Inaugurata simbolicamente il 25 novembre, in occasione della giornata mondiale per l’eliminazione della violenza contro le donne, Qatra Qatra. Goccia a goccia è molto più che una reazione contro i fatti degli ultimi mesi, che hanno visto Kabul e l’intero Afghanistan cadere precipitosamente nelle mani dei talebani. L’esposizione curata da Amanullah Mojadidi, curatore e artista di origini afghane e che risiede a Parigi, ripercorre le vicende del suo Paese con gli artisti Lida Abdul, Hangama Amiri, Rada Akbar, Kubra Khademi e Mario García Torres. La mostra rappresenta la continuazione di un percorso che per il curatore ha avuto inizio nel 2013, con la nascita della collaborazione con la Fondazione Imago Mundi e la creazione di Imago Mundi Collection Afghanistan.
«Qatra qatra darya mehsha» (Goccia a goccia si forma un fiume) è un antico proverbio afghano che invita ad avere speranza, pazienza e determinazione, e che rappresenta in questo caso il maṇḍala di forza e coraggio delle quattro attiviste afghane presenti in mostra, che hanno fatto della lotta alla discriminazione la loro missione artistica.
Oltre ad alcuni lavori (140 in formato 10 x 12 cm) parte di Imago Mundi Collection Afghanistan realizzata nel 2013, in mostra troviamo opere di Kubra Khademi (1989), femminista e rifugiata attualmente residente a Parigi, che dopo aver messo in scena una performance estremamente provocatoria nelle strade di Kabul per denunciare le molestie subite quotidianamente dalle donne afghane, nel 2015 fu costretta a fuggire con l’aiuto dell’Unesco dal suo Paese a causa di minacce di morte che aveva ricevuto. In Ordinary Women (Donne ordinarie) e nel dittico The Warm War (La guerra calda) Khademi rivolge lo sguardo a miti e storie eroiche che le venivano narrate da bambina, i cui protagonisti – figure religiose e profeti – subiscono una metamorfosi femminilizzante, una rivisitazione e riscrittura della storica tradizione patriarcale. Female Crimes vuole porre l’attenzione verso la cultura misogina e maschilista che colpevolizza le donne per quelli che vengono considerati efferati crimini femminili e per cui possono essere incarcerate: dentro le aperture delle vecchie celle delle “Gallerie delle Prigioni” – parte della struttura originale delle antiche carceri asburgiche oggi adibita a spazio espositivo – ritroviamo disegni che rappresentano il potere sessuale femminile oppresso dalla società afghana.
Il lavoro della videomaker Lida Abdul (1973) – fuggita dall’Afghanistan nel 1979 dopo l’invasione sovietica e rifugiata in India, Germania e infine Stati Uniti – si concentra sulla denuncia di devastazioni di guerra, migrazioni, relazione fra identità di corpi e architettura; il suo cortometraggio White House (La casa bianca) sottolinea, attraverso l’azione del pennello bianco, come sia impossibile ricostruire ciò che è andato distrutto e definitivamente perduto, come il Passato. In Transit suggerisce una riflessione sulle conseguenze della guerra: la carcassa di un aereo militare sovietico diventa nel gioco di alcuni bambini un fantastico uccello caduto.
Hangama Amiri (1989) è fuggita dal suo Paese nel 1990, dopo la la presa del potere da parte dei talebani, e ha studiato pittura e incisione a Yale negli Stati Uniti. Amiri, che di recente si è dedicata alla tessitura, presenta in questa esposizione Mariam Beauty Salon (Salone di bellezza Mariam) e Journalist (Giornalista), opere che, attraverso la tradizione tessile afghana, vogliono riflettere sulle norme maschiliste e ultraconservatrici che limitano gli standard di aspetto femminili, auspicando un maggiore occultamento delle donne e della loro bellezza.
Attivista, curatrice e artista concettuale, Rada Akbar (1988) è l’autrice della serie fotografica Invisible Captivity (Prigionia invisibile), in cui le donne rappresentate sono sotto in controllo totale – fisico e mentale – dei talebani, rivendicate come proprietà (marchiata dalle impronte digitali) e prigioniere di una mentalità con barriere intangibili.
A concludere il percorso espositivo, il film Tea (Tè) di Mario Garcia Torres (1975), una ricerca sulla vita e l’opera dell’artista Alighiero Boetti (1940-1994), che negli anni ’70 risiedette a Kabul nel suo celebre studio e albergo “One Hotel”, popolare tappa dell’itinerario degli hippies tra Est e Ovest. Un’autentica riflessione nostalgica che mette a confronto la Kabul anni ’70 di Boetti e quella degli anni 2000 dell’autore.
Nel susseguirsi delle varie opere presenti, la mostra mette in evidenza aspetti complessi dell’Afghanistan, un Paese in cui la situazione delle donne appare precaria e ingiusta sotto molti punti di vista, ma le cui artiste non perdono forza e dedizione alla causa, assetate di un unico e fondamentale diritto: la libertà.
Paola Natalia Pepa
Info:
Qatra Qatra. Goccia a goccia
a cura di Amanullah Mojadidi
25/11/2021 – 09/01/2022
Fondazione Imago Mundi
Gallerie delle Prigioni, Piazza Duomo 20, Treviso
Ingresso libero
info@fondazioneimagomundi.org
www.fondazioneimagomundi.org
Kubra Khademi, Ordinary Women #14, 2020, courtesy of the artist and Galerie Eric Mouchet
Lida Abdul, White House, 2005, video still, courtesy of the artist and Galleria Giorgio Persano
Rada Akbar, Invisible Captivity, 2013, photo credit Marco Pavan, courtesy Fondazione Imago Mundi
Italo argentina, curatrice indipendente specializzata in arte argentina, con alle spalle studi e pubblicazioni sul tema (“L’Argentina alla Biennale d’Arte di Venezia” in Storie della Biennale di Venezia, Ed. Ca’ Foscari, 2020), fondatrice nel 2014 di arteargentina.it, prima piattaforma italiana dedicata all’arte argentina in Italia. Attualmente collabora a Venezia con gallerie d’arte e artisti contemporanei.
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