylon è un esperimento che non ha un esito finale prevedibile. Essendo un progetto in divenire e nell’intenzione collettivo, è una sfida aperta. Viviamo in un momento storico dominato da Narciso e l’arte contemporanea è un ambito estremamente individualistico e competitivo. È complesso per gli artisti emergenti superare le consuetudini e rimodulare l’aspirazione, o meglio, la coazione alla visibilità individuale tramite pratiche collettive. C’è disabitudine al lavoro in comune e diffidenza verso la sperimentazione di modalità operative diverse, ma molti hanno saputo cogliere le potenzialità insite in Babylon, innescando processi a lungo termine, di attivazione collettiva, che sarebbe auspicabile potessero sopravvivere alla mostra.
Alessia Baranello
[1] “Die Welt als Labyrinth”, in «Internationale Situationniste» #4, gennaio 1960, trad. di Paul Hammond, https://www.cddc.vt.edu/sionline/si/diewelt.html
[2]J. Schoenberger, Ludic Exhibitions at the Stedelijk Museum: Die Welt als Labyrinth, Bewogen Beweging, and Dylaby, in Stedelijk Studies Journal 7, 2018, 10.54533/StedStud.vol007.art06
[3] R. Krauss, Grids, in October, Vol. 9, The MIT Press 1979, pp. 50-64, http://www.jstor.org/stable/778321
Info:
Babylon
21.09.23-27.10.23
progetto espositivo da un’idea di Joykix e Rossella Moratto
con la partecipazione di Roberto Casti, Marco Cesari, Lucrezia Costa, Francesco Fossati, Joykix, Lorenzo Lunghi, Rebecca Mari, Matteo Urbani, Danilo Vuolo / Compostpunk, Vincenzo Zancana e le attivazioni di Agenzia X, Scuola Nomade, WURMKOS
a cura di spazioSERRA
testo critico di Deborah Maggiolo e Piermario De Angelis
stazione Lancetti del Passante ferroviario, Milano
Finissage: Venerdì 27 ottobre, ore 19.00, Unknown, performance di Danilo Vuolo//Compostpunk
Alessia Baranello (Campobasso, 1998) è una curatrice indipendente. La sua ricerca si concentra sul legame tra arti visive e questioni storiche, sociali ed economiche, con un’attenzione verso pratiche espositive sperimentali. Scrive di arte contemporanea, cultural e memory studies. È stata co-curatrice della residenza per artisti Uva Programme (Nizza Monferrato, luglio 2022) ed è co-fondatrice del duo curatoriale Scania Trasporti.
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