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La fotografia e l’archivio secondo Massimo V...

La fotografia e l’archivio secondo Massimo Vitali

Quest’estate sono trent’anni dalla sua prima spiaggia fotografata. Sta completando la digitalizzazione del suo archivio, oggi visitato da scuole e accademie. Un nuovo libro è prossimo all’uscita: Massimo Vitali fa il punto sulla sua poetica, sul passaggio dall’analogico al digitale e sul ruolo degli archivi.

Massimo Vitali, “Marina di Pietrasanta”, 1994, fotografia analogica, courtesy dell’artista

Simone Azzoni: Come ha vissuto il passaggio dall’analogico al digitale?
Massimo Vitali: Il passaggio al digitale, sebbene non sia stato del tutto indolore, ci ha tolto tanti problemi. Chi pensa che la pellicola sia una cosa fantastica non ha idea di ciò che c’era prima. Io posso anche capire che sia romantico, che sia più carino, che la fotografia sia nata in quel modo, ma si sprecava tempo e si facevano errori. Era tutto molto difficile, anche con le carte fotografiche: ancora oggi mi tocca fare le ristampe perché la carta fotografica non legge l’immagine. Io sono contento di aver passato gran parte della mia vita lavorando in analogico, una base di partenza, ma sono anche contento che l’analogico ora sia passato a miglior vita e oggi si faccia digitale. Il digitale non è semplice, ma gli errori nel digitale si possono recuperare, nella pellicola no.

Massimo Vitali, “Viareggio Airshow”, 1995, fotografia analogica, courtesy dell’artista

La digitalizzazione del suo archivio è un modo per mostrare il processo, gli scatti non sviluppati, un percorso e una memoria. Che cosa ne è dell’archivio tradizionale, in cui la materia ha il suo ruolo e le mani che toccano le foto hanno una loro comunicazione, una loro conoscenza?
La mia idea è mettere online tutti gli scatti che ho fatto negli ultimi trent’anni. Il 15 agosto 2024 sarà il trentennale della mia prima foto di spiaggia, fatta a Marina di Pietrasanta. Così come abbiamo le scatole con i negativi, i provini, avremo anche tutta una parte in digitale che si potrà consultare. Anzi, la mia idea – io vado sempre un po’ controcorrente – è quella di avere online tutti gli scatti fatti, compresi quelli sbagliati, quelli brutti, perché a volte si fanno delle foto pessime, foto che hanno delle entrate di luce o sono state sviluppate male. La mia idea è digitalizzare tutto quello che è successo in questi anni di lavoro. In trent’anni ho scattato quasi cinquemila foto, ma non è per tutti così; io lavoro in grandi formati, costosi, e al termine di una sessione di lavoro ho fatto una ventina di scatti.

Come si mantiene vivo e dinamico un archivio?
Le mie foto riguardano soprattutto la nostra vita e la nostra società. C’è un interesse socio-antropologico di base, nelle foto, e io penso che i ragazzi che sono venuti a fare le prime reinterpretazioni del mio lavoro, l’abbiano capito. Fino a qualche mese fa avevo dimenticato almeno il 70% delle mie foto: si fanno, poi si scelgono, poi vengono stampate, vendute, ristampate: c’è un processo e si tende a dimenticare tutto. Ecco, un archivio serve anche a non dimenticare, perché una foto dimenticata la si rivede anche sotto un altro aspetto.

Massimo Vitali, “SDT Island 3”, 2009, fotografia analogica, courtesy dell’artista

Nel passaggio alla carta stampata, c’è un tema che mi incuriosisce: avvicinarsi per cogliere i dettagli e poi allontanarsi per leggere l’insieme, oppure il collegamento tra una storia e l’altra. La fissità della pagina va a discapito di queste storie?
Assolutamente, ma io infatti non sono mai stato un grande fan dei libri. I libri li ho fatti, nei libri ho messo quasi tutta la mia produzione, però sono cosciente che il mio lavoro è quello di fare delle foto grandi, da cui lo spettatore possa uscire, vedere i particolari. Nell’ultimo libro (Distant Close-Ups, edito da Steidl), che ancora non è uscito, ci sono doppie pagine con super primi piani; una parte in cui si vedono tutte le foto degli ultimi quattro anni e le ultime con i dettagli delle precedenti. È un suggerimento per un movimento interno al libro. Ma comunque il libro è un libro. Come le cartoline rispetto alle fotografie di Cartier-Bresson.

Massimo Vitali, “Praia da Torre Fortress Europe”, 2016, fotografia digitale, courtesy dell’artista

Il titolo, che non sarà tradotto in italiano, potrebbe essere “Primi piani lontani”?
Sì, è un ossimoro che cattura il mio stile fotografico: distaccato e obiettivo, ma che allo stesso tempo costruisce un rapporto intimo con i soggetti delle fotografie.

Lei cura sul suo sito un blog. Possibile coniugare una comunicazione che ha questo canale con un sistema di gallerie che ha le sue regole decisamente diverse? È un modo per allargare il pubblico e creare più piani tra i fruitori del suo lavoro?
Quando qualcuno mi chiede una cosa, io posso sempre dire: «Vai sul blog, c’è scritto». Il blog non è uno strumento alla moda, le persone non lo leggono, le persone vogliono ricevere nella propria casella di posta tutto quello che pensano che tu gli debba dire. Il blog è uno strumento desueto, uno strumento vecchio, noi lo facciamo e speriamo che un giorno cambi anche un po’ il modo di usufruire dei contenuti. Il blog è una specie di dinosauro, è totalmente fuori dal modo di consultazione digitale, è un po’ l’inizio dell’epoca digitale. Però ci sono affezionato.

Massimo Vitali, “Rosignano Milk Maddalena Penitente”, 2020, fotografia digitale, courtesy dell’artista

Prima parlava di un approccio antropologico: la foto come lettura della società. Il suo famoso punto di vista sopraelevato è metaforico?
È obbligato, è qualcosa di cui io non potrei fare a meno, perché il mio punto di vista è quello che mi dà la possibilità di vedere e di studiare. Se qualcuno va su una spiaggia e guarda cosa succede, vede le stesse cose che vedo io? A me interessa vederne di più, mi metto così nel punto in cui posso vedere meglio. Un critico, tanto tempo fa, ha detto che io mi mettevo in una posizione elevata senza sentirmi superiore alla gente: “Più in alto senza sentirmi superiore”. Questa è un po’ la chiave del mio lavoro. Io voglio vedere di più, ma voglio anche essere vicino alle persone.

Cos’è per lei l’ombra?
È come il diavolo, è una cosa bruttissima e scura.

Dove la vedremo prossimamente?
Quest’estate al Gmunden Photo e in novembre al Photolux Festival di Lucca.

Info:

https://www.massimovitali.com/


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