In cinque anni di attività la Fondazione MAST di Bologna ha costituito una vastissima collezione di immagini fotografiche dei più rilevanti maestri internazionali che dal 1860 a oggi hanno documentato e interpretato la storia dell’industria e del lavoro. La raccolta, unica nel suo genere, conta attualmente migliaia di opere che nel loro insieme compongono un variegato affresco della produzione industriale indagata nelle sue principali implicazioni e tematiche, fra cui architettura, paesaggio urbano, macchinari, operai, quadri dirigenti, sicurezza, salute e scioperi. Il principale obiettivo di questa impresa è formare un archivio di memorie e visioni che metta a fuoco da differenti punti di vista la complessa realtà del lavoro e della corsa all’innovazione nella convinzione che una corretta lettura del presente si fondi sulla consapevolezza del passato e sulla conoscenza delle interrelazioni geografiche e politiche che collegano ogni area del nostro mondo globalizzato. La fotografia, in cui convergono le istanze documentarie della presa diretta e le suggestioni estetiche di un’immagine che dichiara ogni volta la propria autosufficienza, è il medium ideale per far emergere intuizioni e domande altrimenti destinate a rimanere inespresse.
La mostra La forza delle immagini presenta una selezione di oltre sessanta fotografie che indagano il regno della produzione e del consumo nell’intento di suggerire nuove connessioni e modalità di visione che emergono dall’accostamento/contrapposizione di impressioni sempre impeccabili. Il percorso espositivo abbozza una narrazione multiforme che scaturisce da una successione di spazi e ambienti la cui apparente eterogeneità diventa struttura centrifuga mentre l’alternanza delle caratteristiche dominanti di ogni immagine (come pieno/vuoto, individuale/corale, bianco e nero/colore) funge da filo conduttore.
A questo modo la chirurgica catalogazione di archeologia industriale di Bernd e Hilla Becher, in cui fabbriche disabitate ritratte in morbida scala di grigi assumono una valenza archetipica e quasi astratta, accendono un dialogo inatteso con gli scatti di Rudolf Holtappel, dove l’anonima giungla industriale fa da sfondo all’imprevedibile movimento di un gruppo di bambini intenti a lavare un’auto, mentre Pepi Merisio accentua il contrasto tra uomo e macchina in uno scatto surreale in cui un uomo guida un carro trainato da un cavallo lasciandosi alle spalle i tralicci di un tetro stabilimento. Rémi Markowitsch fotografa i macchinari della fabbrica Volkswagen di Wolfsburg come se fossero gli organi interni di una misteriosa e gigantesca creatura animata e instilla negli ingranaggi e nelle condutture metalliche una potente carica erotica che assimila il pulsante meccanismo di quei congegni ai sussulti biologici di un’intimità crudamente svelata. Un voyeurismo sottile e raffinato permea anche gli scorci colti da Nino Migliori, che sembra spiare di nascosto le attività logistiche di una fabbrica restituendole come alterità e bellezza compositiva, mentre Thomas Struth interpreta i capannoni della Thyssenkrupp Steel in senso teatrale insinuando nell’immagine l’attesa di un’azione scenica che sembra sul punto di svolgersi.
Il tempo sospeso di Struth diventa immobilità nel carro senza motrice di Gabriele Basilico, vertiginosa fuga in avanti negli scatti di Edgar Martins che ritraggono la sala macchine della centrale elettrica di Alto Rabagão o futuristica condensazione di attimi nella serie che Jules Spinatsch dedica a un turno di otto ore negli impianti di produzione dei trattori John Deere. La velocità come attributo umano potenziato da protesi meccaniche è al centro anche dell’ironico scatto di Winston Link che raffigura un drive-in cinema (luogo cult della cultura americana degli anni ’50) in cui una coppia seduta in auto guarda nello schermo cinematografico il decollo di un aereo mentre un treno sfreccia sullo sfondo. L’interno di un treno che trasporta i pendolari al lavoro è invece il soggetto dell’immagine quasi coeva di Yutaka Takanashi, in cui i lavoratori si accalcano in uno spazio angusto cercando di ridurre l’ingombro del proprio corpo per adattarsi alle geometrie artificiali della carrozza.
Se l’essere umano sembra scomparire nei futuristici impianti fotografati da Walter Niedermayr, dove gli operai sono fugaci e sfocate presenze al servizio di una selva di sofisticati congegni che crescono rigogliosi dal pavimento come piante in una serra, Sebastião Salgado ritrae la fatica di una moltitudine di minatori che scalano una parete verticale con pesanti fardelli sulle spalle evidenziando un’altra forma di disumanizzazione, derivante proprio dall’assenza di tecnologia e dall’intensivo sfruttamento di una forza lavoro privata di ogni dignità. La sperequazione della ricchezza mondiale ha cause storiche e politiche e nell’era della globalizzazione è governata sempre più dagli astratti meccanismi con cui la finanza decide le sorti di milioni di ignare individualità: le fotografie della camera di commercio di Chicago scattate da Beate Geissler e Oliver Sann raccontano lo sfinimento di un’insaziabile guerra di posizione e l’inarrestabile corsa alla prevaricazione falsamente intesa come progresso. Il futuro di un sistema basato sulla necessità di un’insostenibile crescita esponenziale non può che essere apocalittico, come ammonisce Jim Goldberg in Mezzogiorno di Fuoco, scatto che conclude idealmente la mostra: al centro di un’ampia pianura utilizzata come discarica di rifiuti a Dhaka nel Bangladesh un guardiano separa a mani nude i cadaveri di animali dai materiali di scarto che lo circondano a perdita d’occhio.
L’epopea del progresso con le sue violente contraddizioni delineata da questa mostra, che rifiuta intenzionalmente una stretta consequenzialità tematica e cronologica, libera il potenziale evocativo di ciascuna immagine per creare un campo di forze contrastanti che nel fronteggiarsi sovvertono i dati reali facendo emergere in forma monumentale le sotterranee conseguenze di un sistema troppo spesso percepito come estraneo all’uomo. Rinunciando alla pretesa di offrire impossibili risposte, il progetto espositivo vuole stimolare l’osservatore a porsi domande e a sperimentare differenti punti di vista sul presente, invitandolo al tempo stesso a prendere consapevolezza di quanto la stessa immagine possa veicolare concetti diversi e paralleli in grado di coesistere senza indebolirsi a vicenda.
La forza delle immagini. Una selezione iconica di fotografie su industria e lavoro.
3 maggio – 24 settembre 2017
MAST, Via Speranza 42, Bologna
Yutaka Takanashi, Shinjuku Station, Shinjuku-ku, dalla serie “Toshi-e”, 1965, Stampa ai sali d’argento/ Gelatin silver print ©Yutaka Takanashi, courtesy | PRISKA PASQUER, Cologne
Thomas Struth, Laminazione a caldo, Thyssenkrupp Steel, Duisburg, 2010, C-print © Thomas Struth, 2017
Nino Migliori, Zona industriale, 1955, Stampa ai sali d’argento / Gelatin silver print © Fondazione Nino Migliori
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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