Il 30 maggio 2020 la P420 ha ripreso il suo viaggio dopo undici settimane di lockdown. La collettiva riunisce i lavori di alcuni degli artisti legati alla galleria intorno a un tema tanto attuale quanto delicato. Le opere esposte – tele, sculture, fotografie – coinvolgono empaticamente, parlando di emozioni universali. I primi versi di Allegria di Naufragi di Giuseppe Ungaretti – scelti come titolo dell’esposizione – risuonano nella mente del visitatore che si sente effettivamente superstite di un naufragio improvviso.
In Twig di Helene Appel c’è tutto il senso di precarietà. Un ramoscello spoglio su una tela grezza, un oggetto comune che però seduce e invita ad avvicinarsi per scoprire poi la bellissima illusione. Le opere dell’artista tedesca, infatti, sono nature morte realizzate con una tale perfezione tecnica da sembrare oggetti concreti, sovrapposti alle tele in una sorta di iperrealismo esistenziale. Twig è qualcosa di semplice, che parla di fragilità e di solitudine – sentimenti comuni a tutti nel periodo appena trascorso – e proprio per questo esposto con la sua verità.
Nelle sale bianche della galleria accade lo stesso: si dà spazio, senza paura o finzione, all’inevitabile vulnerabilità dell’essere vivente. Nella grande tela Figura accovacciata di Piero Manai, un uomo accartocciato su sé stesso e privato delle braccia entra in rapporto diretto con l’osservatore che non può non riconoscersi, nel senso d’impotenza provato durante il lockdown. L’uomo, indifeso e nudo, appare anche nelle quattro stampe di John Coplans. Lying Figure è una delle fotografie che l’artista scatta in bianco e nero al suo corpo nudo per esaltarne la vulnerabilità e il decadimento.
La mostra permette di rielaborare quanto appena trascorso e di riflettere su ciò che è cambiato. Nell’opera Sketch for sculpture di Goran Trbulijak, ad esempio, è presente la dimensione del tempo. La fotografia ferma un istante e celebra l’incontro e l’equilibrio di due tempi diversi, uno più veloce e uno più lento. Fa pensare a quanto l’epidemia abbia contribuito a cambiare il tempo della vita quotidiana, rallentandolo rispetto alla frenesia cui si era abituati. Non si avverte dunque la volontà di cancellare per tuffarsi subito nel nuovo, bensì l’accettazione attiva del presente.
“Sospesi” nello spazio, i Giunchi di Riccardo Baruzzi esprimono il desiderio di non arrendersi. Tubi e aste di ferro o plastica, inaspettatamente romantici, accompagnati da un elemento del mondo vegetale che, se pur secco, si fa spazio tra la materia e sembra voler resistere. Allo stesso modo persiste la foglia inondata e stretta nel cemento nell’opera Iris di June Crespo.
Non si arrende la natura e non si arrende l’uomo, che accetta la sua vulnerabilità come punto di ripartenza. Lo sa bene Irma Blank, altra artista in mostra; colpita pochi anni fa da una malattia che le ha impedito l’uso della parte destra del corpo, ha deciso di continuare a lavorare realizzando le sue scritture con la mano sinistra. La mano non risponde come lei vorrebbe, ma da questo nasce Gehen. Second life. “Gehen” significa andare, andare verso una seconda vita. La stessa Blank afferma: «In questi lavori io mi muovo di nuovo, vivo l’andare».
Queste sono soltanto alcune delle opere e degli artisti in mostra sino al 31 luglio. La P420 ha riaperto le porte della galleria lanciando un messaggio: accettare la debolezza per ripartire. È il primo passo verso un nuovo viaggio.
Abbiamo parlato con Alessandro Pasotti, fondatore della galleria insieme a Fabrizio Padovani.
La mostra rappresenta un punto di ripartenza. Come è stato affrontare il periodo difficile appena trascorso?
Per tutto il settore dell’arte è stato un periodo di crisi. Le gallerie sopravvivono se c’è, oltre all’attività espositiva, anche un’attività commerciale. Giustamente le priorità in questo momento sono altre e il collezionismo passa un po’ in secondo piano. Bisogna cercare di contenere i costi e ridurre le spese non necessarie. Allo stesso tempo però, occorre iniziare a seminare per i prossimi progetti, con la speranza che le cose migliorino giorno dopo giorno.
La collettiva indaga proprio questo momento delicato e allo stesso tempo rappresenta il desiderio di guardare avanti. Quali sono le riflessioni alla base del progetto e della selezione di artisti e opere?
La mostra vuole sottolineare il fil rouge tra le opere degli artisti che rappresentiamo, trattando il tema della precarietà e della fragilità del momento. Allo stesso tempo, rivolge lo sguardo verso il futuro. Narra di un viaggio che può presto riprendere. Partendo dal tema, la collettiva nasce da un dialogo con gli artisti, la scelta delle opere dunque è stata condivisa. Si è cercato di ridurre al minimo anche i trasporti, scegliendo opere già presenti in galleria, la maggior parte delle quali non erano mai state esposte. È stata anche l’occasione per esporre la grande tela di Piero Manai che necessitava di un restauro. L’opera, una volta restaurata – dal Laboratorio degli Angeli a Bologna – è stata esposta, in una nuova forma perfetta, dopo diversi anni.
Quali sono i progetti per il prossimo futuro?
Stiamo pensando alla programmazione in Galleria per i prossimi mesi e alle fiere d’arte che abbiamo in progetto da settembre in poi, se pur con l’incertezza che si possano effettivamente realizzare. Manteniamo il dialogo con i nostri artisti e con le varie istituzioni. Aumentano sempre di più le collaborazioni con fondazioni e musei per progetti di mostre future. Non da ultimo, portiamo avanti le attività di pubblicazione, per supportare gli artisti anche in questo modo. Ad esempio, pochi giorni fa è stata pubblicata una monografia su Stephen Rosenthal, artista americano presente anche in mostra. Si cerca, dunque, di andare avanti, di fare e di non fermarsi.
Ornella D’Agnano
Info:
E subito riprende il viaggio
30.05.20 – 31.07.20
P420
Via Azzo Gardino 9, Bologna
Helene Appel, Twig, 2019, oil and watercolor on linen, cm 71×54, Courtesy l’artista and P420, Bologna (foto Carlo Favero)
G.Trbuljak, Sketch for sculpture, 2013, b/w photograph, cm 42×55,5, ed. 3+3ap, Courtesy l’artista and P420, Bologna (foto Carlo Favero)
Piero Manai, Figura accovacciata, 1987, bitumen on paper mounted on canvas, cm 300×200, Courtesy P420, Bologna (foto Carlo Favero)
Di origine pugliese, dopo la laurea triennale in Beni Culturali presso l’Università del Salento (Lecce), approfondisce lo studio dell’arte contemporanea laureandosi in Arti Visive presso l’Università di Bologna, dove vive e lavora. Autrice del saggio critico “Museo e Neutralità”. Membro dell’Associazione Culturale Muri di Versi. Crede che l’arte sia un potente strumento in grado di suscitare riflessioni e creare relazioni.
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