La liquidità dei nuovi media negli ultimi anni ha rivoluzionato lo statuto dell’immagine, assuefacendo lo sguardo e la mente a visioni camaleontiche in costante metamorfosi che accadono in universi digitali paralleli in cui tutto si può trasformare nel suo contrario, senza soluzione di continuità. La regola è l’assenza di limiti e il nuovo dogma sembra essere l’immersività, intesa come totale aderenza dei sensi all’oggetto della percezione. L’ostentata anarchia dei linguaggi ultra-contemporanei, che mutuano i loro artifici tecnici dai software open source per la programmazione di videogames ammiccando alle dinamiche dell’intelligenza artificiale, è espressione di un individualismo autoreferenziale che, in assenza di confronto, genera una pericolosa omologazione estetica e ideologica. Se il corpo diventa un’appendice inerte e la mente canalizza il desiderio in un altrove virtuale, risulta molto difficile instaurare relazioni profonde con ciò che ci circonda e anche l’immaginazione langue in una selva di possibilità precostituite che non offrono reali aperture verso un pensiero veramente libero e indipendente.
Questi concetti sono a mio avviso fondamentali per introdurre il lavoro di Gaia Fugazza (Milano, 1985), artista visiva e performer attualmente protagonista a Bologna della mostra Ostaggi e Amici negli spazi di GALLLERIAPIÙ. La sua pittura recepisce spontaneamente le istanze fantasmagoriche dell’immaginario contemporaneo più aggiornato senza lasciarsi ingabbiare dalle loro dinamiche codificate e attinge direttamente le proprie ragioni dall’ancestrale necessità umana di produrre immagini, manifestatasi sin dall’epoca preistorica, condividendone appieno la vocazione mitopoietica. Le teorie più accreditate sull’origine delle pitture rupestri, precedentemente interpretate come scene di caccia, affermano che fossero invece realizzate da persone in stato alterato di coscienza con funzione rituale. In queste misteriose rappresentazioni compaiono infatti con frequenza personaggi ibridi tra l’essere umano e ferino, creature fantastiche e specie animali non documentate in quelle geografie. Si trovano in grotte molto profonde, rifugi quasi inaccessibili dove la privazione di luce, la percezione alterata del tempo e la carenza invernale di vitamine potevano favorire esperienze allucinogene. L’artista, che ha dedicato all’argomento la sua tesi di master al Chelsea College of Arts di Londra, intitolata Art of Former Nomadic People (Arte di gente che era una volta nomadica), concepisce l’arte come forma di resistenza alle angustie di uno spazio chiuso (quello fisico preistorico e quello mentale contemporaneo) e come tecnica psichedelica di trascendenza.
Il suo lavoro abbraccia una concezione animistica del mondo, si colloca in un indefinito spazio-temporale in cui il passaggio dalla vita nomadica a quella agricola e sedentaria deve ancora metaforicamente avvenire e accoglie il mistero di una natura potente permeata di sacrale ferinità. Recuperando il valore estetico e identitario dei materiali che usa, la maggior parte dei quali di origine naturale senza manipolazioni cromatiche e sostanziali, e riattualizzando le proprietà sapienziali delle piante e delle altre forme di vita che popolano la Terra, Gaia Fugazza dimostra come l’idea di predominanza dell’uomo sulla natura derivi da un fraintendimento ideologico della nozione di intelligenza, che per secoli è stata tendenziosamente associata a caratteristiche prettamente umane, come il pensiero e la parola. L’antidoto a questi falsi assiomi è per l’artista un’apertura vigile a forme non codificate di conoscenza e intuizione, come gli stati alterati di coscienza, in cui la sovversione delle logiche razionali e l’intersezione tra categorie solitamente considerate impermeabili diventano esplicite. Quest’esercizio mentale e percettivo non si risolve in una generica esaltazione del primitivismo inteso come valore assoluto, ma vuole essere il primo travolgente passo di un progetto di espansione della consapevolezza finalizzato alla riappropriazione delle infinite possibilità che l’esistenza ci mette a disposizione.
Per questo nella pratica di Gaia Fugazza l’intaglio, la modellazione e l’incisione sono gesti che si ripetono come rituali e i materiali, che hanno valore soprattutto in ragione della loro concreta appartenenza alla realtà, sono gli ingredienti di una cura che ristabilisce l’ordine naturale degli elementi rieducando le percezioni sensoriali all’osmosi delle forme e alla collaborazione tra le specie. Spine d’istrice, cera, ossido di ferro, grafite, rame, verde acqua, malachite, zinco e ossa carbonizzate si stratificano su tavole di legno per costruire meravigliosi ecosistemi onirici avvolti da un alone di mistero e ambiguità, che ci sembrano assurdamente familiari ma al tempo stesso irraggiungibili. L’ingresso in questi mondi visionari necessita un’osservazione prolungata e la totale disponibilità dello sguardo a inseguire il percorso di una linea, ad addentrarsi nei solchi scheggiati del legno, a scivolare sullo spessore morbido e lucido della cera o ad assorbire le profondità opalescenti di uno strato cromatico.
Solo a questo modo la contemplazione si può trasformare in esperienza: si annulla la distanza tra ciò che si vede e ciò che si riesce a immaginare, i colori delle cose ne restituiscono la presenza al di là dell’illusione, il tempo si ferma ma la vita riprende a pulsare. Il rame a contatto con l’alluminio si ossida e vira verso il blu o verso il verde mentre un’orgia di rane si scioglie al calore di un sole minerale. Il ronzio delle api riempie anche gli occhi mentre a distanza di pochi passi la mimosa pudica si fa assaporare mentre circuisce un doppio corpo candido. Una spina d’istrice inchioda per sempre il pittore primordiale di fronte ai colori della sua allucinazione; tutto si può ancora muovere, ma l’equilibrio rimane imperturbabile. È contemporaneamente giorno, notte e alba, attorno a uno specchio d’acqua o a un riflesso di cielo c’è chi beve, chi partorisce e chi defeca, mentre qualcuno, spinto dalla stessa forza maggiore che soggioga l’andamento delle venature del legno su cui cammina, si allontana dalla propria comunità. L’io diventa l’altro: ai piedi di una grande pianta di Buddleia una scimmia incinta sogna mentre uno scrivano disegna i propri pensieri, tra i rami gli uccelli covano il proprio nido in un tripudio di infiorescenze, che sono a loro volta semi di nuove piante e nuovi uomini. E finalmente anche noi siamo dolcemente presi in ostaggio da una visione che sarà impossibile dimenticare.
Info:
Gaia Fugazza. Ostaggi e Amici
28 settembre – 9 novembre 2019
GALLLERIAPIÙ
via del Porto 48 a/b Bologna
Gaia Fugazza, Gli indifferenti, 2019, dettaglio
Gaia Fugazza, Ciao Api, 2019, dettaglio
Gaia Fugazza, Queste rane, 2019, dettaglio
Gaia Fugazza, Non chiedermi perchè, 2019, dettaglio
Per tutte le immagini: courtesy GALLLERIAPIÙ
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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