L’artista messicano Rodrigo Hernández (Città del Messico, 1983) presenta alla galleria P420 di Bologna una nuova produzione di opere ispirate all’atmosfera notturna della città, dove lui ha soggiornato più volte in previsione della mostra, lasciandosi affascinare dai portici rossi, dalla tonalità di blu del cielo che segue immediatamente il tramonto e dalle suggestive testimonianze architettoniche del passato medievale. Il primo riferimento esplicito a Bologna che incontriamo è proprio il titolo Anche di notte, che la mostra condivide con il lavoro che inizia il percorso espositivo, e che deriva da una scritta da lui notata sul portone di un garage, in cui queste parole a caratteri cubitali rafforzavano il divieto espresso da un’insegna di passo carraio.
Anche di notte presuppone un tempo immobile e infinito, in cui l’artista, contrariamente all’interdizione espressa dalla segnaletica urbana, ci invita a sostare con calma. L’allestimento della prima sala della galleria si potrebbe interpretare come una luminosa anticamera del sogno, in cui il visitatore è lasciato libero di far decantare il rumore di fondo delle proprie recenti percezioni per farsi a sua volta antro e caverna, prima di varcare la soglia della notte. Il dipinto che intitola la mostra è una piccola composizione metafisica dove un’elegante testa di ascendenza brancusiana posata a terra riflette la luce (psichica, ma realmente rischiarante) della luna piena che la sovrasta. Se espandiamo mentalmente lo spazio-tempo evocato da questo dipinto, siamo pronti a effettuare il passaggio, che avviene per tramite del portale site-specific ideato dall’artista per il progetto, sul quale campeggia lo stemma del pipistrello, animale totem ricorrente nel suo vocabolario figurativo e carico di simbolismo per la sua qualità notturna, che alcune culture associano all’oscurità del male, mentre da altre viene considerato presagio di fortuna o intermediario con il divino. In questa attitudine immaginativa e simbolica Rodrigo Hernández dimostra di essere particolarmente affine anche alla sensibilità medievale, che trova un’espressione emblematica nei cosiddetti Bestiari, cataloghi di creature magiche, spesso terrificanti, in cui le allegorie cristiane si ibridavano con le credenze ereditate dal paganesimo, come nelle opere dell’artista le suggestioni della storia dell’arte si amalgamano in una nuova e misteriosa mitologia.
Accediamo quindi alla seconda sala, dove lo sguardo è abbagliato dal luccichio dorato delle opere esposte, preziose lastre in ottone martellato a mano, una tecnica tradizionale molto diffusa a Lisbona (città in cui Hernández ha vissuto diversi anni) per la lavorazione di brocche e stoviglie. Un’altra caratteristica dell’approccio dell’artista è infatti quella di utilizzare processi produttivi artigianali e materiali poveri, come la cartapesta (di cui sono fatte le piñatas, protagoniste delle feste messicane di paese) o la terracotta, che vengono elevati ad arte nell’armoniosa integrazione con citazioni artistiche colte. Come in un arcaico pantheon ipogeo, i bassorilievi dorati circondano il visitatore, che si ritrova circondato da una schiera di esseri imperfetti ed essenziali dai contorni dolcemente incisi nel metallo picchiettato, la cui superficie sembra liquefarsi in una colata di luce ultraterrena. Siamo nel cuore della caverna, antro magico che rende immanente e tangibile la percezione di come, nella sensibilità di Hernández, parallelamente alla realtà visibile esista un mondo popolato da creature rarefatte, che si configurano come malinconiche ma imperturbabili emanazioni del nostro paesaggio interiore. Queste figure stilizzate, stagliate sulla parete bianca oppure contro il maestoso fondale blu oltremare (che richiama i muri della Casa Azul di Coyoacán dove visse Frida Kahlo, ma anche i cieli della pittura tardogotica occidentale) collocato al lato opposto dell’entrata, fluttuano senza peso incarnando l’essere nella sua essenza più generica, che si precisa in ciascuna tavola in un abbozzo di situazione emotiva. Il fulcro gravitazionale del loro galleggiamento sono pianeti lontani che riecheggiano la luna del primo dipinto, la cui influenza sembra infondere vita ai loro corpi archetìpici, sempre incompleti ma talvolta teneramente umani quando alcuni particolari sono individuati da una cesellatura più dettagliata ed epidermicamente sensibile.
In Night Embrace vediamo due personaggi uniti da un abbraccio ascendere in uno spazio indefinito, attratti dal cono di luce della luna che li domina: la coppia, di sessualità neutra, è chiaramente memore dei due innamorati dipinti da Marc Chagall in Au-dessus de la ville (1914-1918), ma anziché volteggiare in un sogno che la allontana dalla realtà come avviene nel celebre quadro, sembra declinare in una dimensione intima e terrena l’algido splendore dell’astro. In Fiume un omino solitario medita osservando la traiettoria di alcuni pesci che nuotano nell’ottone, energetici come i delfini di Keith Haring (con cui condividono la semplificazione formale), ma la loro guizzante vitalità è espressa da una traiettoria lineare, come la traccia del passaggio di una stella cadente. In Senza gravità la fluttuazione dell’omino metafisico lo porta quasi a superare la luna, sulla quale si curva come se la volesse annettere al proprio corpo avvolgendola con una capriola, annullando poeticamente la siderale distanza che li separa, mentre il volo magrittiano dei personaggi delle due lastre, anch’esse intitolate Anche di notte, che occupano la parete blu, le proietta in una costellazione mobile di pianeti e meteore di indefinibile grandezza. In questi lavori la sobrietà del segno stempera la ricchezza della superficie dorata, che assume una consistenza immateriale, mentre nelle due opere ispirate alla lapide trecentesca di Filippo dei Desideri, ammirata dall’artista al Museo Civico Medievale di Bologna, la martellatura si fa più insistente, come a voler suggerire le asperità della pietra del loro modello. Nella prima gli attributi originali del protagonista, il dragone e la spada, vengono sostituiti da un orologio a catena e da un libro, che trasformano il guerriero in cavaliere delle scienze e della pittura, mentre nella seconda egli appare incorniciato da una mandorla, simbolo di forma ogivale associato alla figura del Cristo o della Madonna in Maestà, diffusissimo nei codici miniati e nelle sculture del Medioevo. Queste due lastre sono paradigmatiche dell’abilità di Hernández di introiettare suggestioni stilistiche differenti per restituirle decantate in una cifra espressiva molto particolare e assolutamente contemporanea, senza appiattirne la complessità culturale ed evocativa.
Info:
Rodrigo Hernández. Anche di notte
23/09/2022 – 12/11/2022
P420
Via Azzo Gardino 9, Bologna
Rodrigo Hernández, Anche di notte, 2022, installation view, P420, Bologna, photo Carlo Favero, courtesy P420, Bologna
Rodrigo Hernández, Anche di notte, 2022, oil on wood, cm 30 x 35, photo Carlo Favero, courtesy the artist and P420, Bologna
Rodrigo Hernández, Anche di notte, 2022, installation view, P420, Bologna, photo Carlo Favero, courtesy P420, Bologna
Rodrigo Hernández, Night Embrace, 2022, hand-hammered brass, cm 95 x 95, photo Carlo Favero, courtesy the artist and P420, Bologna
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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