L’impossibile diventa possibile nel mondo digitale, nell’immaginario pieno di dati scanditi da connessioni e click, mentre la nostra vita si articola in parallelo tra il reale e i pixel dell’etere digitale. Non ce ne rendiamo conto ma il nostro modo di guardare il mondo è sempre più filtrato – termine ormai in voga nel mondo delle applicazioni – da obiettivi con programmi specifici che potenziano e amplificano l’immagine fotografata. Siamo, infatti, costantemente bombardati da milioni di immagini veicolate dalla connessione dati. E la stessa arte contemporanea non può che scontrarsi o incontrarsi con questo modo di stare al mondo, ritrovandosi condensata in altre dimensioni come quella della Digital Art.
È chiaro quanto l’utilizzo del web e dei social network permetta di cercare informazioni, vedere immagini, divenendo ormai un aspetto ritualistico, un modus vivendi del nostro tempo, ma non è ancora esplicitamente dichiarato quanto invece le utopie sognanti, le visioni a occhi aperti, quella lontana idea di “magia liberata” dell’arte, che ha permeato per secoli il concetto di “opera d’arte” – prima delle avanguardie e delle neoavanguardie – sia approdata senza peso, con rapidità e con slancio visionario nel mondo digitale e virtuale. Si delinea così la galassia di internet condivisa e usata da tutti – in ambito economico anche con alti profitti di business – ma davvero in pochi ne deducono realmente le enormi potenzialità, le “virtù” o gli aspetti più incogniti e preoccupanti.
In questo articolato fittissimo di connessioni e programmi specifici, c’è un’arte contemporanea digitalizzata o virtuale di paesaggi, scenari, location che sarebbero impossibili da vedere appunto nel mondo reale. Diventa, infatti, anche interessante rintracciare online una qualsiasi opera d’arte, ma se questa appartiene al passato più lontano o all’arte moderna, sappiamo già che non è stata pensata per il web. Invece, nell’era digitale oltre a essere tutto tracciabile, quantificabile e databile, l’immagine di un’opera digitalizzata, già dal concepimento, ha appunto un DNA appartenente alla logica dei pixel, dei click e degli algoritmi. Questo, però, non annulla il valore di sorpresa e quel senso di immaginazione provato dagli utenti e amplificato dalla visione di una composizione di grammatica visiva che crea, per esempio, il mare in una tazza, le nuvole in una stanza o la camera da letto in un paesaggio.
Quello che sta accadendo nella dimensione online è un cambiamento epocale della fruizione delle medesime immagini digitali in una permanente modalità di accesso e disponibilità dell’immagine che può essere zoomata, salvata nel proprio supporto o ricondivisa nel circuito social. A tal proposito, diventa un aspetto fondamentale anche il rapporto arte digitale-social network come metro di misura di un altro modo di raggiungere il proprio pubblico con immagini oniriche e simboliche, a portata di tutti. Se un tempo, gli artisti surrealisti riscattavano un’idea superiore del reale con le loro visioni, guidate da scenari archetipici e significativi, oggi assistiamo a un evolversi in chiave iper-simbolica e surreale di opere digitali, virtuali in 3D e forme generiche di visual art. Alcuni social, nati appositamente per creare un mosaico di foto, come Instagram, sono diventati delle vere vetrine espositive.
Molti digital artists, con un numero altissimo di follower, utilizzano questo social come principale piattaforma di diffusione delle loro opere: Yomagik, Morten Lasskogen (conosciuto come Iammoteh), Makoto Aida (che nello specifico non ha un profilo social ma sono numerosi gli hashtag con il suo nome) Gaia Barnatan, (seguita come Liquid_Pink), Lara Zankoul, Max Papeschi, Shusaku Takaoka, solo per citarne alcuni.
Spicca il nome del digital artist Erik Johansson, nato in Svezia nel 1985 con sede a Praga e un seguito di 184 mila follower, con mostre ed esposizioni in tutto il mondo: Svezia, Germania, Sud Corea, Russia. Brasile, Cina, USA. Attualmente è in corso la sua personale alla galleria Fotografiska di Tallin – visitabile fino al prossimo 21 gennaio 2021 – concepita con una precisa gestione della luminosità e del buio finalizzata a creare effetti scenici surreali e, a tratti, fiabeschi. Le sue opere sono visibili sul suo profilo Instagram, ma anche sul suo sito, ed è una reale immersione visiva in un immaginario narrativo stupefacente di stati d’animo, visioni sognanti per un pubblico di bambini e adulti. E quello che appare fin da subito è che le composizioni visive di Johansson attivano nell’osservatore emozioni universali di piacevole smarrimento e meraviglia. Va precisato anche che i suoi follower, oltre a essere numeri, sono persone che commentano, pongono domande, creando una forma di interazione con l’artista.
Insomma, numeri, algoritmi, sequenze di dati viaggiano costantemente sul web per dar forma a programmi che a loro volta danno gli strumenti per assemblare quell’impossibile in visioni divertenti, oniriche, sperimentali dove interpretare ancora i simboli intramontabili di un inconscio collettivo fatto di nubi dentro casa, onde marine in cucina, orologi giganteschi in mare, scale mobili nel bosco insieme alla luminosità di paesaggi di albe e tramonti dove trovare una porta, un letto, una scala. Così la Digital Art viaggia ogni giorno rapidissima sui social con una costante interazione di follower tra commenti e like. Un fatto mai accaduto prima con questi numeri e connessioni da tutto il mondo. Forse, in una società così complessa, patriarcale, aggressiva, colma di guerra e violenza, è necessaria un’idea di arte digitalizzata, che seppur “followerizzata”, conserva con sé qualità catartiche per connettere persone da più parti e consegnare visioni potenti di un simbolico “immaginario magico” che collega tutti. Non solo online. Ma nel reale lo abbiamo dimenticato.
Nilla Zaira D’Urso
Erik Johansson, Moon service, 2017
Erik Johansson, Cut & Fold, 2012
Erik Johansson, Above All, 2019
Erik Johansson, Comfort Zone, 2019
Attraverso l’arte sente l’esigenza di accostarsi sempre di più alla natura, decidendo di creare una residenza artistica sull’Etna come un “rifugio per l’arte contemporanea” per artisti e studiosi. Nasce così Nake residenza artistica. Vince il Premio Etna Responsabile 2015. Nel 2017, è invitata nella Sala Zuccari, Senato della Repubblica, come critico d’arte. Scrive per artisti italiani e stranieri. Curatrice del primo Museo d’Arte Contemporanea dell’Etna e del progetto “Etna Contemporanea”.
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